La terza ondata è arrivata mercoledì pomeriggio. Per ora sottoforma di cavallone inaspettato che ribalta i materassini e fa la gioia dei bagnanti ma l’effetto domino che può innescare è di quelli degni di uno tsunami.
L’altro giorno, infatti, nel silenzio generale è andata completamente a vuoto un’asta di titoli di stato per il controvalore di 100 milioni di dollari in Lettonia, chiaro segnale che il paese baltico è sull’orlo di un default sul proprio debito pubblico. La notizia ha immediatamente innescato una reazione a catena colpendo tutte le monete dei paesi Ue dell’Est: il fiorino ungherese è crollato dell’1,97% contro l’euro e del 2,85% contro il dollaro; lo zloty polacco ha ceduto lo 0,75% contro l’euro e l’1,56% contro il dollaro; la corona ceca è scesa dello 0,25% contro l’euro e dell’1% contro il dollaro. Direte voi, nulla di che. In effetti, vista così la situazione non appare drammatica.
Qualche preoccupazione in più sorge quando si vanno a vedere le ripercussioni patite in Svezia a causa del mancato introito di 60 milioni di lats lettoni da parte dello Stato a causa dell’asta andata deserta: la corona svedese ha subito un brusco calo e le azioni delle due principali banche, Svedbank e SEB, sono scese rispettivamente del 15,9% e dell’11%. Come già scritto, qualcosa di sistemico sta arrivando dall’Est europeo. Le banche svedese, infatti, sono esposte per 75 miliardi di dollari verso i paesi baltici e la crisi lituana rischia di innescarne una politica, sociale ed economica in tutta l’area.
Lo conferma Bartosz Pawlowski, analista di BNP Paribas: «La Lettonia è sì un piccolo paese ma ha vaste ripercussione su tutta l’area. Se la moneta lituana crolla porterà con sé quella estone, non escludendo scossoni su Bulgaria e Romania». Guarda caso, l’epicentro di quegli 1,3 trilioni di euro di esposizione a Est delle banche europee, italiane comprese.
Il G20 dello scorso aprile, temendo quanto sta accadendo, aveva triplicato i fondi dell’emergenza del Fmi portandoli a 750 miliardi di dollari: una misura tampone che però non interviene sul vero male. Cioè, l’eccessivo indebitamento di quei paesi negli anni dell’economia allegra. «Non sappiamo ancora assolutamente il vero livello della crisi bancaria nell’Est, il rischio di default comunque sta crescendo enormemente», conclude Pawlovski.
Che fare, quindi? Il premier lettone Valdis Dombrovskis teme la parola svalutazione della propria moneta, ma ammette a bassa voce che il lat è sopravvalutato di almeno un terzo del suo valore. Ecco quindi la ricetta che pare ormai già adottata: svalutazione della moneta del 30%, con ovvio crollo del potere d’acquisto dei salari e uno shock che colpirà, da subito, tutto e tutti.
E si sa che la stabilità sociale di certi paesi sta seduta su una polveriera: un’esplosione di povertà potrebbe innescare proteste violente, ipotesi di colpi di Stato e le mire di egemonia di qualcuno pronto a sfruttare la situazione per destabilizzare e chiudere qualche conto rimasto ancora aperto dal recente passato. L’aver agganciato la propria economia a euro, franco e yen per quanto riguarda le indicizzazioni dei mutui potrebbe costare molto caro alla Lettonia: per Fitch Ratings il debito estero del 2009 sarà pari al 320% delle riserve estere. La contrazione del Pil lettone per quest’anno è attesa del 18%, mentre il valore delle case è crollato del 50%, lo shock più pesante mai registrato.
In ossequio al prestito del Fmi, garantito dalla Commissione Europea, la Lettonia ha già licenziato un terzo degli insegnanti e tagliato del 35% i salari dei dipendenti pubblici. Insomma, una scure che non è servita a nulla: potrebbe servire la ghigliottina. Verrà sacrificata l’economia lettone per salvaguardare le banche svedesi o si sceglierà davvero la strada della svalutazione immediate del lat? In ogni caso, sarà una cura da cavallo. E socialmente molto dolorosa. Non è un caso che la scorsa settimana Riksbank abbia aumentato le proprie riserve estere per 13 miliardi di dollari, una vera e propria corazza difensiva dal rischio ormai imminente di default nel Baltico.
