Una volta tanto torniamo a subire questo concetto sulla nostra pelle, dopo averlo usato a spese di altri popoli per il nostro nazionale interesse. "Lavori italiani per lavoratori italiani", "Immigrati, tornatevene a casa vostra", "Togliete lavoro alla gente che ne ha bisogno", "C'è già la crisi, mancano solo i lavoratori sottopagati che vengono dall'estero a peggiorare la situazione". Quante volte abbiamo sentito, con partecipazione o con profondo dissenso (se non disgusto), ripetere queste frasi, questi slogan, nelle tv, nei quotidiani o nelle tante dichiarazioni anche di esponenti politici di rilievo? Personalmente credo talmente tante volte da averci fatto l'abitudine... Abbiamo trovato le nostre vittime prescelte tra i disperati migranti provenienti dal Marocco, dal Senegal, dai tanti paesi dell'Africa Centrale, dal sudest asiatico, tra i curdi, gli iracheni, gli albanesi e, tormentone del momento, i rumeni (o i rom, tanto per noi capre ignoranti sono la stessa cosa!). Ora però le vittime prescelte dal nord del mondo siamo noi. E quelle frasi, quegli slogan da piazza, ora sono rivolti a noi "mafiosi mangiaspaghetti". E' bastato che un'azienda italiana, la Irem, di Siracusa (ricca di lavoratori specializzati italiani e continentali), vincesse una gara d'appalto per la costruzione di un impianto ad alta tecnologia nella raffineria della Total, nel Lincolnshire (nord dell'Inghilterra), una commessa da 200 milioni di sterline, per scatenare tutto lo spirito sciovinista dei lavoratori sudditi di Sua Maestà la Regina. Da bravi italiani non dovremmo nemmeno stupirci poi tanto di un trattamento simile. Forse è solo un'accoglienza calorosa, un modo per farci sentire a casa nostra. Avrebbero potuto pestare a sangue un africano, dare fuoco ad uno zingaro, o incendiare delle baracche. Sarebbe stato un messaggio di vicinanza molto più chiaro e sentito... E' un modo di fare molto italiano. Come quando si fanno raid punitivi in un campo rom perché una zingara pochi giorni prima a Napoli aveva cercato di rubare una bambina per le scale di un palazzo, salvo poi scoprire che non era vero nulla. Un'accusa falsa si può archiviare, ma da un raid punitivo non si torna indietro. O almeno dovremmo applicare il sano principio del "colpirne uno per educarne cento" (chi avrebbe mai detto che i razzistelli di oggi sarebbero stati i prosecutori della teoria brigatista di 30 anni fa?) in tutti i casi; ad esempio, mettere a ferro e fuoco Bari, Trieste o Arezzo, quando un furto, uno stupro, un omicidio, vengono commessi da baresi, triestini o aretini di puro sangue italico. I politici di casa nostra, soprattutto quelli padani, se ne sono ben visti dal commentare gli ultimi fatti dall'Inghilterra. Richiederebbe un impegno disumano riuscire a fornire una dichiarazione che avesse un briciolo di coerenza e che non distruggesse la dignità dei nostri connazionali all'estero. Ma se la classe politica non parla e non commenta, è il popolo italiano che parla da solo. E parla mostrando al mondo quanto sia bello dar fuoco ad un barbone. Giustificandolo come uno stupido atto per finire in allegria la serata e rifiutando il movente razzista. Forse perché l'aggravante del razzismo è sempre meglio evitarla in fase processuale, o forse perché scegliere un barbone a caso, un "debole" della società, si ritiene non sia razzismo. Se avessero dato fuoco ad un imprenditore multimilionario, forse avremmo potuto anche credere loro. Così no. Non sono credibili. E il popolo parla anche per mezzo dei suoi giornalisti, che mostrano come un efferato stupro di gruppo commesso a Guidonia ai danni di una coppia di giovani innocenti ragazzi italiani meriti giustamente la prima pagina. Mentre quando è una ragazzina di 12 anni di Torino ad essere violentata da un ventiseienne italiano o quando è una rumena ad essere violentata da tre maghrebini, la notizia non deve fare troppo scalpore. Meglio collocarla in ottava, nona, decima pagina. O anche dopo la rubrica sul teatro e la programmazione tv del giorno. Pensavo che l'importanza di uno stupro, di una violenza, nel nostro terribile paese assumesse gravità a seconda dell'etnia del criminale. Mi sbagliavo. Dipende anche dall'etnia della vittima.
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