29/04/09

QUESTO E' UN PAESE PER VECCHI


«Come fai a dire, Dersu, che queste sono le orme di un vecchio?» «Capitano: uomo giovane corre incontro alla vita, suo piede preme con la punta, per avere slancio. Uomo vecchio vede avvicinarsi la fine e rallenta, suo piede frena e preme con il tallone.»
Dal film
Dersu Uzala, di Akira Kurosawa, 1975.

Sono appena le otto e trenta, quando la porta della classe si apre ed esce la collega che mi guarda con due occhi bolliti ed una smorfia di dolore sul viso: «Carlo, non ce la faccio più…»
«Che ti succede?»
«Non lo so, scendendo dall’auto devo aver preso una storta…con ‘sta pioggia…e mi fa male tutto, il bacino, la gamba…»
La osservo. Ha l’aria di chi non dorme, di chi non vive, di chi non sa più perché deve vivere. So anche che è gia stata operata più volte per problemi ortopedici, e che fatichi a camminare lo sappiamo tutti, tanto che fu la prima a ricevere la chiave dell’ascensore.
Eppure, non è anziana: per quel che oggi significa “anziano”, per le tabelle degli istituti statistici, per l’INPS, per i teorici del “lavoro sempre”, finché ti scorre una goccia di sangue nelle vene. E fosse la sola.
Lo scorso anno abbiamo seppellito una collega che non “ce l’ha fatta”, che non ha raggiunto l’agognato traguardo della pensione.

Non aveva ancora sessant’anni quando ci lasciò e, per esplicito volere dirigenziale, non fu nemmeno possibile accompagnarla tutti insieme al cimitero: “solo le classi terminali ed i docenti in servizio nelle ore della funzione”. Altrimenti, qualcuno ti deve sostituire: non sia mai che il Ministero debba pagare un’ora di sostituzione per andare ad un funerale.
Il dolore, la dolcezza, la carrellata di una vita trascorsa insieme non valgono lo “spreco” di una sola ora di lezione: come se, in quell’ora, cambiassimo i destini di quello che un tempo chiamavamo il “Belpaese”!
Così, in quell’ora, riesci a malapena ad essere presente col corpo, mentre rammenti quando volevamo decorarla – sul pianerottolo della scala antincendio, dove si poteva ancora fumare – con una medaglia di cartapesta per aver letto l’Ulisse di Joyce.
Un tempo, quando i Presidi erano ancora “insegnanti anziani” e non “Dirigenti”, si chiudeva la baracca e s’andava tutti al funerale, perché si riteneva che la riflessione sulla caducità della vita facesse parte dei valori che la scuola doveva insegnare. Una sorta di “laboratorio” dell’ora di Filosofia (o di Religione, per i credenti).

Mentre accompagno la collega claudicante in sala insegnanti, l’aiuto a sedersi e le offro un caffè, ricordo quando anch’io vagavo fra un ospedale e l’altro, fra una TAC ed una risonanza, per cercare di tenere insieme una colonna vertebrale impertinente. Dolorante, zeppo di calmanti, trascorrevo il tempo fra la scuola – dove, oramai, m’accarezzavano la gobba prima del compito di greco – e le anticamere dei medici, le sale d’attesa degli ospedali, le code per pagare il ticket.
Poi, stufo, gettai tutto alle ortiche e decisi che non mi sarei più fatto imbottire di schifezze per star male allo stesso modo. Fui fortunato e forse anche un po’ coraggioso, trovai un buon agopuntore e guarii.
Lei, non ce la fa: inutile raccontarle che tu hai fatto…che c’è il tale…la sua fiducia nella medicina ufficiale è statuaria, non scalfibile, al punto d’avere una figlia che studia medicina. A lei ricorre, sperando in chissà quali miracoli per la comunanza del sangue, la vicinanza epistemologica, la complicità femminile. E sta male.
Sta male perché non ce la fa più: «Vai a casa, prenditi qualche giorno…»
«Non posso, la terza prova, stiamo “provando” la terza prova: non posso “mollare” adesso…»
In realtà, ognuno di noi può “mollare”, anzi, dovrebbe, perché è irragionevole stare in classe in quelle condizioni. Eppure, anch’io l’ho fatto. Perché?
Difficile spiegarlo.
Sgombriamo subito il campo dal sospetto che sia la “tassa sulla malattia” calata con gusto dal piccolo ministro veneto, quasi godendo: nessuno, forse pochi, fra i docenti italiani ha il problema di vedersi decurtato lo stipendio di qualche decina di euro. Non siamo ancora a quel punto e ci voltiamo, più semplicemente, quando passa una brunetta che merita lo sguardo. Una di nome e di fatto, non quell’obbrobrio veneziano.
Il piccolo ministro presenterà al suo capo i frutti del suo taglieggio, il suo capo ne gioirà ed affermerà che “non ha messo le mani nelle tasche degli italiani”, ma non è certo questo il riserbo, quasi il timore di concedersi alla malattia. La vera paura di fermarsi è quella di non farcela più a ripartire, inutile nasconderlo.