«Se dovesse emergere una crisi in un paese della zona euro, c'è una soluzione». È quanto ha sottolineato il commissario Ue agli Affari economici, Joaquin Almunia, durante un intervento un paio di mesi fa a Bruxelles. Ricordate? E ancora. «Potete star sicuri che prima che arrivi il Fondo monetario internazionale ci sarebbe una soluzione», ha sottolineato il commissario senza tuttavia entrare nel dettaglio di eventuali piani di intervento: «La soluzione esiste, siamo equipaggiati politicamente, intellettualmente ed economicamente per affrontare la crisi. La definizione di queste cose non può però essere esposta pubblicamente».
Da allora, silenzio. Peccato che un paese dell’area euro sia già in default tecnico - l’Irlanda -, un altro sta avvicinandosi a tappe forzate al punto di non ritorno, l’Austria e ora la Svezia rischia di destabilizzarci dall’interno se andrà in default sulla propria esposizione. A dirlo sono i freddi numeri dei cds, l’assicurazione sul rischio di fallimento di un’entità terza, sul rischio di default dei vari Stati sul debito pubblico e notizia come quelle giunte l’altro giorno da Riga.
Non stupisce visto che le banche di Vienna hanno prestato all’insolvente Est europeo il 70% del Pil austriaco e ora rischiano di non vederselo rimborsato. Se va in default l’Austria, arrivederci all’Est e alla stessa tenuta dell’area euro. E anche Unicredit, a dispetto dell’ottimismo dispensato a piene mani dal proprio amministratore delegato, potrebbe subire perdite consistenti, la “Stalingrado monetaria” prefigurata qualche mese fa dalla stampa austriaca. La terza onda è arrivata, più subdola delle precedenti. Ma certamente non meno letale.
di Mauro Bottarelli
L’altro giorno, infatti, nel silenzio generale è andata completamente a vuoto un’asta di titoli di stato per il controvalore di 100 milioni di dollari in Lettonia, chiaro segnale che il paese baltico è sull’orlo di un default sul proprio debito pubblico. La notizia ha immediatamente innescato una reazione a catena colpendo tutte le monete dei paesi Ue dell’Est: il fiorino ungherese è crollato dell’1,97% contro l’euro e del 2,85% contro il dollaro; lo zloty polacco ha ceduto lo 0,75% contro l’euro e l’1,56% contro il dollaro; la corona ceca è scesa dello 0,25% contro l’euro e dell’1% contro il dollaro. Direte voi, nulla di che. In effetti, vista così la situazione non appare drammatica.
Qualche preoccupazione in più sorge quando si vanno a vedere le ripercussioni patite in Svezia a causa del mancato introito di 60 milioni di lats lettoni da parte dello Stato a causa dell’asta andata deserta: la corona svedese ha subito un brusco calo e le azioni delle due principali banche, Svedbank e SEB, sono scese rispettivamente del 15,9% e dell’11%. Come già scritto, qualcosa di sistemico sta arrivando dall’Est europeo. Le banche svedese, infatti, sono esposte per 75 miliardi di dollari verso i paesi baltici e la crisi lituana rischia di innescarne una politica, sociale ed economica in tutta l’area.
Lo conferma Bartosz Pawlowski, analista di BNP Paribas: «La Lettonia è sì un piccolo paese ma ha vaste ripercussione su tutta l’area. Se la moneta lituana crolla porterà con sé quella estone, non escludendo scossoni su Bulgaria e Romania». Guarda caso, l’epicentro di quegli 1,3 trilioni di euro di esposizione a Est delle banche europee, italiane comprese.
