Vecchi tromboni e vallette rampanti: tutti in corsa per godersi cinque anni di dolce, e ben remunerato, far niente
Per gl’italiani l’Europa prende forma in due sole occasioni: quando si annuncia la data delle elezioni per l’europarlamento e quando leggono sui giornali i soliti ritornelli “il commissario Vattelapesca bacchetta i nostri conti”, “l’Unione ha emanato la direttiva zeta sulla produzione di latte” o “Bruxelles chiede riforme e sacrifici”. Vaghe e sconnesse sono le nozioni dell’elettore medio che si recherà alle urne il 6 e 7 giugno prossimi per inviare 78 “euro fannulloni strapagati, assenteisti cronici, pensionati di un residence di lusso”, come li ha definiti la governatrice del Piemonte, Mercedes Bresso (1), inviperita per essere stata scavalcata in lista dal “sindacalista a riposo” nonché sindaco di Bologna Sergio Cofferati.
Beata ignoranza
Poco o nulla sa, il nostro votante, di cosa sono, come funzionano e come influiscono sulla sua vita quotidiana la Commissione, il Consiglio, il Parlamento. Per esempio ignora che poco tempo fa, per l’esattezza il 22 aprile 2009, Strasburgo ha varato un pacchetto legislativo che vincola i paesi membri a liberalizzare progressivamente non solo la gestione, ma anche le reti di distribuzione di gas ed elettricità. In sostanza dando il via alla consegna dell’energia nelle case dalle mani pubbliche a quelle, avide di profitti, dei privati, avviati a diventare multinazionali della lampadina e del riscaldamento (2).
Così non immagina neppure che l’80% delle leggi del nostro Paese è sottoposto all’inquadramento del normatificio europeo. Nessuno gli dice che nelle commissioni dove si sfornano direttive a tutto spiano stazionano giorno e notte lobbisti prezzolati da corporations alimentari, case farmaceutiche, compagnie del ferro e del tondino e tutte le grandi industrie continentali, intente a infilare il comma favorevole per strappare l’affare milionario. Non si trova un uomo della strada che sappia spiegare cosa diavolo contengano i trattati di Nizza e di Lisbona e perché mai nazioni come l’Irlanda hanno votato contro la loro adozione; al massimo, i megafoni dei gruppi d’interesse proprietari dei media di massa ricorrono alla formula generica dell’anti-europeismo, che detto così non vuol dire un bel niente.
Usa e Euroschiavi
Soprattutto, si tace scientificamente sull’unico, vero centro di potere che agisce col paravento dei parlamentari eletti e dei commissari nominati dai governi: la Banca Centrale Europea, controllata dagli istituti nazionali a loro volta posseduti dalle banche private. È a Francoforte, dove non a caso i tedeschi, autori dell’architettura finanziaria dell’Ue, hanno imposto di installarvi la sede, è lì che si decide il destino degli europei. Ed è l’euro, la moneta introdotta in Italia come ancora di salvezza dalla voragine del debito pubblico, l’instrumentum regni di un manipolo di signori del credito che proprio attraverso di esso mantengono eterno il debito frutto del signoraggio. Infine, silenzio assoluto sul grande nemico di un’Europa che non sia solo moneta e regolamenti sui consumi: gli Stati Uniti. Washington è storicamente avversa all’idea di ritrovarsi dall’altra parte dell’oceano un gigante di 440 milioni di anime, che va dal Portogallo alla Romania, potenzialmente in grado di competere con la sua forza bellica e, di conseguenza, con la sua egemonia planetaria. Tanto è vero che da anni caldeggia l’ingresso della Turchia, alleato di ferro del Pentagono nel difficile quadrante che guarda al Medioriente e alla Russia, con la missione di far da sentinella e ficcanasare nelle faccende interne del Vecchio Continente. Così come è vero che di archiviare l’ormai superata Nato, longa manus dell’imperialismo americano, non se ne parla: troppo utile, nel reprimere sul nascere eventuali voglie di autonomia militare degli “amici” d’oltre Atlantico.
