E’ il 14 luglio ‘92, a meno di mese dalla strage di Capaci.
Due consulenti informatici sono incaricati dalla Procura di Caltanissetta di effettuare una perizia su agende elettroniche e altro materiale rinvenuto nell’ufficio e nelle abitazioni di Roma e Palermo del giudice Giovanni Falcone.
Gli esperti sono Luciano Petrini, ingegnere elettronico e Gioacchino Genchi, funzionario di polizia.
Per analizzare il materiale informatico i due esperti impiegano sei mesi, ed esaminano i supporti anche alla ricerca del presunto diario del giudice.
Un’ipotesi materializzatasi un mese dopo la strage, quando Il Sole 24 Ore pubblica due pagine di appunti che Falcone ha consegnato, nel luglio 1991, alla giornalista Liana Milella.
Vi sono annotati episodi che testimoniano le difficoltà vissute dal magistrato nella Procura di Palermo.
L’articolo suscita molti interrogativi. La giornalista, il 25 giugno, consegna le cartelle ai magistrati affermando che provengono dal diario di Falcone.
Si tratta di due pagine scritte così, di getto, oppure Falcone teneva veramente un diario?
E’ un’ipotesi che alcuni escludono e altri, al contrario, confermano.
Due dei colleghi di Falcone, in particolare, non sembrano avere dubbi. Sono Antonino Caponnetto, fondatore del pool antimafia di Palermo, e Giuseppe Ayala che ne parla già prima dell’uscita dell’articolo della Milella.
«Una mattina lessi sul Sole 24 Ore che erano stati pubblicati i suoi diari, per lo meno quelle due cartelle - scrive Caponnetto (I miei giorni a Palermo, Garzanti, 1993) -. Le altre non so dove siano andate a finire, perché ce n’erano sicuramente delle altre, che coprivano tutto il periodo della Procura».
E da testimone privilegiato racconta un episodio: «Ricordo una frase di Falcone: “Mi sto divertendo con un ordigno che ti farebbe impazzire”. Conosceva la mia avversione verso i meccanismi di informatica. Gli chiesi: “Come va con i tuoi diari? Te li porti sempre appresso?”. Rispose: “Ora non ne ho più bisogno. Ho un’agenda elettronica che è una cosa meravigliosa, nella quale trasferisco (...) la mia vita di ogni giorno”. “Ah!”, gli dissi “ti sei messo anche tu a fare un diario ...” (...). “No” disse, “non è che stia facendo un diario. Solo che ci sono dei fatti, degli episodi che preferisco memorizzare e annotare a futura memoria”. Queste furono le sue testuali parole. Questo avveniva agli inizi dell’‘89 (...)».
Anche le affermazioni fatte da Giuseppe Ayala il 20 giugno 1992, prima della pubblicazione degli appunti di Falcone, concordano con quanto affermato da Caponnetto: «Falcone aveva un diario puntualissimo, della cui esistenza ha messo a conoscenza soltanto me e, forse una volta, Paolo Borsellino; in quel diario scriveva tutto. Tutto era riportato in un dischetto, perché scriveva su un computer. (...)» (L’agenda rossa di Borsellino, Chiarelettere, 2007).
Queste sono solo due delle voci autorevoli, vicine al magistrato, che affermano l’esistenza di un suo presunto diario. Ciò che è certo, è che Falcone era preciso, meticoloso e si avvaleva di computer e agendine elettroniche sulle quali annotava tutto.
Altrettanto certo, come testimonieranno i due esperti davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, è che dopo la morte di Falcone, qualcuno cancella i dati presenti sulle sue agende elettroniche e sul suo computer portatile Toshiba.
Qualcuno, forse maldestramente, apre e risalva diversi file presenti nel computer dell’ufficio del magistrato al ministero di Grazia e Giustizia.
Una ricostruzione tecnica complessa che seguiamo attraverso gli atti.
