Già. Perchè questa settimana è successo anche questo. E’ successo che l’agenzia di stampa Bloomberg - specializzata in notizie economiche e per la cronaca di proprietà del sindaco di New York, Michael Bloomberg - ha pubblicato una lista di consiglieri del ministro del Tesoro. Alcuni sconosciuti ai più, visto che le loro nomine - finora e in barba alle norme che regolano la composizione del governo - non sono nemmeno state approvate dal Congresso, cioè dal Parlamento in salsa Usa. Una (s)fortunata coincidenza che - fino a quando Bloomberg non ha sollevato la questione - ha impedito di far sapere ai cittadini americani quanto fossero in buone mani. A supervisionare il megapiano di aiuti alle banche - da 700 miliardi di dollari, tutti usciti dalle tasche dei contribuenti - infatti Geithner ha chiamato dei veri esperti del settore.
Tipo? Tipo Gene Sperling che - nel 2008, prima di essere chiamato a servire lo Zio Sam - aveva guadagnato quasi 900mila dollari (in un solo anno) lavorando per la banca d’affari Goldman Sachs (più altri 158mila dollari incassati tenendo lezioni e seminari in diverse altre compagnie finanziarie). O Lee Sachs che - sempre l’anno scorso, prima di entrare nell’organico del Tesoro - aveva ragranellato giusto 3 milioni di dollari (sempre in soli dodici mesi), grazie al suo lavoro al Mariner Investment group, un hedge fund di New York. O ancora Lewis Alexander che ha raggiunto il gabinetto di Geithner solo nel marzo di quest’anno e che tra il 2008 e i primi mesi del 2009 si è portato a casa 2,4 milioni di dollari, come capo economista di Citigroup bank. E pure Mathew Kabaker che fino all’anno scorso era in forze a Blackstone, un fondo di private equity che lo ha ricompensato con 5,8 milioni di dollari. E infine Mark Patterson; professione: ex lobbista, sempre per Goldman Sachs.
Si dirà: beh, gli “esperti” ci vogliono e il resto sono solo coincidenze. Certo. Ma sta di fatto che tutti questi controllori e aiutanti del ministro controllore hanno lavorato, prima, per i controllati. Cioè le banche. E che le solite coincidenze - così come i soliti sospetti - abbondano. Perché due di queste banche - Goldman Sachs (10 miliardi di dollari) e Citigroup (50 miliardi di dollari) - hanno ricevuto una valanga di soldi pubblici, attraverso il mega-piano da 700 miliardi di dollari di cui sopra (e Goldman Sachs, per la cronaca, dopo averli investiti e moltiplicati, li ha pure già gentilmente restituiti). Perché - ultimamente e mentre l’economia reale stenta sotto il peso di 15 milioni di disoccupati - proprio alcuni colossi del credito, come Goldman Sachs, hanno ripreso a straguadagnare. Perchè - secondo il “New York Times”, che proprio oggi ha dedicato alla questione un lungo articolo - questi straguadagni di queste banche sono in gran parte merito di danari e scelte (politiche) del governo. Ma anche perchè proprio ora il ministro del Tesoro sta cercando di mettere a punto una riforma dell’Alta Finanza a stelle e strisce per evitare che crac o semicrac si ripetano ancora in futuro. E perchè proprio Geitner - in un’epica intervista al “Sole 24 ore” di pochi giorni fa (qui una sintesi sul “Corriere”) - si è lamentato che i “lobbisti” gli remavano contro per disinnescare questa riforma. Quando - un ex lobbista professionista - se l’era pure tirato in casa.
Coincidenze che alimentano dubbi sinistri. Dubbi accompagnati da un’unica certezza: la stampa italiota - su queste nomine in odor di conflitto di interessi e sul ritrattino del Paese di Barack Obama che ne viene fuori - non ha scritto una riga. Perchè? Al solito: difficile dire. Ma difficile anche non pensare che il tema del conflitto di interessi per certi opinionisti a tassametro del centrodestra è un po’ come la kriptonite per superman. Roba da cui stare lontani. Anche perchè il problema, loro ce l’hanno in casa. Mentre i maitre-à-non-penser di certa gauche caviar - quelli che siedono nelle redazioni di “Unità”, “Repubblica” e il nuovissimo “Fatto quotidiano” - probabilmente non hanno nessun interesse a sporcare l’immagine dell’ultima stella polare rimastra al centrosinistra nostrano: il “buon” Barack Obama e il suo governo stile “dream team”.
E poi diciamocelo: spiegare a lettori ed elettori che Berlusconi purtroppo non incarna tutti i mal dell’universo; e che addirittura il tema del conflitto di interessi - e dei checks and balances - non solo non riguarda soltanto il Cavaliere, ma è uno dei tarli delle democrazie occidentali potrebbe essere davvero troppo. Lettori ed elettori potrebbero cominciare a pensare che qualcosa nel (loro) mondo non va. Magari comincerebbero perfino a immaginare di costruirne uno diverso. E lì sì che sarebbero guai (forse).
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