Test di consenso
Ma tutto questo i sudditi, pardon cittadini, non possono saperlo. Perché è prima di tutto la politica a non volergliene dare notizia. Il motivo è semplice: fatto salvo il condizionamento delle lobby economiche e il ruolo di copertura di un consesso parlamentare ostaggio della Bce, il circo Barnum dei partiti italiani sfrutta il rinnovo dei deputati europei come una staffetta della propria corsa alla conservazione del potere. Le elezioni europee non sono null’altro che un test di consenso che la partitocrazia italica usa per aggiornare i rapporti di forza interni. Sentite mai parlare di problemi specifici che dovranno essere discussi nelle lontane capitali dell’euroburocrazia? Fateci caso: a parte, e sempre che ci siano, vuoti slogan su temi facili e di grande impatto (come le energie rinnovabili, scelte dall’Italia dei Valori di Di Pietro), i cartelloni e gli spot delle campagna in atto puntano molto semplicemente sul nome del candidato. Né più né meno, come fosse soltanto una gara a rastrellare crocette fra singoli esponenti del regime partitocratico. Come se fosse? Lo è. Anche perché il sistema elettorale con cui si voterà a giugno è il vecchio caro proporzionale puro con la possibilità di tre preferenze personali: tot voti al partito tot seggi, e i candidati sparsi in cinque circoscrizioni che prendono più preferenze si assicurano la poltrona (per essere sicuri ce ne vogliono 100 mila, ma anche con 50 mila si è a posto). La legge elettorale è diversa da paese a paese. Nel nostro si è aggiunto uno sbarramento del 4%, il che significa che la lista-partito che non supera tale soglia viene automaticamente escluso dalla spartizione.
Elefanti e soubrettes
Fra parentesi, il meccanismo proporzionale è quello che caratterizzava la famigerata Prima Repubblica. La casta dei politici italiani, tuttavia, se l’è tenuto stretto per l’Europa. Perché è il metodo più efficace per giocare al bilancino, come dicevamo sopra. Il premier Berlusconi si candida ovunque per misurare il polso del popolo che lui ha ribattezzato della Libertà, e chi se ne frega se poi dovrà lasciare lo scranno europeo per incompatibilità. Idem con patate per Di Pietro e Nichi Vendola, presidente rosso della Regione Puglia: incompatibili ma non sia mai che arretrino alla pugna. Franceschini ha rinunciato, ma mica per la favoletta che racconta in giro, e cioè che lui sarebbe corretto nei confronti dell’elettorato non facendosi eleggere per poi dover mollare la sedia. È solo che il Pd orfano del suo ex principale Veltroni è con le pezze al culo, e così è meglio evitare di fare una figuraccia buscando l’ennesima batosta. Ora, non avendo nessun altro scopo che questo, tutto autoreferenziale e provincialotto, è chiaro che sul bilancino ci finiscono o i politicanti di scarto che si abbarbicano all’Europa pur di accaparrarsi lauto stipendio e generose prebende, o i volti improbabili, i personaggi telegenici, vallette, troniste, nani e ballerine. I primi sono l’ubiquo Mastella col PdL, l’uomo con la coppola Cuffaro, il cino-genovese Cofferati, l’amico fiorentino dei costruttori Domenici, l’uomo-ombra dalemiano De Castro, la badessa azzurra della sanità veneta Sartori, il trapassato Berlinguer, il filosofo Vattimo («Il parlamento europeo? una noia mortale») folgorato sulla via di Tonino, il democristiano Carollo acerrimo nemico del veneto Galan e recordman di menefreghismo (zero relazioni presentate), Vittorio Sgarbi che corre con l’Udc ma contemporaneamente vuole iscriversi alla Lega e candidarsi a Rovigo col Pdl, e via così. I secondi sono la Sozio, la rossa del Grande Fratello immortalata a Villa Certosa mano nella mano col Cavaliere; Barbara Matera, scelta personalmente da Silvio per meriti speciali (finalista a Miss Italia, annunciatrice Rai, “letteronza” a Mai dire gol, “letterata” in Chiambretti c'è, inteprete di Carabinieri 7 e “pattinatrice vip” a Notti sul ghiaccio); Staino, vignettista dell’Unità, iscritto al Pd ma candidato con la formazione vendoliana di Sinistra e Libertà «per il bene del Pd»; David Sassoli, mezzobusto del Tg1 dai magnetici occhi azzurri e dalla indefessa fede cattocomunista; il reduce dalla “Fattoria” Fabrizio Corona, gossiparo che ricattava i vip a suon di fotografie, accolto dai camerati della Fiamma (ma non erano quelli che assaltavano gli studi televisivi? cosa non si fa per raggiungere quota 4 per cento). C’è pure un certo Tiziano Motti che ha iniziato a far propaganda come “indipendente” facendosi sponsorizzare dagli enti locali in qualità di presidente di una neutrale associazione per i diritti del cittadino per arrivare così, per posta, nelle case degli elettori; poi ha gettato la maschera e ha conquistato il suo posticino fra le fila berlusconiane.
