Nella vita si cambia. E Gianni Riotta, nella sua di vita, è cambiato davvero parecchio. Dopo aver mosso i primi passi da giornalista per il quotidiano comunista “il Manifesto” - gradino dopo gradino - nel 2006 era approdato in quella roccaforte ex democristiana, ora di governo, chiamata Tg1. E oggi è arrivato alla direzione de “Il Sole 24 ore”. Un bel traguardo. Da cui, al solito, ha dato prova di imparzialità, indipendenza e quasi indifferenza verso potenti in generale; ed editori (in questo caso Confindustria) in particolare. Commissionando un editoriale, in prima pagina, da incorniciare. Titolo toccante: “Caccia al bonus e morte di un uomo”. Testatina (che, fuor di tecnichese, vor dì: argomento del pezzo) degna di passare alla storia: “Populismo”.
La “morte” è il suicidio del manager Usa, David Kellerman, direttore finanziario di Freddie Mac, agenzia (semi)pubblica dei mutui, salvata a suon di miliardi dai soliti contribuenti poverazzi (in questo caso americani). Una notizia che, nelle ultime 24 ore, è stata raccontata dai media di mezzo mondo. Ma le parole dell’editoriale - pubblicato oggi e vergato da una delle firme più prestigiose del “Sole”, Alessandro Platerotti - sono davvero uniche. Il Platerotti (e immaginiamo anche Riotta) infatti pone un dubbio mica da ridere:
Kellerman si è ucciso per motivi personali (…) per la paura di essere travolto dall’inchiesta federale in corso sull’ex colosso dei mutui (…) o, invece, perchè temeva, nel clima di caccia alle streghe e di fanatismo dilagante contro manager e banchieri, di non poter difendere la propria onorabilità e quella della sua famiglia dalle accuse e dai sospetti?“.
Interrogativi che - visto che c’è pure un’inchiesta in corso - rimangono ovviamente irrisolti. Ma vengono accompagnati da una certezza granitica:
“Se in questa crisi finanziaria globale, gestire una società è difficile, lavorare in una finanziaria commissariata dal governo è un lavoro ingrato. Come abbiamo visto negli ultimi mesi, significa essere sotto il costante tiro dell’opinione pubblica (…)”, ma soprattutto “significa guadagnare poco, anzi pochissimo”.
Ecco, appunto. Dire che cosa sia “guadagnare pochissimo”, per i canoni de “il Sole 24 ore”, è un po’ difficile. Ma per certo, e come ha ricordato per esempio quel covo di populisti del New York Times, Kellerman ad inizio aprile era stato pescato con le mani nella marmellata. Cioè a spartirsi con altri colleghi manager una torta di bonus da 210 milioni di dollari. Lui, per la cronaca, si era preso una fettina da 850mila dollari. E contribuenti e mondo politico americano - che stanno pagando il conto di certi errorucci del passato della società - non avevano molto apprezzato.
Per cui va bene la compassione. Che ai morti, tutti e nessuno escluso, non va mai negata. Ma senza esagerare. Che, se no, a furia di versare lacrime - e di cercare maldestramente di prendere certe “palle” al balzo - si rischia di ammazzare anche buon senso e verità. Merci che, nel nostro (ex) Belpaese, diciamocelo, proprio non abbondano.
P.S. Il memorabile editoriale “Caccia al bonus e morte di un uomo” non è purtroppo disponibile on line. Ci limitiamo - nel rispetto delle norme sul copyright (sia mai che il neodirettore, Riotta, che a quanto pare non ama tanto i blog, si risenta) - a pubblicarne titolo e incipit, qui sotto.
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