30/05/09

Se lo dice (anche) il Financial Times

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E’ difficile dire quante volte questo blog ha ripetuto la stessa solfa. E ce ne scusiamo con i lettori. Perchè repetita non semper iuvant. Ma se la situazione non cambia - e l’Italia da almeno 3 lustri sembra più che ferma, pietrificata - non si può far altro che (de)scrivere sempre le stesse cose. Anzi e per quel che ci riguarda: gli stessi tre concetti (in croce). Primo: giornali e tiggì, da troppo tempo, sono infarciti (per lo più) di nulla. Secondo: il dibattito politico italiano è (sempre più) basato sul vuoto spinto. Terzo: per volontà o per comodo, media e politica fanno di tutto per non concentrarsi sui problemi reali del nostro (ex) Belpaese. Problemi che, poi - a parte un dettaglio della storia, come la crisi economia peggiore dal 1929 ad oggi - sono sempre gli stessi da almeno vent’anni. Dallo strapotere delle mafie a un debito pubblico esplosivo; passando per una classe politica che - eufemismo - si potrebbe definire amorale. E senza dimenticare parecchi eccetera eccetera. Marco Travaglio - prima di mettersi a fare lo spin doctor part time di Antonio Di Pietro e della sua Italia dei Valori (e a volte pure il suo avvocato difensore) - aveva ben sintetizzato il tutto in un libro, che fin dal titolo spiegava ogni cosa: “La scomparsa dei fatti”.

Un volume che aveva un’unica lacuna. Dimenticava di dire che - da tempo - in Italia, non era scomparsa solo la realtà, ma anche le idee. E senza un’idea di dove andare, non si va da nessuna parte.

Per questo chi scrive aveva accolto con sollievo l’uno-due con cui il Financial Times - all’inizio di questa settimana - aveva colpito in piena faccia l’immagine già ammaccata del nostro (ex) Belpaese all’estero. Non per amore di questo quotidiano britannico, vera e propria bibbia in salsa liberista delle lobby finanziarie anglosassoni. Non per il gusto quasi “tafazziano” con cui un certo establishment di una certa sinistra - che ormai non ha perso soltanto la sua identità, ma anche il buon senso - fa la ola, quando i giornali esteri buttano fango addosso non solo al Cavalier Silvio Berlusconi da Arcore, ma su gli italiani tutti.

No. Il sollievo nasceva dal fatto che in quelle poche righe vergate dal Financial Times, c’era (anche) del vero. E quel po’ di vero era espresso in modo lucido. E obiettivo. Cosa che ormai, in questa Italia delle parrocchie e della politica in stile derby calcistico (con tanto di tifosi-elettori al seguito), non capita più.

Nel primo editoriale - quello di martedì scorso - infatti il Financial Times ne aveva per tutti. Per Berlusconi, che veniva bocciato senz’appello fin dal titolo:

La funesta influenza del vecchio burlone

Per i giornalisti genuflessi; e i soliti noti del Piddì, con le loro facce che - perfino in tivù e nonostante il make up - appaiono sempre più esangui e sempre più somiglianti ai nobili bizzantini prima della caduta dell’Impero romano d’Oriente:

Che egli sia così potente è in parte colpa di una sinistra incerta, di istituzioni deboli e talvolta politicizzate, e del giornalismo, che ha troppo spesso accettato un ruolo subalterno.

E pure per quella sinistra nuova e nata vecchia (il Di Pietro di cui sopra) che, in pieno Ventunesimo secolo, agita ancora simulacri e spettri di inizio 900:

Il fascismo non è un probabile futuro per l’Italia. Vale la pena dirlo, perché cosí é stato previsto. Molti ritengono che la crisi finanziaria sommata a Silvio Berlusconi dia come risultato un ritorno al fascismo. (…) Ma questo è un risultato improbabile, attualmente. (….) Berlusconi non è sicuramente Mussolini: ha squadre di showgirls, non di camicie nere.

Ma soprattutto il quotidiano britannico riusciva - una vera missione impossibile per le Cnn e i New York Times de’ noantri - a cogliere il succo di quella strategia del rimbambimento che esiste in tutto il mondo, ma che nell’Italia berlusconiana è divenuta paradigma e forma mentis:

il pericolo di Berlusconi è diverso da quello di Mussolini. Si tratta dello svuotamento attraverso i media dei contenuti seri della politica, rimpiazzandoli con l’intrattenimento.

