
I protagonisti di questa nostra storia: l'onorevole Alberto Tedesco (PD) e l'onorevole ministro Raffaele Fitto (PDL).
Pochissimi giorni fa pubblicavo "Il delitto perfetto nella terra di El Dorado". Il racconto di una vicenda irreale in un luogo immaginario. Forse.
La morale della storia era semplice: 3 uomini politici presunti responsabili della distruzione della sanità pubblica di una regione ricevendo in cambio favori economici dai dirigenti delle cliniche private. Tangenti, in parole povere. Tutti e 3 sono indagati, assieme ad altri 37 protagonisti secondari.
Ma la storia, quella che i popoli fanno ma i potenti scrivono, parla d'altro. Parla di uno dei tre presunti colpevoli messo al pubblico ludibrio. E ignora gli altri due. Ne ripulisce l'immagine.
Una colpevolezza che discrimina, fa distinzioni. E lo fa in virtù dell'appartenenza politica.
La morale non cambia se scendiamo 300 chilometri verso sud, da El Dorado allo Shangri-La, la terra compresa tra il Tavoliere ed il Salento. La sanità pubblica è sempre una gallina dalle uova d'oro e i protagonisti delle vicende assumono ruoli di vittime, colpevoli o finti-assenti non in virtù dei dati di fatto, ma come sempre a seconda dell'appartenenza politica.
Gli eventi accaduti in Puglia nell'ultimo mese sembrano parlare chiaro: la sanità pugliese è disastrata e le colpe vanno ricercate nell'attuale maggioranza di governo regionale.
La vicenda assume connotazioni gigantesche. Ieri tutti i tg e quotidiani davano ampio spazio alla notizia, come sarebbe logico fare sempre in casi come questo.
L'immagine della giunta Vendola inizia già ad incrinarsi. Le possibilità di successo alle regionali oramai alle porte, così come accaduto per l'Abruzzo, per la coalizione progressista sembrano ridursi ogni giorno di più.
E il chiaro attacco di Di Pietro di ieri sull'indistinguibilità tra destra e sinistra in tema di corruzione è un ulteriore carico da novanta. Un attacco davvero difficile da smentire.
Eppure quest'immagine di disastro politico regionale sembra subire qualche piccolissima alterazione se si vanno a guardare i dettagli della vicenda. I dettagli non attenuano la realtà, anzi, la ingigantiscono, ma prendono una strada differente. E modificano le responsabilità.
In Puglia non c'è un solo politico locale indagato. Nessuno. Almeno finora.
Fa eccezione il solo ex assessore ed ora deputato Alberto Tedesco (PD), costretto alle dimissioni dal Presidente della Regione Nichi Vendola ben due mesi prima della notifica del primo avviso di garanzia.
Un assessore che mostrò il proprio vero volto sin dai primi giorni d'incarico, quando confermò il piano di tagli alla Sanità voluto dall'ex governatore Fitto (che dichiarò "Tutto pensavo tranne di avere un assessore nella giunta Vendola"), scatenando le proteste del Presidente stesso.
Il 30 giugno veniva iscritta nel registro degli indagati per turbativa d'asta la Direttrice Generale della Asl di Bari Lea Cosentino (vicina al PD). Il 4 aprile la Cosentino veniva ascoltata dal PM Desiré Digeronimo. 3 settimane dopo l'accusa nei suoi confronti (turbativa d'asta, ex art. 353 del codice penale) veniva archiviata dal pm Giuseppe Scelsi.
Troppo tardi. Nel frattempo il Presidente della Giunta Regionale Vendola, ispirato dal solito spirito giustizialista ed anti-garantista dal nome "Chi è indagato non può ricoprire ruoli dirigenziali", l'aveva obbligata alle dimissioni, così come aveva fatto in precedenza con Tedesco.
Il membro del clan mafioso scissionista Strisciuglio e collaboratore di giustizia, Giacomo Valentino, di fronte al PM Digeronimo parla di legami tra mafia locale e politica, accennando ad un particolare candidato di centrosinistra, facendo però il nome di un partito "con il sole nel simbolo".
Non i Verdi, badate bene, bensì il meno noto ma più storico PSDI, attualmente diretto da Mimmo Magistro ma nient'affatto vicino al centrosinistra vendoliano, bensì legato al centrodestra pugliese.
"L'eccesso giustizialista" del Presidente Vendola, impegnato a far dimettere una dirigente sanitaria indagata (accusa poi archiviata) e sospendere un'intera giunta senza accuse giudiziarie, trovò l'immediato plauso entusiasta dell'Italia dei Valori (Pisicchio e Zazzera) da una parte, le critiche del PDL (Quagliarello e Fitto) e di Marco Travaglio dall'altra (per le mancate dimissioni del "rivoluzionario gentile") e i malumori del PD nel mezzo.
