La Casa Bianca concentra i suoi sforzi bellici in Afghanistan, scenario strategico della disputa globale per le maggiori riserve e risorse energetiche dell’Asia.
Le prime decisioni importanti prese dalla nuova amministrazione americana in materia di politica estera, sembrano accordarsi con le premesse pre-elettorali di Barack Obama a riguardo “dei solidi ideali di libertà Americana”. Guantanamo potrebbe essere…il ritiro delle truppe dall’Iraq potrebbe essere…
Apparenza, presunzione e vacuità sono i parametri con cui questa amministrazione gioca prima di esteriorizzare ed applicare una misura extraterritoriale. La componente religiosa, retrogusto della dottrina del “Destino Manifesto”, è la favorita di Obama.
La cuspide dei labirinti discorsivi a fine di febbraio annunciò il prossimo destino delle truppe dell'Iraq. “È mia intenzione ritirare tutte le truppe militari americane dall’Iraq per la fine del 2010” disse l’inquilino della Casa Bianca, anche se lascerà 50.000 soldatti effettivi per “cooperare” con il paese del Golfo Persico.
Quello è un ritiro o è solo uno spostamento strategico di truppe in Afghanistan? Risponde alla ricerca di pace o alla pressione civile statunitense e allo scarso appoggio degli alleati militari? Cosa c’è dietro a quest’annuncio? Chissà che la risposta non si trovi nel sottosuolo di una gran parte della piattaforma continentale asiatica.
Rileggiamo quando detto da Obama a riguardo della gestione di Bush, in relazione all’Iraq: “Questa guerra indebolisce la nostra sicurezza, la nostra posizione nel mondo, il nostro esercito, la nostra economia e le risorse di cui abbiamo bisogno per affrontare le sfide del XXI secolo. La nostra ostinazione in Iraq non è la strategia adeguata a mantenere gli Stati Uniti al sicuro.”
Obiettivo Afghanistan.
La sete energetica e la perdita dell'egemonia statunitense in Medio Oriente ed Asia Centrale hanno una soluzione per gli strateghi di Washington: controllare l'Afghanistan. Perché?
L’ossessione di Obama non è una conseguenza diretta dell’espansione regionale della resistenza islamica, né dei Talebani, né di Al Qaeda.
Non è neanche una questione di riserve di idrocarburi, la Casa Bianca sa che non sono importanti. Infatti l'Afghanistan si ubica al 63º posto tra i produttori di gas naturale e i giacimenti di petrolio sono ancor meno rilevanti.
L’importanza di questo paese asiatico è dovuta dalla sua posizione geografica, ed il vantaggio che ha l'attuale Presidente degli Stati Uniti è che ancora può sfruttare la “creatura simbolica” del suo predecessore e perpetrare l'invasione: “la guerra preventiva contro il terrorismo islamico."
Un eventuale dominio militare in Afghanistan e la formazione di un Governo a misura sulle necessità di Washington rovescierebbe a beneficio degli americani la possibilità di guadagnare definitivamente il “Gran Gioco” del Petrolio, (espressione che per essere stata usata in un’altri contesti storici, può tornare utile).
Durante il XIX secolo, l’espressione “Gran Gioco” indicava la lotta di due grandi potenze (o più) per il controllo delll’India, la estesa colonia britannica, che oltre alle sue ricchezze, offriva diverse vie di accesso e d’espansione verso il cuore dell’Asia. Per più di 100 anni la Russia zarista ha conteso la gioia Asiatica agli Inglesi, fino a che nel 1907 emtrambi gli imperi si misero d’accordo e se la spartirono in zone di influenza.
Nell’attualità, protagonisti e tesoro in disputa sono altri. Gli Stati Uniti, la grande potenza di fine XX secolo ed inizio XXI, prova a lasciar fuori dal gioco del petrolio i giganti dell’Asia (Russia e Cina) in una corsa geopolitica nella quale tornano utili gli antichi metodi espansionistici.