Il G20 dello scorso aprile, temendo quanto sta accadendo, aveva triplicato i fondi dell’emergenza del Fmi portandoli a 750 miliardi di dollari: una misura tampone che però non interviene sul vero male. Cioè, l’eccessivo indebitamento di quei paesi negli anni dell’economia allegra. «Non sappiamo ancora assolutamente il vero livello della crisi bancaria nell’Est, il rischio di default comunque sta crescendo enormemente», conclude Pawlovski.
Che fare, quindi? Il premier lettone Valdis Dombrovskis teme la parola svalutazione della propria moneta, ma ammette a bassa voce che il lat è sopravvalutato di almeno un terzo del suo valore. Ecco quindi la ricetta che pare ormai già adottata: svalutazione della moneta del 30%, con ovvio crollo del potere d’acquisto dei salari e uno shock che colpirà, da subito, tutto e tutti.
E si sa che la stabilità sociale di certi paesi sta seduta su una polveriera: un’esplosione di povertà potrebbe innescare proteste violente, ipotesi di colpi di Stato e le mire di egemonia di qualcuno pronto a sfruttare la situazione per destabilizzare e chiudere qualche conto rimasto ancora aperto dal recente passato. L’aver agganciato la propria economia a euro, franco e yen per quanto riguarda le indicizzazioni dei mutui potrebbe costare molto caro alla Lettonia: per Fitch Ratings il debito estero del 2009 sarà pari al 320% delle riserve estere. La contrazione del Pil lettone per quest’anno è attesa del 18%, mentre il valore delle case è crollato del 50%, lo shock più pesante mai registrato.
In ossequio al prestito del Fmi, garantito dalla Commissione Europea, la Lettonia ha già licenziato un terzo degli insegnanti e tagliato del 35% i salari dei dipendenti pubblici. Insomma, una scure che non è servita a nulla: potrebbe servire la ghigliottina. Verrà sacrificata l’economia lettone per salvaguardare le banche svedesi o si sceglierà davvero la strada della svalutazione immediate del lat? In ogni caso, sarà una cura da cavallo. E socialmente molto dolorosa. Non è un caso che la scorsa settimana Riksbank abbia aumentato le proprie riserve estere per 13 miliardi di dollari, una vera e propria corazza difensiva dal rischio ormai imminente di default nel Baltico.
«Se dovesse emergere una crisi in un paese della zona euro, c'è una soluzione». È quanto ha sottolineato il commissario Ue agli Affari economici, Joaquin Almunia, durante un intervento un paio di mesi fa a Bruxelles. Ricordate? E ancora. «Potete star sicuri che prima che arrivi il Fondo monetario internazionale ci sarebbe una soluzione», ha sottolineato il commissario senza tuttavia entrare nel dettaglio di eventuali piani di intervento: «La soluzione esiste, siamo equipaggiati politicamente, intellettualmente ed economicamente per affrontare la crisi. La definizione di queste cose non può però essere esposta pubblicamente».
Da allora, silenzio. Peccato che un paese dell’area euro sia già in default tecnico - l’Irlanda -, un altro sta avvicinandosi a tappe forzate al punto di non ritorno, l’Austria e ora la Svezia rischia di destabilizzarci dall’interno se andrà in default sulla propria esposizione. A dirlo sono i freddi numeri dei cds, l’assicurazione sul rischio di fallimento di un’entità terza, sul rischio di default dei vari Stati sul debito pubblico e notizia come quelle giunte l’altro giorno da Riga.
Non stupisce visto che le banche di Vienna hanno prestato all’insolvente Est europeo il 70% del Pil austriaco e ora rischiano di non vederselo rimborsato. Se va in default l’Austria, arrivederci all’Est e alla stessa tenuta dell’area euro. E anche Unicredit, a dispetto dell’ottimismo dispensato a piene mani dal proprio amministratore delegato, potrebbe subire perdite consistenti, la “Stalingrado monetaria” prefigurata qualche mese fa dalla stampa austriaca. La terza onda è arrivata, più subdola delle precedenti. Ma certamente non meno letale.
di Mauro Bottarelli
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