L’8 e 9 gennaio 1996, Genchi e Petrini testimoniano sulla perizia che hanno svolto davanti ai magistrati della Corte d’assise di Caltanissetta, al processo per la strage di Capaci.
Hanno classificato ed esaminato 101 reperti appartenuti al giudice Falcone.
Sono precisi, preparati, parlano di memorie cancellate, di file modificati e rieditati nel periodo successivo alla strage. E di anomalie.
La prima è quella relativa al computer portatile di Falcone, un modello Toshiba.
Viene rinvenuto dai familiari del magistrato, insieme all’agendina elettronica Casio, nella sua abitazione palermitana di via Notarbartolo.
Dopo la pubblicazione del citato articolo di Liana Milella, e nonostante i primi sopralluoghi già effettuati dalla polizia, computer e agendina elettronica sembrano riapparire dal nulla.
Genchi e Petrini accertano che dopo la strage, il 9 giugno ‘92, sul portatile qualcuno ha installato un programma pc tools, utilizzato sia per recuperare che per cancellare definitivamente i file.
La memoria del Toshiba è stata “ripulita”.
Anche l’agendina portatile Casio, ritrovata in via Notarbartolo, ha subito la stessa sorte.
«E’ stata trovata totalmente cancellata (...)», testimonia Genchi davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta.
I due consulenti ne ripristinano il contenuto. Però manca qualcosa di non trascurabile. L’agenda Casio aveva la predisposizione per l’espansione di memoria con una ram card esterna. Questa ram card e il cavetto di collegamento al pc non vengono ritrovati.
«La ram card - testimonia il consulente Genchi -, era stata sicuramente in possesso del giudice Falcone in quanto, per quanto mi riguarda e mi risulta, l’aveva e forse ne aveva pure più di una (...)».
I due consulenti informatici recuperano anche i dati che qualcuno ha cancellato dall’agenda elettronica Sharp di Falcone.
Sono stati tutti recuperati i dati? «Se si fosse modificato un numero telefonico di un soggetto che risultava già inserito nell’agenda - spiega Genchi - o gli si fosse cambiato il nome o si fosse cancellato un numero di un’annotazione già precedente o cambiato l’oggetto di un appuntamento calendarizzato con una certa data, in nessun modo la consulenza avrebbe mai potuto rilevare il contenuto di un operazione di editazione avvenuta prima della consegna dei reperti».
A strage avvenuta, gli inquirenti appongono i sigilli all’ufficio romano di Falcone, presso il ministero di Grazia e Giustizia. I computer e i supporti informatici utilizzati dal magistrato, però, non vengono sequestrati.
Il successivo 30 maggio 1992 si procede alla ricognizione dei “reperti” rinvenuti nell’ufficio.
Anche questa volta il prezioso materiale non viene sequestrato e, anzi, si restituisce alla libera disponibilità della Direzione generale degli affari penali.
Solo il 23 giugno, a distanza di un mese dalla strage di Capaci, e dopo l’uscita dell’articolo di Liana Milella, la Procura ritorna nello stesso ufficio e dispone materialmente il sequestro dei computer e dei supporti informatici utilizzati dal magistrato.
Come testimonierà Genchi davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta che «in quel computer sequestrato, nella stanza sequestrata sono stati, diciamo, editati in epoca successiva al 23 maggio dei file».
Quando «ci sono delle rieditazioni sul supporto magnetico, cioè allorché si rivà a rieditare, quindi a riscrivere o per errore o per dolo o per imperizia, con qualunque volontà e intenzione - come spiega Genchi nella testimonianza del 9 gennaio ‘96 -, si va a rioccupare una parte dell’hard disk e si va a incidere sulla possibilità di recuperare eventuali dati cancellati, quindi il supporto perde quella verginità, diciamo, quella originale forma fisica logica di contenuto di dati che in effetti aveva dal momento in cui il suo legittimo titolare ne aveva cessato la disponibilità».
Nel computer Compact rinvenuto nell’ufficio di Falcone, presso la Direzione affari penali, è installato anche il programma Perseo.