Gli antichi assiomi che diedero forma al Piano Marshall, alla Diplomazia del Dollaro, mescolati con il bastone e la carota, conditi della Dottrina Monroe…tutti elementi che confluiscono in un cocktail militare corporativo, destinato ad assicurare il controllo e la commercializzazione della risorsa energetica più desiderata attualmente e negli anni futuri.
In questo ordine di cose, il trasporto degli idrocarburi provenienti dal Mar Caspio e dai paesi centro Asiatici verso paesi come India e Pakistan (quest’ultimo con rapporti col mercato internazionale) si vedrebbe facilitato da un “corridoio” energetico afghano.
Le prime decisioni importanti prese dalla nuova amministrazione americana in materia di politica estera, sembrano accordarsi con le premesse pre-elettorali di Barack Obama a riguardo “dei solidi ideali di libertà Americana”. Guantanamo potrebbe essere…il ritiro delle truppe dall’Iraq potrebbe essere…
Apparenza, presunzione e vacuità sono i parametri con cui questa amministrazione gioca prima di esteriorizzare ed applicare una misura extraterritoriale. La componente religiosa, retrogusto della dottrina del “Destino Manifesto”, è la favorita di Obama.
La cuspide dei labirinti discorsivi a fine di febbraio annunciò il prossimo destino delle truppe dell'Iraq. “È mia intenzione ritirare tutte le truppe militari americane dall’Iraq per la fine del 2010” disse l’inquilino della Casa Bianca, anche se lascerà 50.000 soldatti effettivi per “cooperare” con il paese del Golfo Persico.
Quello è un ritiro o è solo uno spostamento strategico di truppe in Afghanistan? Risponde alla ricerca di pace o alla pressione civile statunitense e allo scarso appoggio degli alleati militari? Cosa c’è dietro a quest’annuncio? Chissà che la risposta non si trovi nel sottosuolo di una gran parte della piattaforma continentale asiatica.
Rileggiamo quando detto da Obama a riguardo della gestione di Bush, in relazione all’Iraq: “Questa guerra indebolisce la nostra sicurezza, la nostra posizione nel mondo, il nostro esercito, la nostra economia e le risorse di cui abbiamo bisogno per affrontare le sfide del XXI secolo. La nostra ostinazione in Iraq non è la strategia adeguata a mantenere gli Stati Uniti al sicuro.”
Obiettivo Afghanistan.
La sete energetica e la perdita dell'egemonia statunitense in Medio Oriente ed Asia Centrale hanno una soluzione per gli strateghi di Washington: controllare l'Afghanistan. Perché?
L’ossessione di Obama non è una conseguenza diretta dell’espansione regionale della resistenza islamica, né dei Talebani, né di Al Qaeda.
Non è neanche una questione di riserve di idrocarburi, la Casa Bianca sa che non sono importanti. Infatti l'Afghanistan si ubica al 63º posto tra i produttori di gas naturale e i giacimenti di petrolio sono ancor meno rilevanti.
L’importanza di questo paese asiatico è dovuta dalla sua posizione geografica, ed il vantaggio che ha l'attuale Presidente degli Stati Uniti è che ancora può sfruttare la “creatura simbolica” del suo predecessore e perpetrare l'invasione: “la guerra preventiva contro il terrorismo islamico."
Un eventuale dominio militare in Afghanistan e la formazione di un Governo a misura sulle necessità di Washington rovescierebbe a beneficio degli americani la possibilità di guadagnare definitivamente il “Gran Gioco” del Petrolio, (espressione che per essere stata usata in un’altri contesti storici, può tornare utile).
Durante il XIX secolo, l’espressione “Gran Gioco” indicava la lotta di due grandi potenze (o più) per il controllo delll’India, la estesa colonia britannica, che oltre alle sue ricchezze, offriva diverse vie di accesso e d’espansione verso il cuore dell’Asia. Per più di 100 anni la Russia zarista ha conteso la gioia Asiatica agli Inglesi, fino a che nel 1907 emtrambi gli imperi si misero d’accordo e se la spartirono in zone di influenza.
Nell’attualità, protagonisti e tesoro in disputa sono altri. Gli Stati Uniti, la grande potenza di fine XX secolo ed inizio XXI, prova a lasciar fuori dal gioco del petrolio i giganti dell’Asia (Russia e Cina) in una corsa geopolitica nella quale tornano utili gli antichi metodi espansionistici.
