Ma che ce tocca de’ vede’. Ma che ce tocca de’ senti’. Le urne si sono chiuse. Le elezioni concluse. E - come da copione - le pagine dei giornali si sono riempite delle urla di giubilo di Sinistra e Destra e Centro. Franceschini, dalla poltrona di segretario del Piddì, ha festeggiato per l’inizio del declino di Berlusconi. E Berlusconi ha fatto sapere che se deve andar male, che vada sempre così. Epperò: anche se sono contenti loro, purtroppo non vuol dire che debbano essere contenti tutti. Anzi. Perchè in mezzo alla crisi economica peggiore dal 1929 ad oggi - mentre le aziende arrancano e la disoccupazione esplode - non c’è nulla da festeggiare. E perchè queste elezioni - soprattutto quelle europee - hanno portato pessime notizie.
I fatti, prima di tutto. Mai come in questo caso: Gran Bretagna docet. Quasi tutti sanno che, alle ultime elezioni europee, il semisconosciuto British national party - che sul suo sito si definisce “contro l’immigrazione di massa”; e che dalla stampa italiana è stato più banalmente definito “razzista” - ha fatto il pieno di voti. Conquistando un 6% di elettori. E pure un paio di seggi al Parlamento di Strasburgo (prima volta nella sua storia). Ma in pochi sanno che la rabbia degli inglesi contro gli immigrati non è finita solo nelle urne. Sette giorni fa: alcune famiglie rumene - un centinaio di persone in tutto - sono state costrette a rifugiarsi nottetempo in una chiesa. Vivevano in un quartiere di Belfast e qualcuno le ha convinte - a mattonate nelle finestre - a mollare armi e bagagli, e a fuggire di casa. Un mezzo pogrom che per fortuna non ha fatto vittime. E che martedì scorso ha conosciuto il suo epilogo: cento dei centoquindici rumeni presi a mattonate hanno deciso di farsi rimpatriare. Tradotto: di scappare dall’Irlanda del Nord (che per la cronaca e per chi non lo sapesse, sempre Gran Bretagna è). E a gambe levate.
Quello che però quasi nessuno sa è che tutto - il successo del British national party, come i disordini di Belfast - era, per così dire, già scritto. Nero su bianco. E da almeno un anno.
E infatti. Nel 2007: una commissione del Parlamento inglese si era messa di buzzo buono a studiare il fenomeno immigrazione. Dopo 6 mesi di lavoro - e dopo aver ascoltato il parere di una valanga di esperti (professori universitari, uomini d’affari, politici che lavoravano sul territorio) - la commissione presieduta dall’ex ministro dell’Energia e politico conservatore, Lord Wakeham - era arrivato ad una (poco) serena conclusione. La vulgata del governo - che voleva gli immigrati come una inesauribile fonte di ricchezza per tutti gli inglesi (ricchi e poveri; giovani e vecchi) - era semplicemente una bufala.
Numeri e conclusioni dell’indagine finirono dritti dritti alla Camera dei Lord, giusto un annetto fa (nell’aprile 2008). Ne nacque una guerra di cifre che fece molto rumore, finendo tra l’altro sulle pagine del quotidiano britannico “The Guardian” e sul blasonato “Financial Times”. Ma per farla breve. Secondo il governo presieduto da Gordon Brown: tutti gli inglesi - grazie agli immigrati - guadagnavano mediamente 30 sterline in più all’anno. Secondo la commissione: quelle trenta sterline erano come il cosiddetto “pollo di Trilussa”. Trilussa - poeta romano de’ Roma - osservò in un suo stornello che non sempre la statistica è capace di fotografare fedelmente la realtà. Perché se qualcuno mangia un pollo, e qualcun altro no, in media hanno mangiato mezzo pollo. Ma qualcuno è rimasto a bocca asciutta. E questa era - se così vogliamo dire - anche l’opinione della commissione Wakeham: il flusso di immigrati sempre più massiccio di inizio anni Duemila - 300mila nuovi arrivi nel 2006 contro i 100mila del 1990 - aveva lasciato sul terreno vincitori e vinti.
A guadagnarci erano stati soprattutto gli imprenditori che si erano ritrovati per le mani tanta manodopera a buon mercato. E, nel loro piccolo, gli immigrati che incassavano stipendi inglesi da spendere (anche) in madrepatrie che avevano prezzi ben più bassi di Londra e dintorni. A perderci, invece, erano stati gli inglesi più poveri e con i titoli di studio più bassi che avevano trovato negli stranieri dei “concorrenti” nella caccia ai lavori più semplici e umili. Non solo. Ma l’indagine aveva rivelato anche che la presenza di una massa crescente di lavoratori stranieri aveva - per effetto della legge della domanda e dell’offerta - fatto lievitare il costo delle case. E anche quello del cosiddetto welfare. Perchè - ad esempio - le scuole, per far fronte a una marea montante di bambini che non parlavano inglese, aveva dovuto assumere nuovi insegnanti e interpreti (pagati ovviamente a suon di tasse).
