26/08/09

Il mio nome è regione.

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Quando ho scritto il post sul dialetto, ho esordito dicendo che dovevo occuparmi di qualcosa di ovvio. Invece, ho scoperto che ovvio proprio non è. Molti lettori hanno commentato appoggiando la proposta, e la cosa mi ha assai stupito. Diamine ragazzi: siete degli sconosciuti!
Ma poi ho capito: il rancore verso l'omologazione culturale, la globalizzazione del linguaggio, degli interessi, della vita in generale ci conduce ad auspicare il recupero, o almeno il salvataggio di quello che consideriamo il nostro patrimonio, che giustamente non abbiamo alcuna intenzione di svendere in cambio della MTVizzazione globale.

Ora, io credo di avere qualche credenziale per parlare di globalizzazione. Me ne occupo dal 1999, quando creai il primo sito italiano sull'argomento e mi beccai la nomea di pazza da amici e parenti per la mia decodifica della realtà ai tempi assolutamente inconsueta. Ho raccontato la storia, per chi se lo ricorda.
Ebbene: non mi è piaciuto l'approccio di molti di voi. Sapete, la salvaguardia della propria cultura corre su una linea molto sottile: è un attimo, a scivolare su posizioni che di antiglobal hanno poco ma molto di retrivo. "Sono fiero di parlare dialetto": e perché mai? Cosa c'è da esser fieri o non fieri? E' semplicemente un tipo di linguaggio, dovuto al fatto che nei secoli scorsi gli scarni contatti tra comunità producevano deformazioni della lingua diverse da un posto all'altro. E' casuale, come il fatto di essere nati tra gente bionda o mora, alta o bassa. Vorremo mica finire ad essere fieri anche di questo... vero?

E le "tradizioni locali": cosa significano esattamente? Le differenze tra Roccacannuccia di Sopra e Roccacannuccia di Sotto sono configurabili come tali? Per gli abitanti sì. Vogliamo incentivarle e mantenerle? Fino a che punto? A Roma quelli di Monteverde si ritengono diversi (e superiori...) a quelli del Portuense (e un po' a tutti, in verità). Li incoraggiamo in questo senso, o cerchiamo invece di farli ragionare?
Tutti odiamo il MacDonald, che non appartiene alla nostra cultura e ci invade. Ma aprono anche un sacco di kebabbari, che non appartengono ugualmente alla nostra cultura. Qualcuno infatti sostiene che "ci invadono": che facciamo, gli diamo ragione? Oppure il MacDonald no, e il kebabbaro si?

Allora non è una questione di "tradizioni locali", ma diventa una questione di cultura egemonica e culture subalterne. Riflettiamo su questo, prima di invocare la tradizione del paesello, che non serve a nulla. Forse quello che rifiutiamo, se abbiamo una formazione noglobal invece che fascista, è l'annientamento della varietà a favore della cultura egemone imposta. A me, appunto, ciò non garba affatto. Non credo che il romanesco salvaguardi mio figlio dal pappone globale, credo invece che lo salvaguardi l'assaggiare il cuscus.
Quando a Roma il Comune avviò un progetto per la cucina etnica nelle scuole (una volta al mese!) i genitori che tanto si vantano del dialetto insorsero come un sol uomo: ma come! Mio figlio mangiare quelle porcherie! Lui vuole solo gli spaghetti e la bistecca! (E poi tutti i sabati vanno al MacDonald, mica a mangiare il pecorino locale).

A me non pare tanto noglobal e tanto culturale questo atteggiamento. Mi pare chiuso, retrivo e ignorante. Cosa facciamo, finiamo a parlare di sangue, stirpe e discendenza? Difendiamo il sacro suolo dallo barbaro inimìco?

Concentriamoci invece su cose importanti. Sul cibo, costretto da leggi assurde ad essere insapore, impacchettato, sterilizzato e di ignota provenienza; sulla medicina, vincolata a protocolli globali e agli interessi farmaceutici; sull'energia, che è vietato autoprodursi o microprodursi a favore delle corporation nucleari e petrolifere; sul lavoro, in cui l'esperienza e l'arte diventano "risorse" alla pari di macchinari usa e getta; sull'urbanistica, che vede le nostre belle città antiche martoriate da centri commerciali e altri cubi di cemento uguali in tutto il mondo; sulla libertà di pensiero, che finisce con la repressione del dissenso. E sulla cultura: se vogliamo conservare la nostra, ai nostri figli facciamo sentire Verdi, vedere Caravaggio, leggere Pinocchio, assaggiare la finocchiona, invece di perdere tempo a insegnargli il bresciano o il barese.

Fonte articolo

Stop al consumo di territorio
La Casta dei giornali
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

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