Non c’è nulla che parli spietatamente chiaro come il denaro. Che - ieri, a suon di fatturati - ha detto come ogni anno la sua. La celebre rivista economica americana “Fortune” ha stilato la (sua) solita classifica delle 500 aziende più grandi del mondo. E - crisi o non crisi - si è scoperto che a guidarla sono sempre i soliti noti:
(Tabella tratta dall’edizione cartacea de “Il Sole 24 ore”, 9 luglio 2009)
Chi so’ sti soliti noti? So’ innanzitutto 7 - sette - compagnie petrolifere. L’anglo-olandese Royal Dutch Shell. L’americana Exxon Mobil. L’inglese, British petroleum (Bp). L’americana Chevron. La francese Total. L’altrettanto americana ConocoPhilips. E la cinese Sinopec. A far compagnia a questa versione reloaded delle 7 sorelle che furono, c’è poi un costruttore di automobili (Toyota); una grande compagnia finanziaria (l’olandese Ing; quella del “conto arancio”; salvata dai contribuenti di Amsterdam e dintorni con un aiutino da 13 miliardi di euro, causa crisi dei mutui subprime). E la catena di supermercati a stelle e strisce, Wall Mart.
Inutile dire che degli alfieri della tanto decantata innovazione&ricerca (se non di nuovi giacimenti di petrolio) non c’è traccia. Ed altrettanto inutile dire che guardando al presente, pensare a un futuro “verde” e con (sempre) meno oro nero è un po’ difficile. Ma tant’è. I potenti della terra - riuniti al G8 a L’Aquila; e guidati dal primo presidente americano ambientalista della Storia, al secolo Barack Obama - così (e contro il parere della Cina) hanno deciso: i paesi più industrializzati dovrebbero ridurre le emissioni di gas serra dell’80%. Come? Boh. Quando? Entro il 2050. Ah-beh.
Certo il 2050 è un tantino lontano. E, a pensar male, un orizzonte pure un po’ vago. Ma c’è tempo di aggiustare il tiro. Unico dubbio: ma la versione delle 7 sorelle reloaded, lo sa che adesso l’aria dell’Occidente dovrà profumare di violette? E se sì: perchè allora British petroleum - proprio causa crisi - ha chiuso gli uffici che si dedicavano alle energie rinnovabili, spedito il capo divisione in pensione, e tagliato una buona fetta degli investimenti “verdi” (come ha scritto non una vita fa, ma ieri il Financial Times)?
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