Gli antichi assiomi che diedero forma al Piano Marshall, alla Diplomazia del Dollaro, mescolati con il bastone e la carota, conditi della Dottrina Monroe…tutti elementi che confluiscono in un cocktail militare corporativo, destinato ad assicurare il controllo e la commercializzazione della risorsa energetica più desiderata attualmente e negli anni futuri.
In questo ordine di cose, il trasporto degli idrocarburi provenienti dal Mar Caspio e dai paesi centro Asiatici verso paesi come India e Pakistan (quest’ultimo con rapporti col mercato internazionale) si vedrebbe facilitato da un “corridoio” energetico afghano.
[Oleodotti: le rotte dominate da Russia, Cina o Iran (in blu) e quelle favorite dall'occidente (in rosso).]
Il “corridoio” dell’Oro Nero.
L'economia degli Stati Uniti non si muove per il petrolio e il gas centroasiatico. Le principali fonti di rifornimento degli Stati Uniti sono Venezuela ed Arabia Saudita, e un 15% del petrolio proviene dall'Africa.
Il vero commercio che la Casa Bianca vuole assicurare alle sue compagnie è relazionato con la distribuzione e commercializzazione, all'Europa ed alle grandi economie emergenti, del petrolio che si estrae dal Mar Caspio e dai paesi dell’Asia centrale, che fino a vent’anni fa erano sotto la diretta influenza dell’Unione Sovietica.
Che il centro dell'Asia sia strategico lo comprovano i guadagni che ricevono le compagnie energetiche che operano nei due paesi invasi militarmente in Medio Oriente. Solo nel 2006, le compagnie installate in Iraq ed Afghanistan hanno guadagnato 25 miliardi di dollari.
Allora? Che nascondono le regioni dove, probabilmente, si trovano le maggiori riserve di idrocarburi del mondo per i prossimi anni? Perchè, gli Stati Uniti provano ad aumentare la loro influenza su paesi come Uzbekistan, Tajikistan, Turkmenistan, Kirgizistan e altri del “cuore” dell’Asia? E perchè tutto questo?...Perchè è l'Afghanistan il crucevia di un mega-progetto petrolifero?
Il primo dato da tenere in conto è che l'Asia Centrale viene considerata la terza regione del mondo in quanto a riserve accertate di idrocarburi.
Stime recenti indicano che il Mar Caspio, principalmente coste e baie di Iran, Kazakistan, Azerbaigian, Turkmenistan e Russia, contiene riserve fino a 200 miliardi di barili di petrolio, che sarebbe la quantità necessaria per soddisfare la domanda energetica degli Stati Uniti per 30 anni. La stessa regione contiene quasi il 50% delle risorse di gas naturale mondiale.
Inoltre, nel deserto Karakum in Turkmenistan, si trova la terza riserva mondiale di gas per importanza, approssimativamente 3 miliardi di metri cubi e sei miliardi di riserve di barili di petrolio. In più, l'Uzbekistan è indicato come il paese con le migliori prospettive per diventare esportatore di gas nei prossimi anni.
Kazajstan, Tajikistan e Kirgizistan contano su grandi giacimenti di idrocarburi che non sono ancora stati sfruttati adeguatamente.
Agli occhi di Washington, il potenziale energetico della regione sarebbe ancor più interessante se l'influenza dei suoi vicini russi diminuisse. Di fatti quest’ultimo è uno degli obiettivi della governo di Obama.
Sottrarre alleati a Mosca equivale a sottrargli le rotte del petrolio. Nel mese di gennaio, il pentagono incaricò il comandante in capo della missione “Libertà Duratura” (in Afghanistan) David Petraeus, di negoziare con Kazakistan, Kirguizistan, Tajikistan e Turkmenistan un progetto di trasporto per la fornitura di energia per le truppe presenti sul suolo afgano.
