Troppe letture discordanti sull’andamento dell’economia italiana. Perché si interpretano dati, tra di loro coerenti, in modo sbagliato. Stiamo facendo peggio di tutti o quasi, ma le imprese e le famiglie italiane si aspettano una forte inversione di tendenza. Anche se si dovesse materializzare, non dovrebbe impedire un ulteriore calo dell’occupazione. Bene, dunque, che la politica si prepari al peggio sperando in buone notizie sull’andamento effettivo dell’economia e non solo un miglioramento delle aspettative.
AGGIORNAMENTI DEL BAROMETRO DELLA CRISI
Cosa succede all’economia italiana? Molti i dati rilasciati nell’ultima settimana. Sembrano offrire segnali discordanti e la politica li legge in molto diverso. Ma in realtà sono tra di coloro coerenti. Perché offrono indicazioni diverse. Basta saperli leggere. Vediamo prima di ripercorrerli e poi di commentarli.
Partiamo dai dati di consuntivo. Il 10 settembre l’Istat ha confermato le sue stime preliminari di metà agosto: il Pil dell’Italia è sceso dello 0,5 per cento nel secondo trimestre rispetto al trimestre precedente (il dato “congiunturale”, destagionalizzato e aggiustato per il numero di giornate lavorate) e del 6 per cento rispetto al secondo trimestre 2008 (il dato “tendenziale”). Il dato congiunturale è peggiore di quello di Francia e Germania che hanno fatto segnare tassi di crescita (modestamente) positivi rispetto al trimestre precedente, e migliore di quello di Regno Unito e Spagna. Il dato cumulativo dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2009, riportato qui sotto, è peggiore di tutti gli altri paesi del G20, anche quelli nell’epicentro della crisi. Solo il Giappone ha sin qui fatto peggio dell’Italia.
Pil secondo trimestre 2008/secondo trimestre 2009
Usa | -3,88 |
Giappone | -6,25 |
Area Euro | -4,58 |
Germania | -5,70 |
Francia | -2,58 |
Italia | -5,90 |
Regno Unito | -5,45 |
Canada | -5,45 |
Fonte: Oecd (settembre 2009)
Poi l’11 settembre - solo un giorno dopo - l’Ocse ha pubblicato i dati del cosiddetto superindice, un indicatore di tanti indicatori del ciclo calcolato, si egge nel comunicato stampa, “per fornire segnali preventivi di punti di svolta nei cicli economici”. Nessuno guarda alla metodologia di calcolo e tutti – media e politici – si affrettano a trarre conclusioni molto ottimistiche. In effetti, il superindice porta con sé dati molto positivi per la nostra economia. Ci sono “chiari segnali di ripresa in tutte le economie dei G7, in particolare in Francia e in Italia”. Dalla metà della classifica dei dati congiunturali e dal fondo della classifica dei dati tendenziali del Pil, ecco arrivare l’economia italiana in pole position. “L’Italia traina la ripresa mondiale” titolano alcuni giornali.
Infine, il 14 settembre, la Commissione europea ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita dell’Italia per il 2009 e il 2010. La previsione rivista dice che la crescita del Pil nel 2009 si attesterà a -5 per cento (vuol dire: la crescita media del Pil nel 2009 rispetto alla crescita media del Pil 2008), un dato un po’ peggiore del -4,4 per cento previsto in primavera. Ma tanto per confondere le acque, la Commissione ha aggiunto che in Italia “dopo una profonda recessione è in atto un graduale miglioramento”. È infatti “attesa nella seconda metà del 2009 una debole ripresa che comporterà un piccolo impulso di crescita positivo nel 2010”.
COSA MISURANO QUESTE STATISTICHE?