Tra le critiche del centrodestra pugliese possiamo annoverare una storica dichiarazione dei capigruppo di FI, AN e Puglia Prima di Tutto:
"Oggi, prima con il dimissionamento forzato dell’assessore alla Sanità, poi con la sospensione del manager della più grande asl della Puglia e, infine, con l’azzeramento della giunta, Vendola conferma ai pugliesi di aver governato con modalità diametralmente opposte a quelle promesse nel 2005 quando parlava tronfio di trasparenza, paludi da bonificare, moralità".
Critiche che, alla luce delle ultime perquisizioni alle sedi dei 5 partiti di centrosinistra locali, letteralmente esplodono, disintegrando l'immagine della sinistra pugliese ed esaltando quella candida e virtuosa della destra.
Eppure tali critiche dimenticano di citare la posizione nello stesso filone d'inchiesta dello stesso Fitto, ministro del governo Berlusconi, su cui pendono diversi capi d'accusa relativi a due indagini: una per turbativa d'asta e l'altra per associazione a delinquere, concorso in corruzione, finanziamento illecito ai partiti, falso e peculato. La Procura di Bari ha emanato un avviso di garanzia per entrambe ed una richiesta d'arresto per la seconda, quest'ultima rigettata dalla Camera dei Deputati grazie alle norme sull'immunità parlamentare (457 favorevoli su 462 presenti).
L'indagine che ora vede sotto la lente dei PM di Bari i partiti di centrosinistra è stata resa possibile grazie alle intercettazioni telefoniche raccolte nel corso di mesi, che hanno portato gli inquirenti a scoperchiare un vaso di Pandora ricco di presunti finanziamenti illeciti, corruzioni e legami mafia-politica, ancora tutti da dimostrare.
Intercettazioni telefoniche. La chiave di volta. Le stesse che, se fosse stato in vigore il DDl Alfano sulle intercettazioni, non sarebbero mai esistite.
Con sommo rammarico del centrodestra stesso, che ora può giovarsi della loro esistenza.
Ma il ruolo del ministro Alfano non termina qui. Già, perché il Ministro della Giustizia si è reso protagonista di un atto decisamente controverso lo scorso 31 marzo, quando inviò ispettori ministeriali presso la Procura di Bari nel tentativo di rilevare alcune possibili irregolarità nelle due inchieste che vedono coinvolto il collega deputato e ministro Raffaele Fitto.
Un tentativo di salvaggio in extremis di un collega ministro che potrebbe essere interpretato come un uso privatistico del ruolo pubblico. Ma sappiamo che non è così e che è un diritto riconosciuto ad ogni cittadino indagato per qualche reato. Purché abbia un amico Ministro della Giustizia.
La morale della storia era semplice: 3 uomini politici presunti responsabili della distruzione della sanità pubblica di una regione ricevendo in cambio favori economici dai dirigenti delle cliniche private. Tangenti, in parole povere. Tutti e 3 sono indagati, assieme ad altri 37 protagonisti secondari.
Ma la storia, quella che i popoli fanno ma i potenti scrivono, parla d'altro. Parla di uno dei tre presunti colpevoli messo al pubblico ludibrio. E ignora gli altri due. Ne ripulisce l'immagine.
Una colpevolezza che discrimina, fa distinzioni. E lo fa in virtù dell'appartenenza politica.
La morale non cambia se scendiamo 300 chilometri verso sud, da El Dorado allo Shangri-La, la terra compresa tra il Tavoliere ed il Salento. La sanità pubblica è sempre una gallina dalle uova d'oro e i protagonisti delle vicende assumono ruoli di vittime, colpevoli o finti-assenti non in virtù dei dati di fatto, ma come sempre a seconda dell'appartenenza politica.
Gli eventi accaduti in Puglia nell'ultimo mese sembrano parlare chiaro: la sanità pugliese è disastrata e le colpe vanno ricercate nell'attuale maggioranza di governo regionale.
La vicenda assume connotazioni gigantesche. Ieri tutti i tg e quotidiani davano ampio spazio alla notizia, come sarebbe logico fare sempre in casi come questo.
L'immagine della giunta Vendola inizia già ad incrinarsi. Le possibilità di successo alle regionali oramai alle porte, così come accaduto per l'Abruzzo, per la coalizione progressista sembrano ridursi ogni giorno di più.
E il chiaro attacco di Di Pietro di ieri sull'indistinguibilità tra destra e sinistra in tema di corruzione è un ulteriore carico da novanta. Un attacco davvero difficile da smentire.
Eppure quest'immagine di disastro politico regionale sembra subire qualche piccolissima alterazione se si vanno a guardare i dettagli della vicenda. I dettagli non attenuano la realtà, anzi, la ingigantiscono, ma prendono una strada differente. E modificano le responsabilità.
In Puglia non c'è un solo politico locale indagato. Nessuno. Almeno finora.