Questa ed altre iniziative diplomatiche progettate dagli Stati Uniti provocarono l'allarme del Cremlino per la paura di perdere in futuro la leadership degli investimenti e distribuzione dell'oro nero della regione. Il progetto della “rotta” petrolifera incaricato a Petraeus e compagnia, che andrebbe dell'Europa Orientale verso l'Afghanistan, potrebbe trasformarsi in un mega-oleodotto capace di trasportare milioni di barili di petrolio che scapperebbero al controllo russo.
Il “corridoio” diretto del petrolio del Caspio con destinazione Europa, (parte dall'Azerbaigian, passa per la Georgia ed arriva in Turchia, attraverso l'oleodotto Bakú-Tiblisi-Ceyhan, BTC) fu incentivato e sostenuto dall'amministrazione Clinton, approfittando delle simpatie dei governi implicati nell'opera. Dal 2005 la Russia ha perso l’esclusiva del controllo nella commercializzazione del petrolio del Caspio con l'Europa.
L'avvicinamento degli Stati Uniti ai paesi centro-asiatici rappresenta una seria minaccia per il Cremlino, ancor di più dopo essere venuti a conoscenza del fatto che Washington ha ottenuto il consenso per creare un corridoio di distribuzione, per usi non militari, verso l'Afghanistan.
In effetti, l'ammiraglio statunitense Mark Hartnichek annunciò in febbraio che la rotta di distribuzione comincerebbe in Lettonia, attraverserebbe Russia, Kazakistan, Uzbekistan e Tajikistan, e per ultimo arriverebbe in Afghanistan. Ore più tardi, funzionari russi negarono il permesso di passare nel loro territorio.
È da far notare, che è in questo scenario di disputa per il petrolio asiatico, nel quale si inserisce la polemica tra Stati Uniti e Russia per l'installazione di un "scudo antimissilistico" sui bordi dell'Europa dell'est. Questo vale anche per la guerra dell’Ossezia del Sud, zona del Caucaso, del 2008.
Vantaggi di un riposizionamento militare.
A questo punto dobbiamo tornare a concentrare la nostra l'attenzione sull'Afghanistan. Controllare il paese dei talebani si tradurrebbe in ottenere la miglior ubicazione per le truppe statunitensi in vista di un eventuale attacco contro l'Iran, uno dei tre paesi con maggiori riserve di petrolio del mondo e (attualmente) la "maggiore minaccia" per la stabilità del Medio Oriente, secondo la Casa Bianca.
Però, quel che importa, è la soluzione che comporterebbe per le compagnie petrolifere statunitensi disseminate in Asia che ancora non sono in grado di esportare dal continente asiatico gli idrocarburi che potrebbero estrarre in quanto non dispongono di adeguati “corridoi” alternativi.
Rispetto all'Iran, gli Stati Uniti assicurerebbero alle sue compagnie energetiche che operano in Medio Oriente, una strada più sicura per trasportare gli idrocarburi, evitando alle navi petroliere di passare per lo Stretto di Ormuz, controllato da Teheran.
Se in futuro Washington riuscisse ad assicurarsi il corridoio di distribuzione sopra menzionato, eliminando l'ampio ventaglio della resistenza afgana, si aprirebbe la strada affinché comincino a concretizzarsi i progetti di costruzione di oleodotti e gasdotti attraverso Afghanistan e Pakistan fino alla città di Karachi. Questa città è il centro economico e finanziario del Pakistan, dove si localizza l'unico porto di scala appropriata per l'eventuale esportazione di idrocarburi provenienti del Caspio e delle vaste riserve del centro dell'Asia (Turkmenistan, Uzbekistan, etc).
L'India (una delle cinque economie più dinamiche del mondo) potrebbere ampliare la lista dei grandi compratori dell'energia trasportata fino all'Afghanistan-Pakistan, e questo diminuirebbe ancora più peso ed influenza della Russia nel gioco delle grandi potenze mondiali.
I vantaggi che deriverebbero ai giganti petroliferi statunitensi ed europei dall’annichilamento definitivo della resistenza afgana sono incalcolabili. In questo contesto, si capiscono le dichiarazioni di Barack Obama quando afferma che "la guerra in Iraq diminuisce la sicurezza degli Stati Uniti, la nostra posizione nel mondo, il nostro esercito, la nostra economia e le risorse che dobbiamo avere per affrontare le sfide del XXI secolo."