Come spiegherà l’ingegnere Luciano Petrini, si tratta di «un prodotto che è stato sviluppato espressamente per conto del ministero di Grazia e Giustizia, per le automazioni di taluni uffici giudiziari (...). Lo stesso prodotto è stato utilizzato per l’acquisizione della documentazione relativa ai fascicoli, ai faldoni Gladio».
Non è quindi un programma comune. Per utilizzarlo occorre avere conoscenze specifiche.
Il 19 giugno 1992, nell’ufficio sigillato del ministero di Grazia e Giustizia, Direzione affari penali, qualcuno apre e legge i file del programma Perseo contenuti nel computer di Falcone.
Tra questi, anche la sintesi delle schede di Gladio.
La data di apertura viene registrata automaticamente dal sistema, anche se non vengono materialmente effettuate modifiche.
Quindi, in un ufficio sigillato, qualcuno ha avuto accesso a quelle informazioni.
L’operazione avviene il 19 giugno 1992.
«L’ora è le 15:08 - come afferma Genchi - tra l’altro nella successione oraria in cui si rilevano queste modifiche operate e queste editazioni in epoca successiva alla strage, si può cogliere anche la sequenza cronologica con cui chi materialmente ha operato, ha ispezionato, questi sistemi informatici (...)».
Qualcuno, quindi, ha cancellato i dati delle agendine di Falcone, ha fatto sparire la ram card dell’agenda Casio, ha “ripulito” la memoria del portatile Toshiba, riapparso nell’abitazione palermitana del magistrato.
Nell’ufficio sigillato del ministero, ha quantomeno letto e risalvato i file del suo computer e ha avuto accesso alle informazioni contenute nel programma Perseo.
Solo casualità, maldestre operazioni? Può darsi.
Ma chi e perché si è precipitato a cancellare i dati delle agende e del Toshiba?
Al termine del processo per la strage di Capaci si sosterrà che dalle perizie eseguite sui computer “non si evince manipolazione dei supporti informatici”.
Perché, allora, Genchi subisce un trattamento ostile di cui parla nel corso della sua testimonianza a Caltanissetta?
«Dopo l’accettazione di questo incarico, in effetti, ho dovuto rilevare una serie di atteggiamenti estremamente diversi da parte del ministero dell’Interno - afferma Genchi -. (...) Tenga conto che io allora rivestivo l’incarico di direttore della Zona telecomunicazioni (...) e proprio dopo la strage mi era stato dato l’incarico, per coordinare meglio alcune attività anticrimine, presso la Criminalpol della Sicilia occidentale di dirigente del Nucleo anticrimine. Il dirigente dell’epoca, che sicuramente non agiva da solo perché si vedeva che era portavoce di volontà e decisioni ben più alte, in effetti non mi ha certamente agevolato in questo lavoro (...); siamo ritornati con la decodifica dell’agenda, ho ricevuto varie pressioni (...) fui trasferito, per esigenze di servizio con provvedimento immediato, dalla Zona telecomunicazioni all’Undicesimo reparto mobile».
Sei mesi dopo l’udienza, accade una tragica fatalità.
Il 9 maggio 1996, Luciano Petrini viene trovato morto nel suo appartamento di via Pallavicini, a Roma, con il cranio fracassato.
Gli investigatori puntano a una pista gay, poi caduta nel vuoto.
Il pm Luca Tescaroli esclude che la sua perizia possa costituire movente del delitto.
Sono molti gli interrogativi che rimarranno intorno alla morte di Falcone e su ciò che avvenne dopo.
“Manine o manone” silenziose appaiono immancabilmente in ogni omicidio e strage della nostra storia recente.
Il mistero dei documenti trafugati dalla cassaforte del generale Dalla Chiesa, l’agendina scomparsa del giudice Mario Amato, l’agendina rossa di Paolo Borsellino.
Sono “mani” mosse da intrecci complessi che tentano di cancellare la storia.
Le sentenze non si possono riscrivere, ma la storia, prima o poi sì.
