E' di queste ultime ore lo scoop della settimana, se non del mese.
A presentarlo è il sito internet di Repubblica. La notizia sconvolgente? "L'Aquila, il sindaco chiese aiuto"; in parole povere, il quotidiano di oggi riferisce di un telegramma inviato dal sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, 5 giorni prima del disastro, alla Protezione Civile, al presidente della regione Abruzzo Gianni Chiodi e alla Prefettura per chiedere "aiuto".
Uno scoop. Sì, potremmo chiamarlo così, se non fosse che 7 giorni fa riportavo su questo stesso blog l'articolo datato 2 aprile del quotidiano abruzzese on-line "Prima da noi" (mai titolo fu più azzeccato) in cui si parlava della delibera del comune dell'Aquila in cui il sindaco chiedeva la proclamazione dello Stato d'emergenza.
Una notizia nota da ben 16 giorni. Che tutti hanno ignorato (più o meno volutamente). E che Repubblica scopre oggi. E se ne vanta.
Bastava leggere un piccolo blog o un quotidiano regionale per scoprirlo. Repubblica invece è andata a trovare il telegramma originale tra le macerie. Già, perché senza di quello era logico aspettarsi che "noialtri" stessimo mentendo.
L'aspetto più sconvolgente del terremoto dell'Aquila a detta di molti consiste proprio nell'aver visto strutture pubbliche, alcune con tanto di certificato anti-sisma, crollare al suolo come fossero costruzioni di Lego.
Abbiamo visto la Casa dello Studente implodere verso il suolo e scoprire che aveva crepe da giorni (denunciate dagli stessi studenti che vi abitavano) e che non era altro che un riadattamento di un vecchissimo deposito di medicinali (la solita firma in comune per la "variazione di destinazione d'uso" e il gioco è fatto), o il catasto, struttura ufficialmente antisismica, crollata al suolo, dopo aver scoperto che non si trattava altro di un vecchio albergo trasformato in ufficio pubblico.
Ora l'ultima news, che uno studente come me, che ha passato anni in quell'edificio, vive come un oltraggio: la perizia dei danni all'interno della Facoltà di Ingegneria dell'Università dell'Aquila, il fiore all'occhiello della città.
Una meraviglia architettonica immersa tra i boschi di Monteluco di Roio, a pochissimi chilometri dal capoluogo, la cui costruzione è terminata nei recentissimi anni '90.
Basta fare due passi tra i cumuli di detriti all'interno del cosiddetto "nuovo edificio" della facoltà per scoprire la beffa: i vetri, sospesi a diversi metri d'altezza dai piani, dovevano essere in grado di resistere al terremoto. La garanzia era rappresentata dal cemento armato su cui erano incastonati i vetri.
Ma non era così. Non c'era cemento armato. L'analisi dei detriti effettuata dall'ispezione dei Vigili del Fuoco parla chiaro: niente cemento armato, bensì... plastica! Il cemento costituiva solo un leggerissimo spessore che è ceduto immediatamente assieme a quel mix di plastica e vetro terminati completamente a terra, costruendo un ambiente che assomiglia terribilmente all'interno di in un cassonetto della raccolta differenziata.
L'edificio era naturalmente vuoto quella notte. E migliaia di studenti, di giovani ragazzi, hanno avuto salva la vita per una semplice questione temporale. Sarebbero bastate 5 ore di più e ora ci ritroveremmo di fronte ad un'intera generazione sterminata.
Si chiede giustizia. Si vogliono appurare tutte le responsabilità: degli enti locali, dei costruttori, dei progettisti. Vogliamo che scattino le giuste pene per un reato che rasenta lo stragismo doloso.
Ma basta guardare indietro, alla sentenza della Corte di Cassazione del marzo 1987 a proposito del processo sul terremoto dell'Irpinia: 2 imputati, 7 anni di processo, 3 anni di condanna.
Oppure basta volgere lo sguardo verso eventi più recenti, come quelli sui processi per il terremoto a San Giuliano di Puglia: sei imputati assolti in primo grado e condannati a 6 anni in secondo grado. E sono passati più di 7 anni dal terremoto.
Non avremo giustizia. Non quella che riteniamo giusta. Perché questo paese, il paese del "scurdammece o' passate", non è in grado di fornirla. Non quando è la classe "nobile" del paese ad essere accusata.