La classe docente italiana è la più vecchia d’Europa: il 55% degli insegnanti ha più di 50 anni, contro una media europea del 33%. Non sono dati riportati dai COBAS, bensì quelli ufficiali del Ministero dell’Istruzione: sull’anagrafe, nemmeno miss Gelmini maestrinadellapennarossa può barare.
Per il futuro, non sono previsti mutamenti sostanziali: grazie alle “sapienti” riforme delle pensioni, più i “tagli” sul personale che sono stati definiti “riforma Gelmini”, saranno decapitate generazioni di giovani insegnanti, i precari saranno annullati (problema risolto, no? Berlusconi risolve sempre tutto!) e rimarranno in servizio docenti sempre più vecchi. A volte, girando per i corridoi, si ha l’impressione d’essere all’accettazione del geriatrico.
Con la trovata di chiamare “riforma” i tagli al personale, ordinati da Tremonti e firmati dalla Gelmini, s’è oscurata completamente la drammatica situazione dei docenti e della scuola italiana: poteva forse la Gelmini compiere una riforma? Ci provò Berlinguer – e qualche, minimo risultato l’ottenne, poi vanificato – ma gli ultimi che riformarono veramente la scuola italiana furono Gentile e Lombardo Radice, nel 1923. Non confondiamo il grano con la crusca.
I “furbetti del quartierino” affermeranno d’aver avuto insegnanti anziani bravissimi: oh, come ricordo il prof tale, così bravo…eppure “navigava” ben oltre i sessanta…
I più, lo scrivono comodamente seduti in qualche segreteria di partito: i soldi non te li danno per niente.
Dimenticano che un tempo era una scelta, non un obbligo, mentre oggi siamo precipitati nell’assurdo: si tengono al lavoro dei vecchi claudicanti ed a spasso dei giovani che avrebbero bisogno di un lavoro.

Le ragioni sono tutte dettate dalla logica di questa classe politica rapace: siccome nessuno ha il coraggio di separare la previdenza dall’assistenza – dopo, bisognerebbe mettere le basi per uno Stato realmente europeo, non sudamericano in maschera – così, ogni intervento assistenziale obbliga ad inasprire la previdenza, aumentando l’età pensionabile.
La gestione previdenziale dell’INPS, all’atto della riforma del 2007, era in attivo per un miliardo di euro: pur pagando le pensioni, con la riscossione dei contributi, rimaneva un miliardo. Oggi, l’attivo è di 11 miliardi[1], che saranno ingoiati dalla crisi economica sotto forma di cassa integrazione: l’unico “comparto”, che non viene mai “corroso” dalle crisi, fa capo al milione di persone le quali – sotto moltissime forme – campano di politica. Mica sono fessi.

