L’ottimismo vola. I fatti e i numeri, invece, no. Sono passate settimane da quando presidenti e primi ministri di mezzo mondo - dall’americanissimo Barack Obama al “papi” nazionale - hanno cominciato a intravedere segnali positivi nelle nebbie della peggior crisi finanziaria dal 1929 ad oggi. Ma le notizie - quelle cattive, s’intende - continuano a fioccare. L’ultima è arrivata giusto lunedì scorso dalle pagine del New York Times. Ed è di quelle ferali. Per riassumerla in “technichese”: dopo i “subprime”, potrebbe essere la volta dei “prime”. Per dirla piatta piatta: le banche di mezzo mondo non hanno fatto a tempo a riprendersi dalla prima mazzata, che potrebbe arrivargliene tra capo e collo una seconda.
Ma andiamo per ordine. E partiamo non da una, ma da tre premesse. Primo: che sono ’sti benedetti mutui subprime di cui si parla - pure sulle Cnn e i New York Times de’ noantri - da ormai un anno e rotto? Beh, semplice: mutui concessi a clienti “al di sotto dell’ideale” (questo è il significato italiano della parola subprime). Cioè mutui concessi a persone che non avevano tutte le carte (e i redditi) in regola per chiedere un prestito e comprare casa. Punto secondo: negli ultimi anni, finanziarie e banche Usa di questi mutui - che potremmo definire eufemisticamente non proprio “sicuri” - ne hanno fatti a pacchi. E infine e punto terzo: per farla semplice e stare sul punto - cioè i mutui - si potrebbe dire che a fare da detonatore della crisi sono stati proprio loro, i clienti subprime. Che hanno smesso di pagare le rate, mandando in tilt le banche. Tanto per esser chiari: a febbraio 2009, i mutui subprime che avevano qualche problemino (o problemone) di pagamento erano, secondo il New York Times, arrivati a quota 1,65 milioni (leggere due volte: oltre un milione e mezzo di mutui subprime non sono stati pagati; e quindi la casa è stata pignorata; o rischia di esserlo).
Esaurite le premesse, arriviamo alla notizia. Sempre secondo il New York Times: questa sorta di “dance macabre” dei mutui rischia di concedere una replica. Motivo: la crisi economica scatenata dai mutui subprime - negli Stati Uniti - ha già distrutto qualcosa come 5,7 milioni di posti di lavoro. Conclusione (fin troppo logica): sempre più clienti delle banche che una volta erano “prime” - cioè avevano carte e redditi in regola per chiedere prestiti - ora non lo sono più. Perchè sono stati licenziati. E quindi: neppure loro riescono più a pagare il mutuo.
Quanti sono questi clienti “prime” in difficoltà? Beh, non proprio una bazzecola. Sempre secondo l’analisi condotta dal New York Times (su dati forniti dalla società di consulenza, First American CoreLogic): i mutui “prime” che erano in ritardo con le rate o che si erano già conclusi con il classico pignoramento della casa erano - a febbraio 2009 - ben 1,5 milioni. Cioè, solo 150mila in meno dei famigerati subprime. Non solo. Ma questo numero è stato raggiunto con una grande accelerata finale. Solo negli ultimi cinque mesi (cioè da novembre a febbraio, ultimo mese analizzato dai giornalisti del New York Times), i clienti “prime” finiti sott’acqua sono stati 473.000. Per cui e totale totale: i mutui che - a febbraio di quest’anno - avevano qualche problemino (o problemone) hanno raggiunto la soglia dei 4 milioni. Il che - tradotto in dollari - fa un buco (potenziale) di 717 miliardi di dollari. Tradotto in parole povere: siamo nel bel mezzo di un’altra “ondata e si sta intensificando”, ha detto al New York Times, Mark Zandi, capo economista di Moody’s.
