Il ritrovamento è stato fatto in un allevamento nella zona est di Taranto, a 14 chilometri dallo stabilimento Ilva, industria di produzione e trasformazione dell’acciaio. L’Ilva ha il suo più importante stabilimento italiano proprio a Taranto, tanto che esso costituisce uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell’acciaio in Europa. E le acciaierie, si sa, sono con gli inceneritori le principali produttrici di diossine.
Le emissioni della fabbrica sono state oggetto di diversi processi penali per inquinamento, che si sono conclusi con la condanna di alcuni dirigenti. Per quanto riguarda la diossina, gli impianti dell’Ilva ne emettevano nel 2002 il 30,6% del totale italiano, ma sulla base dei dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) del 2006, la percentuale sarebbe salita al 92%, contestualmente allo spostamento in loco delle lavorazioni “a caldo” dallo stabilimento di Genova, dove si è deciso di chiudere (abbattendo notevolmente i livelli di inquinamento ed i tassi di mortalità della zona adiacente la fabbrica).
Nello stabilimento di Taranto costituisce un problema ambientale anche lo sversamento di mercurio in aria e in acqua. Nel 2005 l’Ilva, nelle sue comunicazioni all’inventario INES, ha stimato emissioni per un totale di oltre due tonnellate. Per tali ragioni è molto vivo il dibattito, sia tecnico sia sociale, finalizzato all’adozione delle “migliori tecnologie disponibili”.
Non c’è quindi da stupirsi, con queste cifre, se tale fenomeno ha portato alla contaminazione di uova piuttosto che di altri alimenti, e se si sono accesi dibattiti nella zona da molto tempo. Sembrerebbe inoltre che più il tempo passa, più le contaminazioni raggiungono un raggio più elevato. Le analisi dell’Arpa e l’allarme dell’assessore regionale alla sanità Fiore, infatti, hanno portato alla conclusione che la diossina non era “mai arrivata così lontano”, e che di conseguenza l’Ilva se ne dovrebbe fare carico, almeno pagando i danni.
Neanche i prodotti biologici, quindi, si possono ritenere più “sicuri”? A rigor di logica a Taranto è così, se le galline libere di razzolare su terreni alla diossina corrono un rischio più elevato di essere contaminate delle loro “colleghe” da allevamento intensivo.
Lungi dal creare allarmismi, si vuole qui fare notare come già nel 2005, in Germania, accadde qualcosa di simile. E come a quel tempo in Sassonia le associazioni di consumatori e lo stesso ministro dell’agricoltura, Renate Kuenast, invocarono controlli più severi, in modo da avere una politica ambientale più forte ed assicurarsi che i livelli di diossina venissero ridotti fino a sparire del tutto.
Sarà invogliato anche il nostro ministro dell’agricoltura a fare altrettanto? Sembrerebbe, neanche a dirlo, poco probabile. Del “caso Taranto”, infatti, non si è sentito parlare un granché. Come sempre, tutto tace. E nuovi standard ambientali più elevati sembrano un po’ troppo lontani, nell’orizzonte politico del sedicente Bel Paese.
Aspettarsi che vengano rinnovati i contratti dei chimici che lavorano nel laboratorio diossine di Taranto, scongiurando il collasso dell’unica “trincea antidiossina” che ci sia in Puglia, o potenziato il Dipartimento prevenzione dell’Asl di Taranto per realizzare nuovi accertamenti suona quantomeno surreale, in una regione che aveva stanziato un milione e 400 mila euro per un’operazione di vitale importanza, quale portare in discarica le alghe spiaggiate sulle coste joniche. Operazione che tra l’altro sembrerebbe dannosa, visto che le stesse alghe fungono da barriera antierosione, evitando che il mare “mangi” la spiaggia.
Le classi dirigenti dovrebbero iniziare a sperare che i lanci di uova che si prospettano vengano fatti con uova di altre zone, che non provengano da Taranto e dintorni. Sarebbe meno rischioso per la loro salute. Perché quando i pugliesi, e gli italiani in generale, vedono continuamente spesi i propri soldi in modi assurdi (dalle alghe spiaggiate ai bombardieri F35, dagli incentivi-truffa per gli inceneritori, importanti produttori delle suddette diossine, ai faraonici stipendi di super-manager e parlamentari italiani), è molto probabile che qualche uovo in faccia, un giorno, lo si riceverà pure.
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