Una farsa
Senza alcuna personalità di rilievo, con pochissimi esperti della macchina europolitica, i gruppi parlamentari zeppi di raccomandati e mezze tacche, logico che perfino nell’arena eterodiretta di Strasburgo l’Italia passa da paesucolo di incompetenti rubastipendio. Parcheggiati lì a bella posta e assenteisti senza vergogna: 56% di presenze nel 2004, e nella legislatura che sta per scadere le cose non sono cambiate granché. Quelle bestie rare che lavorano, dalle parti di Bruxelles, si disperano così: «Dovevo quasi supplicare 20 righe ai direttori dei giornali per far uscire la notizia che avevamo ottenuto importanti finanziamenti», è il ricordo di Franz Turchi, deputato europeo di An vicepresidente della commissione Bilancio nella penultima legislatura. «E quando a Roma passavo alla Camera o al Senato, un sacco di amici mi chiedevano cosa mai si discutesse da noi in commissione, concludendo con un inevitabile. Ma che ce vai a fa’?»3. Noi invece ci chiediamo: ma che votiamo a fa’? Di tutte le elezioni-farsa di una democrazia-truffa come questa, che si pretende e si proclama “rappresentativa” mentre non è che un burattino manovrato dall’alto, l’elezione europea è senza dubbio la più inutile e ridicola. E a noi gli spettacoli truccati non interessano più.
Per gl’italiani l’Europa prende forma in due sole occasioni: quando si annuncia la data delle elezioni per l’europarlamento e quando leggono sui giornali i soliti ritornelli “il commissario Vattelapesca bacchetta i nostri conti”, “l’Unione ha emanato la direttiva zeta sulla produzione di latte” o “Bruxelles chiede riforme e sacrifici”. Vaghe e sconnesse sono le nozioni dell’elettore medio che si recherà alle urne il 6 e 7 giugno prossimi per inviare 78 “euro fannulloni strapagati, assenteisti cronici, pensionati di un residence di lusso”, come li ha definiti la governatrice del Piemonte, Mercedes Bresso (1), inviperita per essere stata scavalcata in lista dal “sindacalista a riposo” nonché sindaco di Bologna Sergio Cofferati.
Beata ignoranza
Poco o nulla sa, il nostro votante, di cosa sono, come funzionano e come influiscono sulla sua vita quotidiana la Commissione, il Consiglio, il Parlamento. Per esempio ignora che poco tempo fa, per l’esattezza il 22 aprile 2009, Strasburgo ha varato un pacchetto legislativo che vincola i paesi membri a liberalizzare progressivamente non solo la gestione, ma anche le reti di distribuzione di gas ed elettricità. In sostanza dando il via alla consegna dell’energia nelle case dalle mani pubbliche a quelle, avide di profitti, dei privati, avviati a diventare multinazionali della lampadina e del riscaldamento (2).
Così non immagina neppure che l’80% delle leggi del nostro Paese è sottoposto all’inquadramento del normatificio europeo. Nessuno gli dice che nelle commissioni dove si sfornano direttive a tutto spiano stazionano giorno e notte lobbisti prezzolati da corporations alimentari, case farmaceutiche, compagnie del ferro e del tondino e tutte le grandi industrie continentali, intente a infilare il comma favorevole per strappare l’affare milionario. Non si trova un uomo della strada che sappia spiegare cosa diavolo contengano i trattati di Nizza e di Lisbona e perché mai nazioni come l’Irlanda hanno votato contro la loro adozione; al massimo, i megafoni dei gruppi d’interesse proprietari dei media di massa ricorrono alla formula generica dell’anti-europeismo, che detto così non vuol dire un bel niente.