Due consulenti informatici sono incaricati dalla Procura di Caltanissetta di effettuare una perizia su agende elettroniche e altro materiale rinvenuto nell’ufficio e nelle abitazioni di Roma e Palermo del giudice Giovanni Falcone.
Gli esperti sono Luciano Petrini, ingegnere elettronico e Gioacchino Genchi, funzionario di polizia.
Per analizzare il materiale informatico i due esperti impiegano sei mesi, ed esaminano i supporti anche alla ricerca del presunto diario del giudice.
Un’ipotesi materializzatasi un mese dopo la strage, quando Il Sole 24 Ore pubblica due pagine di appunti che Falcone ha consegnato, nel luglio 1991, alla giornalista Liana Milella.
Vi sono annotati episodi che testimoniano le difficoltà vissute dal magistrato nella Procura di Palermo.
L’articolo suscita molti interrogativi. La giornalista, il 25 giugno, consegna le cartelle ai magistrati affermando che provengono dal diario di Falcone.
Si tratta di due pagine scritte così, di getto, oppure Falcone teneva veramente un diario?
E’ un’ipotesi che alcuni escludono e altri, al contrario, confermano.
Due dei colleghi di Falcone, in particolare, non sembrano avere dubbi. Sono Antonino Caponnetto, fondatore del pool antimafia di Palermo, e Giuseppe Ayala che ne parla già prima dell’uscita dell’articolo della Milella.
«Una mattina lessi sul Sole 24 Ore che erano stati pubblicati i suoi diari, per lo meno quelle due cartelle - scrive Caponnetto (I miei giorni a Palermo, Garzanti, 1993) -. Le altre non so dove siano andate a finire, perché ce n’erano sicuramente delle altre, che coprivano tutto il periodo della Procura».
E da testimone privilegiato racconta un episodio: «Ricordo una frase di Falcone: “Mi sto divertendo con un ordigno che ti farebbe impazzire”. Conosceva la mia avversione verso i meccanismi di informatica. Gli chiesi: “Come va con i tuoi diari? Te li porti sempre appresso?”. Rispose: “Ora non ne ho più bisogno. Ho un’agenda elettronica che è una cosa meravigliosa, nella quale trasferisco (...) la mia vita di ogni giorno”. “Ah!”, gli dissi “ti sei messo anche tu a fare un diario ...” (...). “No” disse, “non è che stia facendo un diario. Solo che ci sono dei fatti, degli episodi che preferisco memorizzare e annotare a futura memoria”. Queste furono le sue testuali parole. Questo avveniva agli inizi dell’‘89 (...)».
Anche le affermazioni fatte da Giuseppe Ayala il 20 giugno 1992, prima della pubblicazione degli appunti di Falcone, concordano con quanto affermato da Caponnetto: «Falcone aveva un diario puntualissimo, della cui esistenza ha messo a conoscenza soltanto me e, forse una volta, Paolo Borsellino; in quel diario scriveva tutto. Tutto era riportato in un dischetto, perché scriveva su un computer. (...)» (L’agenda rossa di Borsellino, Chiarelettere, 2007).
Queste sono solo due delle voci autorevoli, vicine al magistrato, che affermano l’esistenza di un suo presunto diario. Ciò che è certo, è che Falcone era preciso, meticoloso e si avvaleva di computer e agendine elettroniche sulle quali annotava tutto.
Altrettanto certo, come testimonieranno i due esperti davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, è che dopo la morte di Falcone, qualcuno cancella i dati presenti sulle sue agende elettroniche e sul suo computer portatile Toshiba.
Qualcuno, forse maldestramente, apre e risalva diversi file presenti nel computer dell’ufficio del magistrato al ministero di Grazia e Giustizia.
Una ricostruzione tecnica complessa che seguiamo attraverso gli atti.
L’8 e 9 gennaio 1996, Genchi e Petrini testimoniano sulla perizia che hanno svolto davanti ai magistrati della Corte d’assise di Caltanissetta, al processo per la strage di Capaci.