Una cosa sono i dati “veri”, cioè quelli che descrivono ciò che si è verificato in un dato periodo di tempo, e un’altra sono le previsioni. Il dato sul Pil che pubblica l’Istat è un dato “vero”, che esce una volta ogni trimestre con 45 giorni di ritardo rispetto al trimestre stesso. Quindi verremo a sapere alla metà di novembre come è andata l’economia italiana nel terzo trimestre 2009, quello che si chiude a fine settembre. Un ritardo di 45 giorni, anche se fisiologico (gli altri istituti di statistica non sono più veloci dell’Istat), è chiaramente troppo lungo per i tempi della politica e dei mercati. Il valore di un’azione è mediamente dato (con occasionali rilevanti scostamenti) dalla somma dei profitti futuri che ci si può aspettare dall’azienda che emette il titolo. E i profitti vanno bene o male a seconda se l’economia va bene o male: dunque la Borsa vuole previsioni sul Pil e su altre variabili economiche che siano indicative di ciò che succederà ai profitti delle imprese, con frequenza ben maggiore rispetto a quella trimestrale. E pure per il ministero dell’Economia – anche per un ministro che non crede nelle previsioni – è altrettanto importante farsi un’idea di ciò che succede al Pil perché la crescita del Pil influenza positivamente le entrate dello Stato e negativamente le sue uscite (per questo il deficit peggiora quando l’economia va male e migliora quando le cose vanno bene).
Sul futuro abbiamo leprevisioni economiche delle varie istituzioni internazionali come la Commissione europea, il Fondo monetario o l’Ocse che in momenti diversi dell’anno presentano le loro previsioni sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche future. E poi c’è il superindice dell’Ocse che è un riassunto di vari indicatori che forniscono informazioni qualitative sul futuro con l’obiettivo di individuare punti di svolta nel ciclo economico (il passaggio da recessione a ripresa e viceversa) con sei mesi di anticipo rispetto a quanto indicato dai livelli di attività economica come il Pil. Per questo il superindice si chiama Cli, Composite Leading Indicator. Serve a cogliere i punti di svolta, non a misurare l’intensità della ripresa nei vari paesi. La lettura offerta dai giornali è, dunque, del tutto fuorviante.
COSA C’È NEL SUPERINDICE OCSE?
Per i paesi che fanno parte dell'Organizzazione, il superindice Ocse riassume variabili mensili relative alle aspettative sulla fiducia delle famiglie e delle imprese. Ma anche tra i paesi Ocse ci sono un po’ di differenze. Per l’Italia, il superindice contiene sei voci, tre relative alle aspettative future (la fiducia delle famiglie e le aspettative delle imprese manifatturiere sulla loro produzione futura e sul loro portafoglio ordini), due dall’Istat (i nuovi ordini al netto delle variazioni del livello dei prezzi e le ragioni di scambio, cioè una misura della tassa petrolifera) e uno della Banca d’Italia sul tasso di interesse sul mercato interbancario a tre mesi. Molte di queste variabili sono incluse nel calcolare l’indice degli altri paesi Ocse. L’indice della Francia e del Regno Unito comprende anche il numero di registrazioni di nuove automobili e un indice del mercato azionario. L’indice francese considera anche il numero dei posti di lavoro vacanti. Rispecchiando, rispettivamente, l’elevata proiezione estera per l’economia tedesca e l’importanza del turismo per l’economia spagnola, l’indice della Germania include il portafoglio ordini sull’estero, mentre quello della Spagna inserisce, tra l’altro, anche il numero di notti in hotel.
Perché la Spagna includa le notti in hotel, Francia e Regno Unito includano le registrazioni di automobili e l’Italia no è un mistero un po’ inquietante per i non statistici.
PERCHÉ PIL E SUPERINDICE DICONO COSE DIVERSE
Il dato del Pil, quando esce, è sempre una fotografia un po’ datata del passato recente. Il superindice è invece una previsione basata sulle aspettative di chi opera nell’economia (e si informa sui media) e segnala quando le cose potrebbero cominciare ad andare meglio. Che i due indicatori mostrino andamenti differenti è del tutto normale quando ci si avvicina alla fine di una recessione. Per ora è vero che l’Italia si avvicina a motore spento alla fine del tunnel. Così come è anche vero che gli italiani sono ottimisti sul futuro, il che potrà contribuire a un più ravvicinato ritorno alla crescita nel nostro paese.
Rimane comunque il fatto che né il superindice Ocse né altri indicatori ci possono dire con un ragionevole grado di affidabilità quanto efficace sarà davvero la ripresa nel creare nuovi posti di lavoro e nuove imprese. La cosa più probabile è semmai che il mercato del lavoro subisca ancora a lungo le conseguenze della crisi dell’ultimo anno. Bene perciò non abbassare la guardia. Che la politica si prepari al peggio, sperando di ricevere, prima o poi, buone notizie e non solo un miglioramento delle aspettative.
- APPENDICE ALL'INDICE OCSE (29kb - PDF)
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