La conseguenza di questa politica geostrategica è inviare 100.000 soldati (quelli che abbandoneranno l'Iraq entro il 2010), nei territori montagnosi e desertici controllati dai talebani. Chiaro che questa scelta dista molto dal pretendere pace e stabilità per il Medio Oriente, anche se è questa l'immagine che l'amministrazione di Obama vuole dare.
L'economia degli Stati Uniti non si muove per il petrolio e il gas centroasiatico. Le principali fonti di rifornimento degli Stati Uniti sono Venezuela ed Arabia Saudita, e un 15% del petrolio proviene dall'Africa.
Il vero commercio che la Casa Bianca vuole assicurare alle sue compagnie è relazionato con la distribuzione e commercializzazione, all'Europa ed alle grandi economie emergenti, del petrolio che si estrae dal Mar Caspio e dai paesi dell’Asia centrale, che fino a vent’anni fa erano sotto la diretta influenza dell’Unione Sovietica.
Che il centro dell'Asia sia strategico lo comprovano i guadagni che ricevono le compagnie energetiche che operano nei due paesi invasi militarmente in Medio Oriente. Solo nel 2006, le compagnie installate in Iraq ed Afghanistan hanno guadagnato 25 miliardi di dollari.
Allora? Che nascondono le regioni dove, probabilmente, si trovano le maggiori riserve di idrocarburi del mondo per i prossimi anni? Perchè, gli Stati Uniti provano ad aumentare la loro influenza su paesi come Uzbekistan, Tajikistan, Turkmenistan, Kirgizistan e altri del “cuore” dell’Asia? E perchè tutto questo?...Perchè è l'Afghanistan il crucevia di un mega-progetto petrolifero?
Il primo dato da tenere in conto è che l'Asia Centrale viene considerata la terza regione del mondo in quanto a riserve accertate di idrocarburi.
Stime recenti indicano che il Mar Caspio, principalmente coste e baie di Iran, Kazakistan, Azerbaigian, Turkmenistan e Russia, contiene riserve fino a 200 miliardi di barili di petrolio, che sarebbe la quantità necessaria per soddisfare la domanda energetica degli Stati Uniti per 30 anni. La stessa regione contiene quasi il 50% delle risorse di gas naturale mondiale.
Inoltre, nel deserto Karakum in Turkmenistan, si trova la terza riserva mondiale di gas per importanza, approssimativamente 3 miliardi di metri cubi e sei miliardi di riserve di barili di petrolio. In più, l'Uzbekistan è indicato come il paese con le migliori prospettive per diventare esportatore di gas nei prossimi anni.
Kazajstan, Tajikistan e Kirgizistan contano su grandi giacimenti di idrocarburi che non sono ancora stati sfruttati adeguatamente.
Agli occhi di Washington, il potenziale energetico della regione sarebbe ancor più interessante se l'influenza dei suoi vicini russi diminuisse. Di fatti quest’ultimo è uno degli obiettivi della governo di Obama.
Sottrarre alleati a Mosca equivale a sottrargli le rotte del petrolio. Nel mese di gennaio, il pentagono incaricò il comandante in capo della missione “Libertà Duratura” (in Afghanistan) David Petraeus, di negoziare con Kazakistan, Kirguizistan, Tajikistan e Turkmenistan un progetto di trasporto per la fornitura di energia per le truppe presenti sul suolo afgano.
Questa ed altre iniziative diplomatiche progettate dagli Stati Uniti provocarono l'allarme del Cremlino per la paura di perdere in futuro la leadership degli investimenti e distribuzione dell'oro nero della regione. Il progetto della “rotta” petrolifera incaricato a Petraeus e compagnia, che andrebbe dell'Europa Orientale verso l'Afghanistan, potrebbe trasformarsi in un mega-oleodotto capace di trasportare milioni di barili di petrolio che scapperebbero al controllo russo.
