Basta poco, che ce vò? Basta un computer. Una connessione a internet. E chiunque - digitando www.italia.it - adesso può finalmente accedere al nuovissimo superportale del turismo italiano. Che si apre con poche e semplici parole: “L’Italia è il Paese del cielo, del sole, del mare. Un Paese magico, capace di incantare…”. Firmato: Silvio Berlusconi da Arcore. Che sull’home page del sito è presente - come dire? - non solo in spirito, ma anche con tanto di fotina. Stile padrone di casa. O spot. Secondo i punti di vista, diciamo.
Epperò - e a proposito di sole - qualcuno nella redazione del nuovo superportale deve aver preso in questi giorni di caldane estive un qualche abbaglio. Perchè il sito - che, lo ricordiamo, è stato presentato giusto questa settimana dal ministro al Turismo (fresco di nomina), Michela Vittoria Brambilla - contiene qualche errorino. Che i soliti utenti precisini della rete italiana non hanno tardato a segnalare.
Qualcuno ha già fatto notare che la Basilicata è stata inspiegabilmente traslocata dal portale del “Paese d’ ‘o Sole” un più a nord:
Ma l’errore, se c’era, è stato corretto. Qualcun altro, invece, ha giustamente osservato - a scanso di equivoci - che dalle colline di Montepulciano, che si trova nel cuore della verde Toscana, il mare proprio non si vede:
E l’errore - purtroppo - sta sempre lì dov’era.
Dirà qualcuno di voi: poco male, cose che capitano. Vero. Ma che proprio non dovrebbero capitare quando - come in questo caso - su un sito internet si è deciso di investire qualcosa come 10 milioni di euro. E dopo che, per altro, erano stati spesi - in un passato non troppo lontano - altri 7 milioni, e sempre di euro (o per lo meno questa è la spesa che calcolò “Repubblica”). Con risultati tanto infruttuosi, quanto tragicomicamente imbarazzanti.
E infatti. Questo portale “Italia.it” - all’apparenza nuovo e nuovento - in realtà ha una storia lunga. E travagliata. Nato (per lo meno sulla carta) nel 2004, quello che già allora doveva essere un portale portentoso venne chiuso - in fretta e furia - il 17 gennaio del 2008. Motivi? Un’altra serie di errori a dir poco esilaranti.
Quali? Domanda sbagliata. Quella giusta è: quanti errori. E la risposta - come spiegò nel 2006 a “La Stampa” il presidente di Unionturismo, Gian Franco Fisanotti - era “migliaia e migliaia”. Anzi, “una valanga”. E tutti da antologia. Come il fatto, disse il numero uno di Unionturismo, che “l’Abruzzo secondo loro non ha coste, il Monte Rosa è in Lombardia, il Trentino è segnalato senza Dolomiti e manca pure il Parco dello Stelvio. Bondone è diventato Boldone e Paganella invece Raganella”. Basta così? Macchè. «In Puglia – si lamentò sempre Fisanotti e sempre dalle colonne de “La Stampa” - la spiaggia di Mattinata è descritta come ampia e sabbiosa, quando invece è nota per i suoi ciottoli. Genova è segnalata per “le possenti mura” che non ci sono più da almeno un secolo, Porto Venere e Portofino sono stati messi a Ponente…”. Dulcis in fundo: l’Anas, per gli autori del portale, era l’”Associazione nazionale allevatori suini”.
All’”Associazione nazionale allevatori suini” - vero capolavoro di umorismo involontario - però non ci si era arrivati per caso. Tutto ebbe inizio nell’anno di grazia 2004, durante il governo Berlusconi numero 2. Quando “Italia.it” era partito con il turbo. Grazie all’allora ministro per l’Innovazione, Lucio Stanca. Che – forte dell’esperienza da ex numero uno di Ibm Europa – decise di svecchiare l’immagine (digitale) del Belpaese. E stanziò - per costruire il superportale del turismo italiano - qualcosa come 45 milioni di euro (poi per fortuna, secondo “Repubblica”, se ne spesero appunto solo 7). I primi soldi – e il primo appalto – finirono ad una associazione di imprese, capeggiata da un grande colosso della informatica mondiale. La Ibm. Una semplice coincidenza (che potete verificare qui, sulle pagine della solita “Repubblica”). Che però davvero non ha portato fortuna al progetto. “Italia.it”, infatti, venne presentato – per la prima volta e sempre in pompa magna – il 9 marzo 2006. Ovviamente dal ministro. Che proclamò urbi et orbi: “Finalmente anche l’Italia ha un portale nazionale che le consenta di competere con i grandi portali turistici, come quelli dei nostri principali concorrenti in Europa, ossia Francia e Spagna”.