Il prossimo passo – prima delle elezioni queste cose non si devono dire, come sapere dove sorgeranno i 34 “siti nucleari” – sarà la pensione a 65 anni anche per le donne, così – persone che hanno iniziato a lavorare quando potevano lasciare il lavoro a 55 – si troveranno a lavorare 10 anni di più rispetto alle quasi coetanee. Un insulto. E ci fanno pure ridere le smentite pre-elettorali di Tremonti.
Ovunque voltiamo lo sguardo, ci sono soltanto notizie che narrano di un paese per vecchi: in Italia, per ogni agricoltore sotto i 35 anni, ce ne sono 12,5 sopra i 65, un rapporto di 1 : 12,5! In Francia ed in Germania il rapporto è rispettivamente di 1 : 1,5 e di 1 : 0,8. In Germania, addirittura, aumentano![2].
I medici, a 40 anni – se non hanno “santi in paradiso” – ancora lavorano solo nella Guardia Medica, i “giovani” insegnanti hanno 40 anni: lo scorso anno, seppi che entrò in ruolo una collega di 50 anni, la quale scrisse nella sua relazione “è curioso, giungere all’alfa quando già si scorge l’omega”. Datele torto.
Le proposte turistiche italiane sembrano ritagliate su misura per una pletora di pensionati: anzitutto, è proibito tutto – dormire con il sacco a pelo in spiaggia, piantare una tenda, accendere un falò, fare il bagno nudi, ecc – e le uniche cose che sono permesse sono quelle che costano. Più costano, e più sono permesse: non c’è da stupirsi se i giovani, quando possono, vanno in vacanza all’estero. Chiuderanno un occhio sulla tanta cocaina in circolazione perché costa parecchio?
Siamo così furbi da spendere (come Stato) una fortuna per istruire dei giovani i quali, se diventano bravi nelle loro professioni, cosa rimangono a fare? Persino gli immigrati, se salta fuori un posto in Germania, se ne vanno e, appena possono, tornano al loro paese. Qui, non ci vuole stare più nessuno.

Quando eravamo un paese “giovane”, tutte queste restrizioni non c’erano e nessuno si sognava di farti lavorare oltre i 60 anni: oggi siamo decaduti ed altri paesi sono diventati “giovani”. Che fare?
Ovviamente, “lavorare di più”: ci sembra proprio – visto che gran parte del lavoro è migrato all’estero – la soluzione ottimale. Ricorda un poco quel che raccomandava il manuale degli ufficiali britannici per i prigionieri: “Per tenerli occupati, un giorno fate loro spostare delle pietre dal punto A al punto B, quello seguente le medesime pietre dal punto B a quello A”. Che soluzione.
E’ con questo spirito, un poco caustico ma costruttivo, che abbiamo notato il ritorno sul Web di Domenico de Simone, e ne siamo rimasti felicemente sorpresi. Mimmo: ci mancavi. Perché?
Perché de Simone può vantare veramente la palma di “chi lo aveva detto”, riguardo la crisi economica, ma non è nemmeno questo il punto più importante. Anche altri l’avevano detto, e non servono gare fra “primedonne”.

Il problema dell’economia, in questi anni molto dibattuto, è complesso perché costellato di molti aspetti fra loro interdipendenti.
Si fa risalire, in genere, la “madre” di tutte le nefandezze alla truffa sulla moneta, e questo già il prof. Auriti lo chiarì. Poi, la seconda truffa, l’energia: non potrai mai sottrarti ai nostri monopoli! Al punto che oggi, con il petrolio sotto i 40 $/barile, la benzina dovrebbe costare circa 1,05 mentre costa 1,20. Che bel gruzzolo mettono da parte.
Infine, il lavoro: le aziende “risorgono” (vedi Chrysler) quando riescono a fare accordi con i sindacati che prevedono la fuoruscita dei lavoratori dall’azienda. Ma, le aziende, non dovrebbero creare ricchezza per chi produce? Ho letto solo io, nella Costituzione Italiana, che è prevista la compartecipazione nella gestione (art. 46)?

Art. 3: …E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ar. 38: …I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Art. 46: Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Invece, se ci sono troppi lavoratori, la cosa non funziona più. Perché? Per via dell’automazione, colpa delle macchine.

Un paese “giovane” non rifiuterebbe l’automazione, poiché con l’automazione s’eliminano molte lavorazioni noiose e ripetitive (l’informatica è regina nell’aiutare a compiere mansioni identiche e ripetitive), le quali non sono assolutamente coerenti con la mente umana. Sono soltanto il prodotto dell’ultimo secolo, del fordismo.
L’Uomo, dà il meglio di sé quando può creare, non quando deve riprodurre.
Persino un mediocre ministro della Funzione Pubblica del precedente governo (Niccolais) se n’accorse, al punto da dichiarare che un lavoratore giovane ed informatizzato risultava “produttivo” quanto quattro lavoratori più anziani e privi di perizia nelle nuove tecnologie.

