Red Tv compie sei mesi. I contributi pubblici sono di 4,1 milioni.
Ho trovato solo su Il Giornale un commento alla conferenza stampa con cui d'Alema e i dirigenti di Red Tv hanno fatto un bilancio dei primi sei mesi e presentato la nuova programmazione. A mio avviso molto giustamente il cronista, Cristiano Gatti, batte sul chiodo del finanziamento pubblico. Cita il primo bilancio (che afferma essere pubblicato sul Sole 24, ma non ho trovato il link) in cui si mostra che i costi sono finora stati di 5,4 milioni di euro. Questi costi sono stati coperti in modo preponderante da contributi pubblici, per un ammontare di 4,1 milioni. Trattandosi di un quotidiano non particolarmente noto per l'imparzialità mi sono chiesto quanto fosse vera la notizia. Mi sono convinto che è vera dopo aver letto la reazione, sul suo blog, del direttore di Red Tv, Claudio Caprara. Questo è quello che dice Caprara.
Hanno detto a Cristiano Gatti di distruggerci e lo fa come può. Non ricorda che la legge che prevede il finanziamento ai giornali, alle radio e alle tv è la diretta conseguenza dell'articolo 21 della Costituzione italiana. Che a permettere il nostro finanziamento è una legge dello Stato scritta dall'allora ministro Gasparri e approvata da una maggioranza di centro destra. Che tutti i giornali italiani sono finanziati dalle leggi che regolano il sostegno all'editoria e che se vogliamo misurare il servizio pubblico che viene fatto su Red sarebbe per noi una grande opportunità di crescita.
La risposta è in parte comica e in parte preoccupante. È comica l'idea che il successo o la distruzione di Red Tv possa in alcun modo dipendere dalla benevolenza con cui viene trattata da Il Giornale. La sostanza comunque è che Caprara non contesta i numeri di Gatti. È quindi preoccupante il senso di arroganza con cui si reclamano i soldi pubblici. Visto che si cita la Costituzione, mi permetto di riportare per intero l'art. 21.
Art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
L'articolo non dice da nessuna parte che la stampa (o televisione) debba essere sussidiata con soldi pubblici. Parla di finanziamento solo per affermare che la legge può costringere i riottosi a chiarire chi mette i soldi in cosa, suppongo in base al principio che il pubblico ha diritto di sapere chi controlla l'informazione. Affermare che l'attuale legge sul finanziamento stampa è ''diretta conseguenza'' dell'art. 21 è semplicemente non vero. Il massimo che si può dire è che la legge non è palesemente incostituzionale*.
Dopo averci fatto ridere e dopo averci fatto preoccupare, Caprara riesce a farci ridere e preoccupare allo stesso tempo. Infatti, qual è l'asso nella manica che alla fine cala pesante sul tavolo? È il buon vecchio ''così fan tutti''. La legge l'ha fatta il centrodestra. I soldi li pigliano tutti (cosa vera, e su cui il cronista del Giornale colpevolmente glissa), quindi cosa c'è di male se li pigliamo pure noi che facciamo un bel servizio pubblico? È talmente disarmante che uno non sa neanche dove cominciare a rispondere.
Sul merito dell'opportunità di erogare soldi pubblici ai mezzi d'informazione abbiamo già detto, si veda per esempio l'articolo di Andrea sul V-day o il mio articolo dello scorso agosto, con dibattito a seguire. Qui ci limitiamo osservare come il PD si venda veramente per un piatto di lenticchie. Red Tv era e resta ben poca cosa nel panorama televisivo e certo non è pensabile che offra alcun aiuto determinante a una strategia elettorale vincente del centrosinistra. Ma i finanziamenti che riceve servono a rimarcare in modo indiscutibile che, quando si tratta di mungere lo Stato, il centrosinistra non è diverso dagli altri. Ne vale veramente la pena?
* In verità vorrei porre una domanda ai costituzionalisti che ci leggono. La decisione di erogare fondi equivale spesso alla decisione di permettere la sopravvivenza o meno di un organo di stampa. Non mi sembra irragionevole affermare quindi che la legge sul finanziamento viola il comma 2 dell'art. 21, che nega allo Stato il potere di imporre autorizzazioni. La ratio della norma è impedire che lo Stato possa influenzare la produzione di informazione mediante decisioni discrezionali. Il finanziamento pubblico è una autorizzazione di fatto, dato che lo Stato in tal modo può decidere quali organi d'informazione possono sopravvivere e quali no.
Fonte articolo
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