Usa e Euroschiavi
Soprattutto, si tace scientificamente sull’unico, vero centro di potere che agisce col paravento dei parlamentari eletti e dei commissari nominati dai governi: la Banca Centrale Europea, controllata dagli istituti nazionali a loro volta posseduti dalle banche private. È a Francoforte, dove non a caso i tedeschi, autori dell’architettura finanziaria dell’Ue, hanno imposto di installarvi la sede, è lì che si decide il destino degli europei. Ed è l’euro, la moneta introdotta in Italia come ancora di salvezza dalla voragine del debito pubblico, l’instrumentum regni di un manipolo di signori del credito che proprio attraverso di esso mantengono eterno il debito frutto del signoraggio. Infine, silenzio assoluto sul grande nemico di un’Europa che non sia solo moneta e regolamenti sui consumi: gli Stati Uniti. Washington è storicamente avversa all’idea di ritrovarsi dall’altra parte dell’oceano un gigante di 440 milioni di anime, che va dal Portogallo alla Romania, potenzialmente in grado di competere con la sua forza bellica e, di conseguenza, con la sua egemonia planetaria. Tanto è vero che da anni caldeggia l’ingresso della Turchia, alleato di ferro del Pentagono nel difficile quadrante che guarda al Medioriente e alla Russia, con la missione di far da sentinella e ficcanasare nelle faccende interne del Vecchio Continente. Così come è vero che di archiviare l’ormai superata Nato, longa manus dell’imperialismo americano, non se ne parla: troppo utile, nel reprimere sul nascere eventuali voglie di autonomia militare degli “amici” d’oltre Atlantico.
Test di consenso
Ma tutto questo i sudditi, pardon cittadini, non possono saperlo. Perché è prima di tutto la politica a non volergliene dare notizia. Il motivo è semplice: fatto salvo il condizionamento delle lobby economiche e il ruolo di copertura di un consesso parlamentare ostaggio della Bce, il circo Barnum dei partiti italiani sfrutta il rinnovo dei deputati europei come una staffetta della propria corsa alla conservazione del potere. Le elezioni europee non sono null’altro che un test di consenso che la partitocrazia italica usa per aggiornare i rapporti di forza interni. Sentite mai parlare di problemi specifici che dovranno essere discussi nelle lontane capitali dell’euroburocrazia? Fateci caso: a parte, e sempre che ci siano, vuoti slogan su temi facili e di grande impatto (come le energie rinnovabili, scelte dall’Italia dei Valori di Di Pietro), i cartelloni e gli spot delle campagna in atto puntano molto semplicemente sul nome del candidato. Né più né meno, come fosse soltanto una gara a rastrellare crocette fra singoli esponenti del regime partitocratico. Come se fosse? Lo è. Anche perché il sistema elettorale con cui si voterà a giugno è il vecchio caro proporzionale puro con la possibilità di tre preferenze personali: tot voti al partito tot seggi, e i candidati sparsi in cinque circoscrizioni che prendono più preferenze si assicurano la poltrona (per essere sicuri ce ne vogliono 100 mila, ma anche con 50 mila si è a posto). La legge elettorale è diversa da paese a paese. Nel nostro si è aggiunto uno sbarramento del 4%, il che significa che la lista-partito che non supera tale soglia viene automaticamente escluso dalla spartizione.