In questo paese per vecchi, difatti, la diffusione della banda larga è estremamente lenta, poiché – piccolo particolare – cozza contro gli interessi televisivi (altro media) di Berlusconi, ma questo è solo un aspetto, pur presente, che risulta tuttavia secondario. Il nesso è più vasto e va oltre il Pelato.
Proviamo ad immaginare agricoltori giovani, istruiti, in grado di promuovere e vendere i loro prodotti sul Web: olio, vino, pasta, formaggi, ecc, come si compra su E-bay. Artigiani che propongono sedie, scrittori libri (io stesso metterò presto in vendita, a prezzi bassissimi, la mia produzione di narrativa in PDF), muratori che mostrano in chiaro prezzi e lavori eseguiti. La lista potrebbe continuare, e parecchio: tutta gente che potrebbe costruirsi un futuro con le proprie mani, senza dover chiedere favori a nessuno.
E dopo, come li controlli? Se questi sono in grado di provvedere da soli a se stessi, io – politico – come posso mendicare il voto? Come riempio l’anticamera del mio studio?
Mantenere il Paese in condizioni d’arretratezza è ciò che consente ad una classe politica, incapace di governance moderne, di non essere travolta: un paese di sudditi, ecco l’unica Italia che questa classe politica – intera – può governare. Luigi XVI, paradossalmente, fu il sovrano francese che più investì per l’istruzione del suo popolo: come andò a finire lo sappiamo, e lo sanno anche i nostri amati “rappresentanti” a Roma, che si “mettono al vento” fornendo un’istruzione da terzo mondo ed occupandosi del Web solo quando meditano di poterlo controllare.

A parole si scaldano per “modernizzare”, “semplificare”, “riordinare” tutto: in pratica, operano proprio all’opposto. Quando governò il centro-sinistra, nonostante la gran profusione di “esperti” nelle rinnovabili che l’allora ministro Pecoraro riunì al suo cenacolo, cosa ne uscì? Nulla. E sul lavoro? Non allungarono (proprio loro!) l’età pensionabile?
La Lega Nord, da decenni, predica fulmini e saette per il Sud, afferma di voler riportare un po’ di legalità e di giustizia nei confronti di un Nord da sempre tartassato. Eppure, sanno benissimo che tutti i dati che riguardano il Sud sono falsati, poiché l’economia del Sud – per la gran parte – è un’economia che non considera lo Stato.
Nessuno ti consegna una ricevuta fiscale al ristorante, le fatture sono un optional e tutto gira “in nero”: i prezzi degli immobili sono più bassi perché tutto il mercato è in nero. Non è però del tutto esatto affermare che il Sud non “riconosce” lo Stato: lo riconosce, e bene, quando c’è da chiedere!

La Sicilia ha un dipendente pubblico ogni trenta abitanti, la Regione mantiene il regime pensionistico di un tempo (19 anni, sei mesi ed un giorno, ecc), così riesce ad avere un turn-over sufficiente per accontentare tutti. Chi? Quelli che un tempo votavano, compatti, DC, poi PSI, ieri Forza Italia, oggi PdL: si vota chi paga, e non stiamo a dire che queste cose la Lega non le sa!
Adesso, per infinocchiare ancora una volta quelli che vanno ai raduni con le corna di Brenno, “spara” quella del federalismo fiscale: se fosse una vera riforma, si dovrebbero ottenere dei risparmi. Invece? Invece, Tremonti è pressato dalle richieste di fondi per varare un federalismo fiscale che deve mantenere il controllo di parte del Sud (Berlusconi, rinuncerà ai voti siciliani? Ma va là…) e concedere qualche nocciolina muffita al Nord. “Tutti saranno garantiti”, ha ricordato il “porcaro” Calderoli: capito mi hai?
Di Pietro si deve ancora capire dove vuole andare a parare, Casini prende ordini dal Vaticano e dallo suocero, i due grandi partiti del +/- L sono soltanto lì per fare affari insieme. Il cadavere di Alleanza Nazionale s’aggira in stanze che nessuno, fra i suoi iscritti storici – se sono onesti, lo ammetteranno – giunge più a riconoscere.
Questi fantasmi di un Paese geriatrico, s’arruffano e litigano per decidere se fare colossali colate di cemento, ma quelli che s’oppongono non hanno alternative da proporre, poiché l’unica alternativa risolutiva è spezzare il rapporto fra lavoro e salario, per iniziare a valutare – per prima cosa – la ricchezza effettivamente prodotta. Questo sarebbe già un buon inizio.