Di qui la speranza che quelle parole - pronunciate da una fonte (ritenuta dai più) autorevole e quindi influente - potessero rompere per un istante l’incantesimo. Far esplodere l’ultima bolla mediatica che impedisce di parlare di qualsiasi altra cosa (quella, ça va sans dire, della bella Noemi). E riuscissero, come il sasso nello stagno, finalmente a smuovere le acque paludose della politica e della pubblica opinione italiota.

Pia illusione.

Il giorno dopo che il Financial Times aveva sparato il suo editoriale in prima pagina, si è ripetuto il solito copione. I giornali più vicini alla cosiddetta sinistra hanno titolato: la stampa estera boccia il premier. I colleghi più vicini alla cosiddetta destra hanno parlato di complotto ai danni del Cavaliere. Insomma e in pratica: l’hanno buttata, come si dice in Italia, in politica. Nel senso deteriore dell’espressione, s’intende.

E a nulla è servito che il quotidiano britannico - neppure 48 ore dopo; con un secondo editoriale al vetriolo (pubblicato, per la cronaca, giovedì scorso) abbia rincarato la dose. Puntando sempre sui fatti, anzi su uno dei fatti che i media tricolori hanno deciso di ignorare da anni:

In the court of public opinion, however, some may consider it surprising that Berlusconi has not been convicted of being one of the worst stewards of the Italian economy since 1945. His first, short-lived government in 1994 achieved nothing. His five-year spell in power from 2001 to 2006 was notable mainly for its failure to introduce the liberalising reforms that Italy desperately needs to make itself competitive in the eurozone. Now, he is presiding over a decline that the International Monetary Fund thinks may make Italy the only eurozone country to experience three consecutive years of recession, from 2008 to 2010.

(…) Comunque qualcuno potrebbe trovare sorprendente che Berlusconi non sia stato condannato, dal tribunale dell’opinione pubblica, per essere stato una delle peggiori guide dell’opinione pubblica dal 1945 ad oggi. Il suo primo governo, che ebbe vita breve nel 1994, non fece nulla di sodo. Il suo “incantesimo” al potere per 5 anni - dal 2001 al 2006 - fu notevole soprattutto per il fallimento nell’introdurre quelle riforme di impronta liberale di cui l’Italia ha disperatamente bisogno per diventare competitiva nell’eurozona. E ora sta guidando un declino che, secondo il Fondo monetario internazionale, potrebbe fare dell’Italia l’unico Paese che sperimenterà tre anni consecutivi di recessione, dal 2008 al 2010.

Ma soprattutto:

Worst of all, Italy’s public debt is set to soar to 116 per cent of gross domestic product by 2010, according to the European Commission. In other words, Italy will be back where it was in the late 1990s. Noemi or no Noemi, this is Berlusconi’s real sin.

Ma la cosa peggiore di tutte è che il debito pubblico italiano, secondo le stime della Commissione europea, potrebbe aumentare fino al 116% del Pil entro il 2010. In altre parole, l’Italia tornerà indietro a dov’era alla fine degli anni Novanta. Noemi o non Noemi, questo è la vera colpa di Berlusconi.

Altre parole chiare. Semplici. Dirette. E vere. Perchè - per chi non se ne fosse accorto - negli anni del governo Berlusconi numero 2 (2001-2006), gli stipendi degli italiani sono rimasti fermi inchiodati. Mentre il reddito (proprio quello dichiarato al fisco) del Cavaliere si è moltiplicato per dieci e passa volte. E questo perchè la nostra economia - Fininvest esclusa - è ferma non da oggi, ma da anni. E presto - con il debito pubblico che esplode - finiremo per pagare il conto.

Parole che - però - come le precedenti sono finite nel nulla. Addirittura: “Corriere della Sera” e “La Stampa” non hanno riportato una riga (o almeno chi scrive non è stato in grado di trovarla) . Mentre, ieri, La Repubblica - che dedicava la solita mazzetta di pagine al feuilleton di Casoria - liquidava il tutto così:

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Risultato finale: oggi - e nonostante l’allarme lanciato dal numero uno di Banca d’Italia, Mario Draghi (lavoratori decimati e Pil giù del 5% nel 2009) - i giornali on line hanno ripreso gioiosamente a pompare la bolla mediatica sulla cenerentola (chiamiamola così) di Casoria. E si presentano cosà:

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Recita una vecchia massima: “I grandi uomini parlano di idee, i medi di avvenimenti, i piccoli di persone”. Inutile dire a quale categoria - secondo politici e direttori dei giornali - appartengano gli italiani. E forse - verrebbe da dire - che non hanno neppure torto.

Fonte articolo

Stop al consumo di territorio
La Casta dei giornali
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

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