Elefanti e soubrettes
Fra parentesi, il meccanismo proporzionale è quello che caratterizzava la famigerata Prima Repubblica. La casta dei politici italiani, tuttavia, se l’è tenuto stretto per l’Europa. Perché è il metodo più efficace per giocare al bilancino, come dicevamo sopra. Il premier Berlusconi si candida ovunque per misurare il polso del popolo che lui ha ribattezzato della Libertà, e chi se ne frega se poi dovrà lasciare lo scranno europeo per incompatibilità. Idem con patate per Di Pietro e Nichi Vendola, presidente rosso della Regione Puglia: incompatibili ma non sia mai che arretrino alla pugna. Franceschini ha rinunciato, ma mica per la favoletta che racconta in giro, e cioè che lui sarebbe corretto nei confronti dell’elettorato non facendosi eleggere per poi dover mollare la sedia. È solo che il Pd orfano del suo ex principale Veltroni è con le pezze al culo, e così è meglio evitare di fare una figuraccia buscando l’ennesima batosta. Ora, non avendo nessun altro scopo che questo, tutto autoreferenziale e provincialotto, è chiaro che sul bilancino ci finiscono o i politicanti di scarto che si abbarbicano all’Europa pur di accaparrarsi lauto stipendio e generose prebende, o i volti improbabili, i personaggi telegenici, vallette, troniste, nani e ballerine. I primi sono l’ubiquo Mastella col PdL, l’uomo con la coppola Cuffaro, il cino-genovese Cofferati, l’amico fiorentino dei costruttori Domenici, l’uomo-ombra dalemiano De Castro, la badessa azzurra della sanità veneta Sartori, il trapassato Berlinguer, il filosofo Vattimo («Il parlamento europeo? una noia mortale») folgorato sulla via di Tonino, il democristiano Carollo acerrimo nemico del veneto Galan e recordman di menefreghismo (zero relazioni presentate), Vittorio Sgarbi che corre con l’Udc ma contemporaneamente vuole iscriversi alla Lega e candidarsi a Rovigo col Pdl, e via così. I secondi sono la Sozio, la rossa del Grande Fratello immortalata a Villa Certosa mano nella mano col Cavaliere; Barbara Matera, scelta personalmente da Silvio per meriti speciali (finalista a Miss Italia, annunciatrice Rai, “letteronza” a Mai dire gol, “letterata” in Chiambretti c'è, inteprete di Carabinieri 7 e “pattinatrice vip” a Notti sul ghiaccio); Staino, vignettista dell’Unità, iscritto al Pd ma candidato con la formazione vendoliana di Sinistra e Libertà «per il bene del Pd»; David Sassoli, mezzobusto del Tg1 dai magnetici occhi azzurri e dalla indefessa fede cattocomunista; il reduce dalla “Fattoria” Fabrizio Corona, gossiparo che ricattava i vip a suon di fotografie, accolto dai camerati della Fiamma (ma non erano quelli che assaltavano gli studi televisivi? cosa non si fa per raggiungere quota 4 per cento). C’è pure un certo Tiziano Motti che ha iniziato a far propaganda come “indipendente” facendosi sponsorizzare dagli enti locali in qualità di presidente di una neutrale associazione per i diritti del cittadino per arrivare così, per posta, nelle case degli elettori; poi ha gettato la maschera e ha conquistato il suo posticino fra le fila berlusconiane.
Una farsa
Senza alcuna personalità di rilievo, con pochissimi esperti della macchina europolitica, i gruppi parlamentari zeppi di raccomandati e mezze tacche, logico che perfino nell’arena eterodiretta di Strasburgo l’Italia passa da paesucolo di incompetenti rubastipendio. Parcheggiati lì a bella posta e assenteisti senza vergogna: 56% di presenze nel 2004, e nella legislatura che sta per scadere le cose non sono cambiate granché. Quelle bestie rare che lavorano, dalle parti di Bruxelles, si disperano così: «Dovevo quasi supplicare 20 righe ai direttori dei giornali per far uscire la notizia che avevamo ottenuto importanti finanziamenti», è il ricordo di Franz Turchi, deputato europeo di An vicepresidente della commissione Bilancio nella penultima legislatura. «E quando a Roma passavo alla Camera o al Senato, un sacco di amici mi chiedevano cosa mai si discutesse da noi in commissione, concludendo con un inevitabile. Ma che ce vai a fa’?»3. Noi invece ci chiediamo: ma che votiamo a fa’? Di tutte le elezioni-farsa di una democrazia-truffa come questa, che si pretende e si proclama “rappresentativa” mentre non è che un burattino manovrato dall’alto, l’elezione europea è senza dubbio la più inutile e ridicola. E a noi gli spettacoli truccati non interessano più.
di Alessio Mannino
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