19/04/09

Stangata di Stato

Bamboccioni alla riscossa, bamboccioni, Tremonti, Giulio tremonti, Silvio Berlusconi

L’indignazione degli italiani è come il latte. Fa presto a scadere. Come nel caso della nostra compagnia di bandiera: Alitalia. Che quest’autunno - per settimane, anzi mesi - è stata ospite fissa di prime pagine, tiggì e delle bocche degli italiani. E che ormai è già finita nel dimenticatoio. Un oblio che sa di lusso, visto che il suo salvataggio è costato svariati miliardi di euro. Ed un lusso che non tutti si possono permettere. Cosa che sanno bene le vittime dell’ennesimo crac e degli ennesimi bond.

Quale crac? Ma quello della compagnia di bandiera. Probabilmente se ne sono accorti in pochi. Ma la cosiddetta nuova Alitalia - quella privata, quella degli imprenditori patrioti (coyright: Sivio Berlusconi); insomma quella di Colaninno&co - è, sì, risorta come l’araba fenice. Ma dalle ceneri della vecchia, quella (semi)pubblica, perchè ancora controllata dal ministero del Tesoro. Che in compenso è finita in amministrazione straordinaria. Ovvero: è fallita. Lasciando con un palmo di naso migliaia di risparmiatori.

Il copione di quest’ennesima “sòla” fa tanto “stangata”. Con l’unica differenza che a prendere tutti per il naso, questa volta, non sono stati i soliti scaltri fuorilegge, ma chi le leggi le fa. Cioè lo Stato. Anzi, per la precisione il governo Berlusconi numero 4. Che - giusto una manciata di giorni fa - ha inserito una “normuccia” nel decreto per gli incentivi alle auto. Una “normuccia” che nulla c’entrava con tubi di scapamento e dintorni. Ma che aveva molto a che fare con i debiti della nostra compagnia di bandiera. In breve: nel 2002, la (vecchia) Alitalia aveva piazzato circa 270 milioni di euro di bond a un esercito di 40mila risparmiatori. Risparmiatori che ora - grazie alla normuccia introdotta nel decretuccio - dovrebbe essere risarciti. Ma solo al 32%. Ossia: chi aveva investito dieci, rivedrà indietro poco più di 3. E non è finita qui. Perchè mica si tratterà di soldi veri, ma di titoli di stato. E perchè - colmo dei colmi - perfino l’Argentina, con i suoi tristemente noti tango-bond era stata più corretta e generosa. Restituendo il 35,8% di quel che doveva.

Una vera e propria “stangata di Stato”, dunque. Ben raccontata - giusto mercoledì scorso - dal giornalista di Repubblica, Ettore Livini. In un pezzo che però non ha avuto - come i tanti articoli pubblicati all’epoca del “salvataggio” Alitalia - l’onore della prima pagina. Ma che è finito a pagina 24, tra le notizie di economia. Cioè ben lontano dagli occhi del grande pubblico, che di norma si ferma ai titoloni e alle news in primo piano.

Purtroppo: giornali e tiggì tricolori funzionano così. Si procede per emergenze. Oggi era il terremoto, ieri era Alitalia, l’altro ieri la sicurezza. Emergenze che si gonfiano - come bolle - a dismisura. Per poi esplodere e sparire. Un meccanismo che fa audience e scorre parallelo alla logica e alle esigenze della politica. Che vive di promesse e polveroni; e di “chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato”. Ma che ha un grave difetto: anche dopo che la bolla è esplosa, i problemi rimangono al loro posto. Come, spesso e volentieri, le persone, le mani, le facce che li hanno causati.

Ecco: in questo senso, la stangata Alitaliana (o se preferite all’italiana) non è soltanto una vicenda che merita di essere raccontata. E’ una metafora di questo nostro (ex) Belpaese del Gattopardo. Nel 2002: a pilotare l’operazione bond della compagnia di bandiera erano stati l’allora amministratore delegato Alitalia, Francesco Mengozzi; e l’allora ministro del Tesoro, Giulio Tremonti. Nomi che non sono mai spariti, in questi sette anni, dalla scena politica ed economica che conta. E che oggi sono puntualmente tornati a completare l’opera. Tremonti, nuovamente ministro e sempre al Tesoro, ha celebrato il funerale della compagnia aerea di stato. Mentre per Mengozzi - che aveva lasciato la poltrona di amministratore delegato Alitalia nel non lontano 2004 - quel funerale si è trasformato in una festa.

Motivo? Semplice: dopo aver tentato per due anni, evidentemente senza grande successo, di rilanciare la nostra compagnia di bandiera - ed essere finito nel mirino della magistratura, a dicembre 2008, assieme a tutti i vertici Alitalia degli ultimi anni - è tornato in pista come “superconsulente” (ed è lecito immaginare con relativo e congruo superguadagno). Superconsulente di chi? Ma di Air France. Che anche grazie a lui, a gennaio 2009, è riuscita a mettere le mani sul 25% della nuova Alitalia, quella degli imprenditori patrioti e compagnia briscola.

Ma Mengozzi, ultimamente, di crac ne ha festeggiati, per così dire, addirittura due. Oltre a fare da consulente ad Air France, infatti, nel 2008 lavorava per una famosissima (ex) banca americana. Lehman Brothers. Che come è noto - e questa volta immaginiamo con suo sommo dispiacere - è fallita. Lasciando a sua volta - secondo questo vecchio articolo di Alberto Fiorillo su Venerdì di Repubblica - sempre con un palmo di naso altri 40mila risparmiatori italiani. Che si vanno ad aggiungere ai 40mila traditi da Alitalia. E alle tante vittime dei bond degli ultimi anni: i 450mila che avevano comprato i bond argentini (nell’anno di grazia 2001); i 35mila della Cirio-Del Monte (anno di grazia 2002); i 145mila coinvolti nel crac Parmalat e i 6.500 del crac Giacomelli (2003); e nel 2004 le vittime, meno note, di aziende come Finmek (altri 13.850 risparmiatori coinvolti) e Finmation (25.000 persone). Ma niente paura. Si sa che gli italiani una soluzione la trovano sempre. E infatti: Mengozzi, per sè, l’ha trovata E’ andato a lavorare per la banca giapponese Nomura (come potete leggere nelle pieghe di questo pezzo, sempre di Repubblica). Dove, forse, staranno facendo tutti gli scongiuri.

Cose che capitano in un’Italia con l’indignazione facile (e labile) e la memoria corta. E che continueranno a capitare. Dunque: arrivederci - anzi: a rivederli - al prossimo crac. Che - visti i tempi che corrono e il debito pubblico italiano che continua a sfondare ogni record - speriamo solo non sia quello del Belpaese.

Fonte articolo

La Casta dei giornali
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

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