Fa eccezione il solo ex assessore ed ora deputato Alberto Tedesco (PD), costretto alle dimissioni dal Presidente della Regione Nichi Vendola ben due mesi prima della notifica del primo avviso di garanzia.
Un assessore che mostrò il proprio vero volto sin dai primi giorni d'incarico, quando confermò il piano di tagli alla Sanità voluto dall'ex governatore Fitto (che dichiarò "Tutto pensavo tranne di avere un assessore nella giunta Vendola"), scatenando le proteste del Presidente stesso.
Il 30 giugno veniva iscritta nel registro degli indagati per turbativa d'asta la Direttrice Generale della Asl di Bari Lea Cosentino (vicina al PD). Il 4 aprile la Cosentino veniva ascoltata dal PM Desiré Digeronimo. 3 settimane dopo l'accusa nei suoi confronti (turbativa d'asta, ex art. 353 del codice penale) veniva archiviata dal pm Giuseppe Scelsi.
Troppo tardi. Nel frattempo il Presidente della Giunta Regionale Vendola, ispirato dal solito spirito giustizialista ed anti-garantista dal nome "Chi è indagato non può ricoprire ruoli dirigenziali", l'aveva obbligata alle dimissioni, così come aveva fatto in precedenza con Tedesco.
Il membro del clan mafioso scissionista Strisciuglio e collaboratore di giustizia, Giacomo Valentino, di fronte al PM Digeronimo parla di legami tra mafia locale e politica, accennando ad un particolare candidato di centrosinistra, facendo però il nome di un partito "con il sole nel simbolo".
Non i Verdi, badate bene, bensì il meno noto ma più storico PSDI, attualmente diretto da Mimmo Magistro ma nient'affatto vicino al centrosinistra vendoliano, bensì legato al centrodestra pugliese.
"L'eccesso giustizialista" del Presidente Vendola, impegnato a far dimettere una dirigente sanitaria indagata (accusa poi archiviata) e sospendere un'intera giunta senza accuse giudiziarie, trovò l'immediato plauso entusiasta dell'Italia dei Valori (Pisicchio e Zazzera) da una parte, le critiche del PDL (Quagliarello e Fitto) e di Marco Travaglio dall'altra (per le mancate dimissioni del "rivoluzionario gentile") e i malumori del PD nel mezzo.
Tra le critiche del centrodestra pugliese possiamo annoverare una storica dichiarazione dei capigruppo di FI, AN e Puglia Prima di Tutto:
"Oggi, prima con il dimissionamento forzato dell’assessore alla Sanità, poi con la sospensione del manager della più grande asl della Puglia e, infine, con l’azzeramento della giunta, Vendola conferma ai pugliesi di aver governato con modalità diametralmente opposte a quelle promesse nel 2005 quando parlava tronfio di trasparenza, paludi da bonificare, moralità".
Critiche che, alla luce delle ultime perquisizioni alle sedi dei 5 partiti di centrosinistra locali, letteralmente esplodono, disintegrando l'immagine della sinistra pugliese ed esaltando quella candida e virtuosa della destra.
Eppure tali critiche dimenticano di citare la posizione nello stesso filone d'inchiesta dello stesso Fitto, ministro del governo Berlusconi, su cui pendono diversi capi d'accusa relativi a due indagini: una per turbativa d'asta e l'altra per associazione a delinquere, concorso in corruzione, finanziamento illecito ai partiti, falso e peculato. La Procura di Bari ha emanato un avviso di garanzia per entrambe ed una richiesta d'arresto per la seconda, quest'ultima rigettata dalla Camera dei Deputati grazie alle norme sull'immunità parlamentare (457 favorevoli su 462 presenti).
L'indagine che ora vede sotto la lente dei PM di Bari i partiti di centrosinistra è stata resa possibile grazie alle intercettazioni telefoniche raccolte nel corso di mesi, che hanno portato gli inquirenti a scoperchiare un vaso di Pandora ricco di presunti finanziamenti illeciti, corruzioni e legami mafia-politica, ancora tutti da dimostrare.
Intercettazioni telefoniche. La chiave di volta. Le stesse che, se fosse stato in vigore il DDl Alfano sulle intercettazioni, non sarebbero mai esistite.
Con sommo rammarico del centrodestra stesso, che ora può giovarsi della loro esistenza.
Ma il ruolo del ministro Alfano non termina qui. Già, perché il Ministro della Giustizia si è reso protagonista di un atto decisamente controverso lo scorso 31 marzo, quando inviò ispettori ministeriali presso la Procura di Bari nel tentativo di rilevare alcune possibili irregolarità nelle due inchieste che vedono coinvolto il collega deputato e ministro Raffaele Fitto.
Un tentativo di salvaggio in extremis di un collega ministro che potrebbe essere interpretato come un uso privatistico del ruolo pubblico. Ma sappiamo che non è così e che è un diritto riconosciuto ad ogni cittadino indagato per qualche reato. Purché abbia un amico Ministro della Giustizia.
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