Anche i cosiddetti “oppositori” – da quelli che siedono in Parlamento ad ampi settori di quelli che stanno fuori – mai toccano con decisione il “tasto” del reddito di cittadinanza. Troppo pericoloso: fa il paio con l’auto-produzione d’energia, che è solo ricchezza sotto altra forma.
Per questa ragione, saluto con gioia (può darsi che altri suoi contributi sul Web mi siano sfuggiti) il ritorno di Mimmo, perché – sin dai tempi nei quali scrivevamo entrambi per Malatempora – lui aveva analizzato e provato non solo la truffa sulla moneta, ma anche che costa di più il controllo, per verificare se hai diritto ad un servizio, che fornire il servizio stesso!
De Simone non lo ha “detto”, lo ha provato nei suoi libri, cifre alla mano! Non si limitò alla denuncia, ma raggiunse la proposta!
Solo con il reddito di cittadinanza si potrebbe aprire una nuova stagione – una Italia “per giovani”, verrebbe da dire – poiché, anche se scapolassimo questa crisi economica senza troppe ferite, domani ne giungerebbe un’altra. In fin dei conti, la truffa di creare ricchezza fasulla con i subprime, altro non è che un modo per mascherare che la ricchezza vera prendeva il volo verso altri lidi, soprattutto (negli USA) verso quel 3% di Paperoni che ben sappiamo. Sono riusciti, i vegliardi al potere, a trovare un accordo sui “paradisi fiscali”? E, se non ci riescono perché collusi, non ci vengano a raccontare altre fregnacce!
Oggi, i lavoratori sono di troppo, domani cosa inventeranno: una sorta di “eutanasia controllata”? Drive-in 2000? (Bellissimo e profetico film).

Le molte proposte – pur interessanti e necessarie – che in questi anni sono state portate avanti sulla moneta, sono monche, perché non trattano il nodo centrale: come distribuire la ricchezza? Pur immaginando scenari meno truffaldini, s’arrestano di fronte al sancta sanctorum dell’economia borghese: perché? Chi ha paura di chi?
Anche statalizzando la Banca d’Italia ed un buon numero d’istituti di credito (sul vecchio modello delle Casse di Risparmio, enti senza fine di lucro) l’accumulazione di capitale verso i monopolisti non sarebbe arrestata: il processo, continuerebbe sotto altre forme.
In effetti, ho letto molte analisi sulla moneta e sulla ricchezza che ci viene sottratta, ma ho letto poco sul come utilizzare, poi, quella ricchezza. Per avere stipendi più alti e viaggiare tutti in BMW? E dopo, in astronave? E’ questo il modello che vogliamo?

Tutte le analisi, proposte in questi anni, peccavano spesso di povertà sotto il profilo sociologico: va bene raccontare l’economia borghese, va bene denunciarne le pecche, ma non basta. Bisogna anche avere il coraggio d’affermare che questo modello economico non farà altro che creare sempre ed ovunque ingiustizie, dolori e povertà: è la sua natura precipua! Perché dobbiamo tenercelo? In fin dei conti, è solo uno schema (abbastanza claudicante) al quale ci chiedono d’aderire in modo acritico: perché non possiamo urlare che ne vogliamo un altro?
De Simone ha dimostrato che è possibile, azzerando gli inutili centri di spesa pubblica, fornire a tutti un reddito di cittadinanza minimo, circa 500 euro mensili a persona. E dopo? Se vorrai lavorare lo farai per avere qualcosa in più, ma lo farai con gioia e convinzione, scegliendo quello che vuoi fare, non quello che hai trovato di ripiego. E, la Storia insegna, tutte le grandi innovazioni sono state partorite, strutturate e create da persone che non avevano l’assillo della “rata”, che lavoravano per il gusto di soddisfare una loro necessità di conoscenza, oppure di veder realizzato un progetto!
La colossale balla è che questa economia – falliti i tentativi destra/sinistra del Novecento – sia l’unica possibile, e Mimmo lo ha provato sotto molti aspetti. E’ falso che non possano esistere altri modelli economici, è vero che non possono esistere quelli che lo dicono e lo scrivono: quelli sì che devono essere posti al “confino” mediatico!

