10/03/09

QUELLO CHE NON SAPPIAMO DEI TREMONTI BOND

Dopo il sì dell'Europa, arriva il decreto attuativo sui Tremonti bond, i nuovi strumenti finanziari che potranno essere emessi dalle banche a corto di liquidità. Restano però i dubbi sulla loro effettiva operatività. Perché neanche la normativa di attuazione indica quali siano le conseguenze per le banche che non ottemperino gli obblighi sociali collegati al prestito. Né si può escludere il rischio che gli istituti inducano la propria clientela, anche attraverso i fondi di investimento gestiti, a sottoscrivere la parte dei titoli necessaria a superare la soglia di adesione.
Dopo avere incassato il giudizio di compatibilità con le norme in tema di aiuti di Stato da parte della Commissione europea, il ministero dell'Economia ha finalmente pubblicato il decreto attuativo per l'emissione da parte delle banche dei cosiddetti Tremonti bond, allegando il relativo prospetto. I nuovi strumenti finanziari saranno emessi dagli istituti italiani quotati in borsa che si trovino nella necessità di essere rifinanziati.
Il governo italiano ha così scelto di perseguire una soluzione “di mercato” per l'eventuale salvataggio delle banche a corto di liquidità, sulla scia di quanto attuato in Francia. Alle banche sarà chiesto di corrispondere una remunerazione sulle somme ottenute e di attuare una gestione “sociale” dei prestiti erogati alle famiglie e alle Pmi. Permangono tuttavia vari interrogativi circa l'effettiva operatività dei nuovi strumenti, che neppure la normativa d'attuazione riesce a chiarire. Vediamo i principali.
COSA DICONO I DECRETI
I Tremonti bond non sono veri e propri titoli di debito: appartengono infatti alla categoria degli strumenti finanziari ibridi, a cavallo fra le azioni e le obbligazioni.
Al pari delle azioni, la loro remunerazione viene vincolata alla percezione di utili da parte della società e il rimborso è subordinato al soddisfacimento degli altri debitori sociali. Quest'ultimo avverrà solo in sede di liquidazione della banca: in alternativa la banca potrà esercitare un diritto di riscatto versando un sovrapprezzo.
Con le obbligazioni, i nuovi titoli condividono l'assenza di diritti amministrativi per non vedere influenzata l'autonomia dell'istituto sovvenzionato, anche se è prevista una loro convertibilità in azioni a richiesta della banca stessa.
Sottoscrivendoli lo Stato viene dunque ad assumere un rischio simile a quello sofferto dagli azionisti della banca, senza ottenerne però i poteri gestionali.
Questo svantaggio dovrebbe trovare compensazione nell'adozione da parte dell'istituto finanziato di un codice etico e di un protocollo di intenti redatto sulla base di un accordo quadro siglato fra il ministero e l'Abi.
La banca si impegnerà quindi a:
a) favorire il credito alle Pmi e alle famiglie;
b) intervenire a favore dei clienti in difficoltà con i pagamenti dei mutui erogati per l'acquisto della prima casa;
c) conservare i propri asset ponendo un tetto agli stipendi dei manager e un limite alla distribuzione dei dividendi ai soci.
A monitorare il rispetto di questi obbiettivi, oltre al ministero, sarà impegnata anche la Banca d'Italia, che osserverà l'espansione di queste attività a mezzo della loro iscrizione a bilancio da parte dell'istituto.
Prima di sottoscrivere gli strumenti, il ministero valuterà l'adeguatezza patrimoniale della banca e il rischio dell'operazione, che dovrà risultare “economica” per lo Stato. Per essere tale l'interesse promesso dovrà essere superiore di almeno due punti percentuali al rendimento dei Btp trentennali e l'emissione dei bond dovrà essere sottoscritta almeno per il 30 per cento da azionisti privati, fra i quali solo un quinto potranno essere soci di riferimento della banca.
...E COSA NON DICONO
Né il decreto legge, né quello attuativo indicano quali siano le conseguenze a cui andrà incontro la banca che non ottemperi gli obblighi “sociali” collegati al prestito. Cosa accadrà, ad esempio, se la stessa non utilizzerà i fondi ottenuti per erogare il prestito alle Pmi, oppure non aiuterà le famiglie in difficoltà a pagare la rata del mutuo?
Il protocollo di intenti e il codice etico non rappresentano dei vincoli contrattuali e, pertanto, né i privati né lo Stato potranno ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di loro violazione. Ma anche se ciò fosse possibile, ad esempio traducendo gli obblighi in clausole inserite nel prospetto, non si otterrebbe comunque una valida soluzione al problema. Se la banca dovesse restituire immediatamente il prestito o versare un interesse maggiorato, si rischierebbe infatti di provocarne l'illiquidità che la normativa ha proprio lo scopo di evitare.
Gli impegni richiesti agli istituti sovvenzionati sembrano dunque destinati a rimanere dei meri obblighi morali, che potranno generare tutt'al più una responsabilità “etica” degli amministratori. A differenza di quanto autorevolmente sostenuto in un precedente articolo, non sembra quindi che si rischi una reale “pubblicizzazione” delle banche.
Neppure gli interessi promessi, crescenti fino al tetto del 15 per cento annuo, previsto dal 2039 in poi, sembrano costituire una valida risposta all'impegno economico pubblico, dato che tale remunerazione sarà versata unicamente in presenza di un utile distribuibile. Ciò potrebbe indurre i manager ad assumere una strategia di sospensione nella distribuzione dei dividendi, ad esempio, attraverso il riacquisto delle azioni della banca, a danno dell'erario e dei piccoli azionisti.
La legge tace anche su aspetti cruciali del potere di conversione dei titoli in azioni riconosciuto alla banca debitrice. I manager potrebbero infatti decidere di trasformare i bond per ostacolare scalate ostili, oppure per favorire la propria società, sfruttando le fluttuazioni di mercato. Le azioni ottenute dallo Stato dovranno infatti essere riversate sul mercato ai sensi dell'articolo 3, comma 27, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in quanto partecipazioni societarie non necessarie al perseguimento diretto dell'interesse pubblico.
I pericoli finanziari connessi ai “Tremonti bond” non trovano un contenimento neppure nella condizione che gli strumenti debbano essere in parte assorbiti dal mercato finanziario. I decreti non si preoccupano infatti di limitare i conflitti di interesse e le distorsioni che la previsione può generare. In particolare, non si può escludere il rischio che le banche possano indurre la propria clientela, anche a mezzo dei fondi di investimento gestiti, a sottoscrivere la parte dei titoli necessaria a superare la soglia di adesione.

Fonte articolo


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