Solo numeri del lotto e catastrofismo facile (anche se da parte di una fonte autorevole)? Non sembrerebbe proprio. Tanto è vero che - giusto ieri - è arrivata un’altra raffica di numeri per nulla rassicuranti. Il numero di mutui finiti con default e pignoramenti - negli Usa - continua a viaggiare a ritmi da record (340mila solo ad aprile, secondo il Financial Times). Mentre il prezzo delle case - che poi è quello che rimane in mano alle banche, se il mutuo va a ramengo - sempre ad aprile e sempre secondo il Financial Times, continua ad essere in caduta libera. Ma - come direbbe il nostro “papi” nazionale - sempre con il giusto ottimismo.
In pratica: il rischio è che si scateni un vero e proprio circolo vizioso della nostra economia dei consumi. Quello della spirale del debito. Ovvero: imprese e banche in difficoltà licenziano; i lavoratori licenziati faticano a comprare e pagare i loro debiti (dal mutuo alle rate della macchina); le imprese vedono calare ancora di più i profitti e moltiplicano i licenziamenti; e così via. E, per ora, l’amministrazione Obama ha potuto fare ben poco su questo fronte. Nonostante il megapiano di stimolo all’economia da 787 miliardi di dollari, solo ad aprile si sono persi oltre mezzo milione di posti di lavoro. Nonostante un provvedimento ad hoc per stoppare la strage dei mutui, soltanto 55.000 cittadini americani non hanno perso casa (per ora) grazie agli aiuti del governo Obama. Una goccia nel mare.
Dirà qualcuno di voi: ma a me che me frega, non so’ americano e non c’ho manco il mutuo. Errore. E infatti: in questi anni, le banche americane hanno coltivato un’ottima - si fa per dire - abitudine. Quella di vendere i propri mutui ad altri, sotto forma di titoli. Titoli oggi definiti “tossici” che impestano i bilanci delle banche dell’intero orbe terracqueo e che hanno costretto i governi di mezzo mondo (compreso il nostro) a mettere mano al portafoglio per aiutare gli istituti di credito in difficoltà. E quindi: se dopo l’onda dei subprime, dovesse scatenarsi lo tsunami dei mutui “prime”, anche le banche europee non ne sarebbero immuni. Istituti di credito tricolori compresi.
E a proposito di onde di titoli tossici e di banche italiane. Il Fondo monetario internazionale - come ha ricordato anche l’economista Jean Pisani-Ferry, una decina di giorni fa - ha stimato che gli istituti di credito europei dovrebbero avere in pancia carta straccia americana per circa 1.200 miliardi di dollari. Peccato che: sempre le banche della Ue abbiano ammesso perdite per soli 260 miliardi di dollari. Come a dire: un quarto. Dov’è finito - se c’è - il resto? Se lo chiedeva - giusto lunedì scorso - anche il commissario europeo per l’economia Joaquin Almunia. Lo ha scritto El Paìs. Mentre sui giornali italiani, delle parole di Almunìa (e del possibile tsunami dei mutui prime) non c’era una riga.
Le nostre banche - quelle del Belpaese che “sta meglio degli altri” - non hanno proprio nulla da dire a riguardo?
Aggiornamento: è notizia di oggi pomeriggio (27 maggio 2009), che - per l’appunto - i guai sul fronte del credito Usa sono tutt’altro che finiti. Scrive infatti l’agenzia di stampa americanca Bloomberg che:
May 27 (Bloomberg) — U.S. “problem” banks climbed 21 percent to the highest total in 15 years in the first quarter (…). The FDIC (ovvero la Federal deposit insurance corp, NdA) classified 305 banks with $220 billion in assets as “problem” lenders as of March 31, an increase from 252 with $159 billion in assets in the fourth quarter.
Ovvero e in italiano:
Le banche Usa con problemi sono aumentate del 21 per cento nel primo trimestre del 2009, l’aumento più elevato degli ultimi 15 anni. La FDIC ha rilevato 305 banche e 220 mliardi di dollari di asset a rischio al 31 marzo 2009, mentre nell’ultimo trimestre del 2009 le banche a rischio erano 252 con 159 miliardi di asset.
Secondo le pagine italiane di Reuters:
Il rialzo è dovuto al fatto che le banche stanno fronteggiando sempre maggiori perdite su crediti legate ai mutui residenziali, agli immobili commerciali e alle carte di credito.
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