Hanno classificato ed esaminato 101 reperti appartenuti al giudice Falcone.
Sono precisi, preparati, parlano di memorie cancellate, di file modificati e rieditati nel periodo successivo alla strage. E di anomalie.
La prima è quella relativa al computer portatile di Falcone, un modello Toshiba.
Viene rinvenuto dai familiari del magistrato, insieme all’agendina elettronica Casio, nella sua abitazione palermitana di via Notarbartolo.
Dopo la pubblicazione del citato articolo di Liana Milella, e nonostante i primi sopralluoghi già effettuati dalla polizia, computer e agendina elettronica sembrano riapparire dal nulla.
Genchi e Petrini accertano che dopo la strage, il 9 giugno ‘92, sul portatile qualcuno ha installato un programma pc tools, utilizzato sia per recuperare che per cancellare definitivamente i file.
La memoria del Toshiba è stata “ripulita”.
Anche l’agendina portatile Casio, ritrovata in via Notarbartolo, ha subito la stessa sorte.
«E’ stata trovata totalmente cancellata (...)», testimonia Genchi davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta.
I due consulenti ne ripristinano il contenuto. Però manca qualcosa di non trascurabile. L’agenda Casio aveva la predisposizione per l’espansione di memoria con una ram card esterna. Questa ram card e il cavetto di collegamento al pc non vengono ritrovati.
«La ram card - testimonia il consulente Genchi -, era stata sicuramente in possesso del giudice Falcone in quanto, per quanto mi riguarda e mi risulta, l’aveva e forse ne aveva pure più di una (...)».
I due consulenti informatici recuperano anche i dati che qualcuno ha cancellato dall’agenda elettronica Sharp di Falcone.
Sono stati tutti recuperati i dati? «Se si fosse modificato un numero telefonico di un soggetto che risultava già inserito nell’agenda - spiega Genchi - o gli si fosse cambiato il nome o si fosse cancellato un numero di un’annotazione già precedente o cambiato l’oggetto di un appuntamento calendarizzato con una certa data, in nessun modo la consulenza avrebbe mai potuto rilevare il contenuto di un operazione di editazione avvenuta prima della consegna dei reperti».
A strage avvenuta, gli inquirenti appongono i sigilli all’ufficio romano di Falcone, presso il ministero di Grazia e Giustizia. I computer e i supporti informatici utilizzati dal magistrato, però, non vengono sequestrati.
Il successivo 30 maggio 1992 si procede alla ricognizione dei “reperti” rinvenuti nell’ufficio.
Anche questa volta il prezioso materiale non viene sequestrato e, anzi, si restituisce alla libera disponibilità della Direzione generale degli affari penali.
Solo il 23 giugno, a distanza di un mese dalla strage di Capaci, e dopo l’uscita dell’articolo di Liana Milella, la Procura ritorna nello stesso ufficio e dispone materialmente il sequestro dei computer e dei supporti informatici utilizzati dal magistrato.
Come testimonierà Genchi davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta che «in quel computer sequestrato, nella stanza sequestrata sono stati, diciamo, editati in epoca successiva al 23 maggio dei file».
Quando «ci sono delle rieditazioni sul supporto magnetico, cioè allorché si rivà a rieditare, quindi a riscrivere o per errore o per dolo o per imperizia, con qualunque volontà e intenzione - come spiega Genchi nella testimonianza del 9 gennaio ‘96 -, si va a rioccupare una parte dell’hard disk e si va a incidere sulla possibilità di recuperare eventuali dati cancellati, quindi il supporto perde quella verginità, diciamo, quella originale forma fisica logica di contenuto di dati che in effetti aveva dal momento in cui il suo legittimo titolare ne aveva cessato la disponibilità».
Nel computer Compact rinvenuto nell’ufficio di Falcone, presso la Direzione affari penali, è installato anche il programma Perseo.