A presentarlo è il sito internet di Repubblica. La notizia sconvolgente? "L'Aquila, il sindaco chiese aiuto"; in parole povere, il quotidiano di oggi riferisce di un telegramma inviato dal sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, 5 giorni prima del disastro, alla Protezione Civile, al presidente della regione Abruzzo Gianni Chiodi e alla Prefettura per chiedere "aiuto".
Uno scoop. Sì, potremmo chiamarlo così, se non fosse che 7 giorni fa riportavo su questo stesso blog l'articolo datato 2 aprile del quotidiano abruzzese on-line "Prima da noi" (mai titolo fu più azzeccato) in cui si parlava della delibera del comune dell'Aquila in cui il sindaco chiedeva la proclamazione dello Stato d'emergenza.
Una notizia nota da ben 16 giorni. Che tutti hanno ignorato (più o meno volutamente). E che Repubblica scopre oggi. E se ne vanta.
Bastava leggere un piccolo blog o un quotidiano regionale per scoprirlo. Repubblica invece è andata a trovare il telegramma originale tra le macerie. Già, perché senza di quello era logico aspettarsi che "noialtri" stessimo mentendo.
L'aspetto più sconvolgente del terremoto dell'Aquila a detta di molti consiste proprio nell'aver visto strutture pubbliche, alcune con tanto di certificato anti-sisma, crollare al suolo come fossero costruzioni di Lego.
Abbiamo visto la Casa dello Studente implodere verso il suolo e scoprire che aveva crepe da giorni (denunciate dagli stessi studenti che vi abitavano) e che non era altro che un riadattamento di un vecchissimo deposito di medicinali (la solita firma in comune per la "variazione di destinazione d'uso" e il gioco è fatto), o il catasto, struttura ufficialmente antisismica, crollata al suolo, dopo aver scoperto che non si trattava altro di un vecchio albergo trasformato in ufficio pubblico.
Ora l'ultima news, che uno studente come me, che ha passato anni in quell'edificio, vive come un oltraggio: la perizia dei danni all'interno della Facoltà di Ingegneria dell'Università dell'Aquila, il fiore all'occhiello della città.
Una meraviglia architettonica immersa tra i boschi di Monteluco di Roio, a pochissimi chilometri dal capoluogo, la cui costruzione è terminata nei recentissimi anni '90.
Basta fare due passi tra i cumuli di detriti all'interno del cosiddetto "nuovo edificio" della facoltà per scoprire la beffa: i vetri, sospesi a diversi metri d'altezza dai piani, dovevano essere in grado di resistere al terremoto. La garanzia era rappresentata dal cemento armato su cui erano incastonati i vetri.
Ma non era così. Non c'era cemento armato. L'analisi dei detriti effettuata dall'ispezione dei Vigili del Fuoco parla chiaro: niente cemento armato, bensì... plastica! Il cemento costituiva solo un leggerissimo spessore che è ceduto immediatamente assieme a quel mix di plastica e vetro terminati completamente a terra, costruendo un ambiente che assomiglia terribilmente all'interno di in un cassonetto della raccolta differenziata.
L'edificio era naturalmente vuoto quella notte. E migliaia di studenti, di giovani ragazzi, hanno avuto salva la vita per una semplice questione temporale. Sarebbero bastate 5 ore di più e ora ci ritroveremmo di fronte ad un'intera generazione sterminata.
Si chiede giustizia. Si vogliono appurare tutte le responsabilità: degli enti locali, dei costruttori, dei progettisti. Vogliamo che scattino le giuste pene per un reato che rasenta lo stragismo doloso.
Ma basta guardare indietro, alla sentenza della Corte di Cassazione del marzo 1987 a proposito del processo sul terremoto dell'Irpinia: 2 imputati, 7 anni di processo, 3 anni di condanna.
Oppure basta volgere lo sguardo verso eventi più recenti, come quelli sui processi per il terremoto a San Giuliano di Puglia: sei imputati assolti in primo grado e condannati a 6 anni in secondo grado. E sono passati più di 7 anni dal terremoto.
Non avremo giustizia. Non quella che riteniamo giusta. Perché questo paese, il paese del "scurdammece o' passate", non è in grado di fornirla. Non quando è la classe "nobile" del paese ad essere accusata.
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