Il “corridoio” diretto del petrolio del Caspio con destinazione Europa, (parte dall'Azerbaigian, passa per la Georgia ed arriva in Turchia, attraverso l'oleodotto Bakú-Tiblisi-Ceyhan, BTC) fu incentivato e sostenuto dall'amministrazione Clinton, approfittando delle simpatie dei governi implicati nell'opera. Dal 2005 la Russia ha perso l’esclusiva del controllo nella commercializzazione del petrolio del Caspio con l'Europa.
L'avvicinamento degli Stati Uniti ai paesi centro-asiatici rappresenta una seria minaccia per il Cremlino, ancor di più dopo essere venuti a conoscenza del fatto che Washington ha ottenuto il consenso per creare un corridoio di distribuzione, per usi non militari, verso l'Afghanistan.
In effetti, l'ammiraglio statunitense Mark Hartnichek annunciò in febbraio che la rotta di distribuzione comincerebbe in Lettonia, attraverserebbe Russia, Kazakistan, Uzbekistan e Tajikistan, e per ultimo arriverebbe in Afghanistan. Ore più tardi, funzionari russi negarono il permesso di passare nel loro territorio.
È da far notare, che è in questo scenario di disputa per il petrolio asiatico, nel quale si inserisce la polemica tra Stati Uniti e Russia per l'installazione di un "scudo antimissilistico" sui bordi dell'Europa dell'est. Questo vale anche per la guerra dell’Ossezia del Sud, zona del Caucaso, del 2008.
Vantaggi di un riposizionamento militare.
A questo punto dobbiamo tornare a concentrare la nostra l'attenzione sull'Afghanistan. Controllare il paese dei talebani si tradurrebbe in ottenere la miglior ubicazione per le truppe statunitensi in vista di un eventuale attacco contro l'Iran, uno dei tre paesi con maggiori riserve di petrolio del mondo e (attualmente) la "maggiore minaccia" per la stabilità del Medio Oriente, secondo la Casa Bianca.
Però, quel che importa, è la soluzione che comporterebbe per le compagnie petrolifere statunitensi disseminate in Asia che ancora non sono in grado di esportare dal continente asiatico gli idrocarburi che potrebbero estrarre in quanto non dispongono di adeguati “corridoi” alternativi.
Rispetto all'Iran, gli Stati Uniti assicurerebbero alle sue compagnie energetiche che operano in Medio Oriente, una strada più sicura per trasportare gli idrocarburi, evitando alle navi petroliere di passare per lo Stretto di Ormuz, controllato da Teheran.
Se in futuro Washington riuscisse ad assicurarsi il corridoio di distribuzione sopra menzionato, eliminando l'ampio ventaglio della resistenza afgana, si aprirebbe la strada affinché comincino a concretizzarsi i progetti di costruzione di oleodotti e gasdotti attraverso Afghanistan e Pakistan fino alla città di Karachi. Questa città è il centro economico e finanziario del Pakistan, dove si localizza l'unico porto di scala appropriata per l'eventuale esportazione di idrocarburi provenienti del Caspio e delle vaste riserve del centro dell'Asia (Turkmenistan, Uzbekistan, etc).
L'India (una delle cinque economie più dinamiche del mondo) potrebbere ampliare la lista dei grandi compratori dell'energia trasportata fino all'Afghanistan-Pakistan, e questo diminuirebbe ancora più peso ed influenza della Russia nel gioco delle grandi potenze mondiali.
I vantaggi che deriverebbero ai giganti petroliferi statunitensi ed europei dall’annichilamento definitivo della resistenza afgana sono incalcolabili. In questo contesto, si capiscono le dichiarazioni di Barack Obama quando afferma che "la guerra in Iraq diminuisce la sicurezza degli Stati Uniti, la nostra posizione nel mondo, il nostro esercito, la nostra economia e le risorse che dobbiamo avere per affrontare le sfide del XXI secolo."
La conseguenza di questa politica geostrategica è inviare 100.000 soldati (quelli che abbandoneranno l'Iraq entro il 2010), nei territori montagnosi e desertici controllati dai talebani. Chiaro che questa scelta dista molto dal pretendere pace e stabilità per il Medio Oriente, anche se è questa l'immagine che l'amministrazione di Obama vuole dare.
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