Parole pregne. E degne di una svolta epocale. Peccato solo che Stanca avesse dimenticato di precisare un dettaglio: il sito – semplicemente – non esisteva. Non ancora, almeno. Se ne accorse pochi giorni dopo un giornalista di “Repubblica” che - ricordando le parole di Stanca – andò a digitare l’indirizzo del superportale. E si vide apparire una finestrella. Che gli chiedeva username e password.
Quali fossero questi benedetti username e password richiesti all’ignaro turista, non si è mai scoperto. Fatto sta che a presentare il sito - dopo il berlusconiano Stanca - ci ha riprovato (in tempi più recenti) anche il vicepremier (e ministro dei Beni Culturali) del governo Prodi numero 2, Francesco Rutelli. Che – come potete leggere sulle pagine di Panorama – alzò (per la seconda volta) il sipario sul portale nel febbraio 2007, alla Borsa del Turismo di Milano. Mettendo sul piatto anche un logo nuovo di zecca. E un suo videomessaggio - in inglese - da mettere on line. Ma nè il logo (che per la sua grande “T” verde si guadagnò in rete il soprannome di “cetriolone”); né lo sforzo linguistico di Rutelli (che con il suo english molto “maccaroni” suscitò l’ilarità di mezza blogosfera italiana; e ispirò anche un’irrestibile parodia) servirono a fare decollare “Italia.it”. Che si scontrò - tra le altre cose - con i terrificanti svarioni geografici di cui sopra.
Insomma, un disastro. Tanto che, quando il portale un annetto e mezzo fa venne chiuso, in molti - compreso chi scrive - tirarono un sospiro di sollievo. Accompagnato, però, da un atroce dubbio. Quale? Ma ovviamente che il portale - tardi o presto - ripartisse.
In occasione dello stop, infatti, chi scrive (in un vecchio post) si era permesso di ricordare che:
Il disastro alla fine ha spinto il governo – lo scorso 17 gennaio – a dire basta. Con grave scorno di chi il portale lo faceva. Come il caporedattore di “Italia.it”. Che in una lettera sempre al quotidiano“La Stampa” ha scritto: “Speravamo in un rilancio visto l’investimento cospicuo (5 milioni e 800 mila euro), abbiamo corretto gli errori denunciati lavorando gratis in questi ultimi mesi, e invece siamo a spasso senza nemmeno una comunicazione ufficiale”.
E di osservare ironicamente:
Parole amare. Che hanno toccato il cuore di noi bamboccioni alla riscossa. Che vogliamo mandare a tutti gli uomini di “Italia.it” un messaggio di speranza. Perché qualche possibilità di ripartire c’è. Lo ha detto anche il capo del dipartimento Innovazione del governo, Ciro Esposito. Che – come riporta “Il Corriere della Sera” dello scorso 21 gennaio 2008 – ha spiegato che ci sono “le risorse per riprendere il lavoro”, anche se “bisognerà decidere con quali attori, se indire un nuovo bando di gara o no e individuare il nuovo gestore”. Risultato: se la storia si ripete - come dicevano sempre gli antichi - forse questo portale ci costerà un’altra valanga di soldi. Ma porterà anche un’altra valanga di errori. Che ci faranno fare un’altra valanga di risate. Ovviamente, anche loro, amare.
Che dire? I bamboccioni hanno azzeccato la previsione. In effetti: ora il portale è tornato on line. E tutto è andato come da copione. Al suo primo giorno di nuova vita, giovedì scorso - e come la prima volta - al sito si poteva accedere solo con username e password. E quando finalmente si è palesato, si sono palesati anche i soliti svarioni. Unica differenza: chi scrive chiede venia. Ma, questa volta, a ridere e far battute proprio non ci riesce. Perchè questa sindrome da eterno ritorno che vive il Belpaese ha perso il sapore della farsa. E ha acquistato - ormai - quello della catastrofe annunciata.
P.S. Grazie a Wittgenstein per le dritte e l’ispirazione.
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