Bene. Chi aveva ragione: il governo o la commissione Wakeham? Non sta a chi scrive - che di mestiere non fa nè il sociologo, nè l’economista - dirlo. Ma sta di fatto che una buona fetta dei sudditi di sua Maestà - complice una crisi che ha ridotto i polli per tutti - ha deciso, evidentemente, di dar torto a Gordon Brown e ai suoi. Ecco allora le proteste - a gennaio - contro i lavoratori italiani assunti dalla Total per costruire l’impianto di una raffineria a Grimsby, al grido di “British jobs for British people”. Le camionate di voti agli “anti-immigrati” del British national party. E le mattonate nelle finestre ai romeni. Che potrebbero essere, purtroppo, solo l’inizio.
La Gran Bretagna, però, non è certo un caso isolato. Come ha scritto l’economista Tito Boeri su LaVoce.info: “Negli ultimi venti anni più di 26 milioni di persone sono arrivate nell’Unione Europea a 15; contro i poco più di 20 milioni di emigrati negli Stati Uniti”; gli “1,6 milioni in Australia”; “e meno di un milione in Giappone”. Un vero e proprio boom dell’emigrazione. Che - sempre secondo Boeri - spiega un altro boom. Quello dei partiti nazionalisti e anti-immigrati alle ultime elezioni europee. Partiti che non hanno sbancato solo Londra. Ma anche Amsterdam (dove l’anti-islamico “Partito per le Libertà” di Geert Wilders si è portato a casa il 17% dei voti). Vienna (dove la formazione Fpoe di estrema destra ha conquistato il 13,1% dei voti). E perfino la tollerante Helsinki (dove il “Partito dei veri finlandesi” ha incassato il 9,8% dei consensi). E anche in questi Paesi, il ritorno della destra nazionalista potrebbe essere solo il primo campanello d’allarme.
E in Italia? E in Italia, una commissione ad hoc sul problema immigrazione non c’è stata. Ma rimangono alcuni dati di fatto. In questi anni di politica dell’immigrazione fatta solo di buone (centrosinistra) e cattive (centrodestra) parole, di immigrati in Italia ne sono arrivati a carrettate. Mentre i governi (di turno) se ne sono lavati le mani. Ben guardandosi anche dal solo far ripartire almeno un po’ di edilizia popolare. Edilizia popolare che è ancora ferma dagli anni Settanta. Del secolo scorso.
Nel 2000 i “regolari” erano poco più di un milione. Oggi, 8 anni dopo, sono 4 milioni. Centinaia di migliaia di lavoratori arrivati alla spicciolata. Che nel 2008 hanno prodotto quasi il 10% del Pil italiano. Ma che hanno contribuito con il loro arrivo in massa - se la legge della domanda e dell’offerta non è un’opinione - a tenere bassi gli stipendi. Con grave scorno dei lavoratori (dipendenti) italiani. Che - secondo Banca d’Italia; negli anni presi in considerazione dalla commissione Wakeham (dal 2001 al 2006) hanno visto le loro buste paga rimanere ferme e finire tra le più misere d’Europa. Ma per la gioia dei prenditori imprenditori tricolori, che tra l’altro - a differenza di quando accadde, per esempio, in Francia ai tempi dell’immigrazione di massa post seconda guerra mondiale - non hanno speso un euro neppure per dargli un alloggio. E pure del partito anti-immigrati de’ noantri, ovvero la Lega Nord che, proprio alle ultime elezioni europee, ha registrato un consenso record.
Fin qui i fatti, per l’appunto. Ora le opinioni. Ci sono catastrofi imprevedibili. Come i maremoti. E ce ne sono altre prevedibilissime. Ma che - finché non esplodono - portano voti e quattrini. E che nessuno vuole vedere. La guerra tra poveri che potrebbe scatenarsi in questa Europa investita dalla peggior crisi degli ultimi 80 anni, sa tanto la classica tragedia annunciata. Per evitarla - indipendentemente dall’andamento della crisi - occorrerebbero scelte coraggiose. Detta brutalmente e un po’ a spanne: bisognerebbe mettere mano al portafoglio dei ricchi (via tasse), per distribuire un po’ più di polli (possibilmente non di quelli di Trilussa) ai poveri cristi. Cosa di cui non si discute minimamente. E che, francamente, appare improbabile.
Ma - se le cose dovessero andare per il peggio; se la crisi dovesse incrudelire; e la situazione precipitare - che nessun politico di quelli che ora festeggiano levando le mani al cielo per vittorie inesistenti, osi strapparsi le vesti. Dopo queste elezioni - almeno loro, i politici - erano stati tutti avvisati. Commissioni, o non commissioni d’inchiesta.
Fonte articoloAvevamo appena finito - qua sotto, insomma nel post precedente - di parlare di immigrazione. Di assenza (quasi) totale di politiche di integrazione serie (che per la cronaca costano). E di una possibile, anzi probabile guerra tra poveri in quest’Italia e in quest’Europa arroventata dalla peggior crisi economica dal 1929 ad oggi. Ecco: appunto.
P.S. E che la piantino politici e giornali di strapparsi le vesti e di liquidare sempre tutto con le solite paroline magiche (”razzismo”; “una storia che indigna” e altri bla bla). Qui servono soldi. E educazione alla tolleranza (che parta dalle scuole). Le belle 8o brutte) parole, invece, non servono a nulla. Questa è una bomba che - se la spirale fatta di crisi; disoccupazione; tensioni sociali dovesse incrudelire - rischia di scoppiarci in mano.
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