Qualcuno, a questo punto dirà: già, ma come possiamo fare?
In realtà, molto lo stiamo già facendo: questo tourbillon d’informazione che circola sul Web, la discrepanza fra la vera e libera informazione (con tutte le pecche del caso, ma “vivida”, “per giovani”) ed i santuari paludati dei media televisivi, già racconta che una rivoluzione è in atto. La vedranno i nostri figli? Pazienza, l’importante è cominciare.
Fra pochi giorni, saranno definitivamente spente le telecamere sul terremoto d’Abruzzo: chi conosce anche solo un poco le tecniche di comunicazione, sa che così è. A differenza del passato, però – ricordiamo, una per tutte, la “ricostruzione” in Irpinia, che fu una colossale spinta al “volano” della criminalità politico/organizzata – siamo certi che i bloggher abruzzesi non spegneranno le loro piccole videocamere, non smetteranno di raccontare le mille nefandezze che, inevitabilmente, i cementieri di regime compiranno. Questo è già cambiamento, è già una piccola rivoluzione: fra poco, “Striscia la notizia” sarà un vago ricordo, poiché surclassata dall’informazione volontaria, portata avanti da migliaia di giovani volonterosi e capaci.
Le elezioni? Il potere?

Fin quando l’astensionismo sarà vicino al 20%, è del tutto inutile cercare aggregazioni: siccome le forze che siedono in Parlamento sono tutte – chi più, chi meno – legate al medesimo carro della globalizzazione e del mercato “über alles”, è tempo perso sognare nuove forze politiche “giovani”.
Bisogna che l’astensionismo giunga a livelli “bulgari” – 40% ed oltre – perché lì c’è un discrimine, quello fra l’astensionismo fisiologico e quello politico. Di fronte ad un 40% degli italiani che li rifiuta, inizieranno a temere – a quel punto, ci sarebbe lo spazio per una nuova forza politica che potrebbe entrare in Parlamento accompagnata dalla fanfara – ed inaspriranno ancor più le mille leggi e leggine con le quali cercano di controllarci. Insomma, “tanto peggio, tanto meglio”: non abbiamo remore ad affermarlo.
Come s’inizia? Cominciando a rifiutare di partecipare al gran sabba che stanno per propinarci: fin quando riusciranno a convogliare la gente verso i seggi, a far credere che la democrazia sia semplicemente tracciare una crocetta ogni cinque anni, nessuno li schioderà. So che molti giovani iniziano – dopo aver votato un paio di volte – a rimuginare, a progettare una bella gita al mare: cominciamo il nostro percorso verso la vera democrazia rifiutando quella falsa, la loro.

Vorremmo un Primo Maggio diverso, non le “sante messe” pagate dal regime con il solito concerto, perché in quel modo ci tolgono la parola. Sogniamo insieme un Primo Maggio dove ci si riconosca su nuove parole d’ordine, su nuovi obiettivi: dal reddito di cittadinanza all’auto-produzione energetica, dalla cura “gentile” del nostro bellissimo Paese (compreso il meraviglioso patrimonio artistico) alle cure “gentili” per il nostro corpo: ne abbiamo bisogno, ne abbiamo diritto.
Per giungere infine ad un nuovo inizio, quello di un mondo di comunità interdipendenti e gioiosamente comunicanti, non i “localismi” che ci prospettano, microcosmi che si guardano in cagnesco e che vorrebbero spacciare per un futuro “alternativo”.
Sogniamo un Primo Maggio di nuove orme, tutte ben calcate sulla punta: non è un sogno, sta a noi crederci.

di Carlo Bertani

Fonte articolo

Stop al consumo di territorio
La Casta dei giornali
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

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