E infatti. Per “La Repubblica”, oggi, la notizia era: “Bernanke: Allarme lavoro, ma crisi finita entro il 2009″. il “Corriere della Sera”, invece, aveva puntato tutto su un titolo stile settimana enigmistica: “Merkel e Bernanke, sfida sui bond”. Mentre “La Stampa” ha scelto di tagliare corto: zero righe e via (o almeno: chi scrive non è proprio riuscito a trovarle). Peccato. Perchè un banchiere centrale americano che dice che i gloriosi Stati Uniti d’America rischiano - alla lunga - di ritrovarsi con un debito insostenibile, non capita tutti i giorni.
Il banchiere in questione è il presidente della Federal Reserve (la banca centrale a stelle e strisce, appunto), Ben Bernanke. E il Financial Times non ha mancato di dedicare alle sue parole - per la cronaca: pronunciate ieri, davanti alla commissione budget della Congresso - tutto lo spazio e e il peso che meritavano.
Il succo, secondo il quotidiano britannico, era tutt’altro che improntato alla fiducia nel sol dell’avvenire:
Warning of the risk of a future debt trap, he said: “We cannot allow ourselves to be in a situation where the debt continues to rise. That means more and more interest payments, which swell the deficit, which leads to an unsustainable situation.”
Ammonendo sul rischio di una futura “trappola del debito”, ha detto: “Noi non possiamo permetterci di essere in una situazione in cui il (nostro, ndA) debito continua a salire. Questo significherebbe sempre più interessi da pagare, che gonfierebbero il deficit, che porterebbe a una situazione insostenibile”.
E anche per quel che riguarda la fine della crisi, la versione del Financial Times era un tantino diversa dal titolo di Repubblica:
The Fed chief’s warning came as he reiterated his view that he expects to see growth “later this year” with “some stabilisation in final demand including consumer spending”. However, he remained cautious with numerous caveats.
L’ammonimento del presidente della Fed è arrivato, mentre ripeteva che si aspetta di vedere una crescita “più tardi, quest’anno”, con “una qualche stabilizzazione nella domanda e nei consumi”. Comunque, Bernanke è rimasto cauto e ha ripetuto numerosi ammonimenti.
Sia come sia e media tricolori a parte: le ultime parole (famose) di Bernanke sono da accogliere con un plauso. Il presidente della Fed, mesi fa (per la precisione a marzo), infatti era stato il primo in questa crisi economica - la peggiore dagli anni Trenta ad oggi (Fondo monetario internazionale dixit) - a parlare di “green shots”, cioè di segnali positivi. Dando il “la” a un coro di “il peggio è passato” dal sapore un tantino surreale. Mentre ora - forse per merito o per colpa di qualche risatina di troppo (una lunga storia che abbiamo racconta ieri) - sembra tornato con i piedi un po’ più per terra. Cosa che per altro osservava anche lo stesso Financial Times, in un editoriale intolato - non a caso e giustamente - “Bernanke ha ragione ad essere preoccupato”.
Solo: noi bamboccioni - capaci solo di fare i conti della serva - abbiamo un piccolissimo dubbio. Che nasce da un numero grande grande. Secondo i calcoli del vicedirettore del Corriere della Sera, Massimo Mucchetti: il debito lordo aggregato Usa - cioè la somma del debito pubblico e privato (di imprese, banche, famiglie, eccetera) - si aggirava, a febbraio scorso, sul 350% del Pil. E quindi le parole - sagge - pronunciate ieri da Bernanke hanno un suono strano. Forse - ecco il dubbio - sanno tanto di stalla da chiudere. E di buoi che sono già scappati.
Ai posteri - e ai creditori degli Usa (Cina, in testa) - l’ardua sentenza.
P.S. Onore al merito de “Il Sole 24 ore”. Che oggi - vincendo ottimismi e provincialismi italioti - ha messo le dichiarazioni di Bernanke in prima pagina. E come “apertura” del giornale. Certo: un editorialino - come quello del Financial Times - per sottolineare la mezza marcia indietro sul “peggio è passato” di Bernanke, non ci sarebbe stato male. Così come qualche numero e informazione in più sul debito Usa. Ma - nel Belpaese dell’”io penso positivo, perchè son vivo, perchè son vivo” - quello sarebbe stato davvero troppo.
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