Come spiegherà l’ingegnere Luciano Petrini, si tratta di «un prodotto che è stato sviluppato espressamente per conto del ministero di Grazia e Giustizia, per le automazioni di taluni uffici giudiziari (...). Lo stesso prodotto è stato utilizzato per l’acquisizione della documentazione relativa ai fascicoli, ai faldoni Gladio».
Non è quindi un programma comune. Per utilizzarlo occorre avere conoscenze specifiche.
Il 19 giugno 1992, nell’ufficio sigillato del ministero di Grazia e Giustizia, Direzione affari penali, qualcuno apre e legge i file del programma Perseo contenuti nel computer di Falcone.
Tra questi, anche la sintesi delle schede di Gladio.
La data di apertura viene registrata automaticamente dal sistema, anche se non vengono materialmente effettuate modifiche.
Quindi, in un ufficio sigillato, qualcuno ha avuto accesso a quelle informazioni.
L’operazione avviene il 19 giugno 1992.
«L’ora è le 15:08 - come afferma Genchi - tra l’altro nella successione oraria in cui si rilevano queste modifiche operate e queste editazioni in epoca successiva alla strage, si può cogliere anche la sequenza cronologica con cui chi materialmente ha operato, ha ispezionato, questi sistemi informatici (...)».
Qualcuno, quindi, ha cancellato i dati delle agendine di Falcone, ha fatto sparire la ram card dell’agenda Casio, ha “ripulito” la memoria del portatile Toshiba, riapparso nell’abitazione palermitana del magistrato.
Nell’ufficio sigillato del ministero, ha quantomeno letto e risalvato i file del suo computer e ha avuto accesso alle informazioni contenute nel programma Perseo.
Solo casualità, maldestre operazioni? Può darsi.
Ma chi e perché si è precipitato a cancellare i dati delle agende e del Toshiba?
Al termine del processo per la strage di Capaci si sosterrà che dalle perizie eseguite sui computer “non si evince manipolazione dei supporti informatici”.
Perché, allora, Genchi subisce un trattamento ostile di cui parla nel corso della sua testimonianza a Caltanissetta?
«Dopo l’accettazione di questo incarico, in effetti, ho dovuto rilevare una serie di atteggiamenti estremamente diversi da parte del ministero dell’Interno - afferma Genchi -. (...) Tenga conto che io allora rivestivo l’incarico di direttore della Zona telecomunicazioni (...) e proprio dopo la strage mi era stato dato l’incarico, per coordinare meglio alcune attività anticrimine, presso la Criminalpol della Sicilia occidentale di dirigente del Nucleo anticrimine. Il dirigente dell’epoca, che sicuramente non agiva da solo perché si vedeva che era portavoce di volontà e decisioni ben più alte, in effetti non mi ha certamente agevolato in questo lavoro (...); siamo ritornati con la decodifica dell’agenda, ho ricevuto varie pressioni (...) fui trasferito, per esigenze di servizio con provvedimento immediato, dalla Zona telecomunicazioni all’Undicesimo reparto mobile».
Sei mesi dopo l’udienza, accade una tragica fatalità.
Il 9 maggio 1996, Luciano Petrini viene trovato morto nel suo appartamento di via Pallavicini, a Roma, con il cranio fracassato.
Gli investigatori puntano a una pista gay, poi caduta nel vuoto.
Il pm Luca Tescaroli esclude che la sua perizia possa costituire movente del delitto.
Sono molti gli interrogativi che rimarranno intorno alla morte di Falcone e su ciò che avvenne dopo.
“Manine o manone” silenziose appaiono immancabilmente in ogni omicidio e strage della nostra storia recente.
Il mistero dei documenti trafugati dalla cassaforte del generale Dalla Chiesa, l’agendina scomparsa del giudice Mario Amato, l’agendina rossa di Paolo Borsellino.
Sono “mani” mosse da intrecci complessi che tentano di cancellare la storia.
Le sentenze non si possono riscrivere, ma la storia, prima o poi sì.
da Terra del 23 maggio 2009
di Fedora Raugei
Fonte articolo
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