Quella globale, non quella italiana.
Ancora si precipita, ma perlomeno non più in caduta libera. Dopo un meno –6% nel primo trimeste, e un altro –6% nel secondo, i dati mensili della produzione industriale estiva sembrano indicare solo un –3.4% per il terzo trimeste 2009. Insomma, stiamo ancora rotolando giù, ma perlomeno in frenata.
Per il 2010 si toccherà il fondo e si potrà ricominciare a crescere. Poco importa se si è tornati ai livelli del 1998 o se la crescita sarà al piu' di un mediocre 1% scarso all’anno, come nella precedente decade. Bisogna guardare avanti e ripartire. Certo, c’è chi ha perso il lavoro e c’è chi ha perso la fabbrica. Il reddito italiano sarà anche stato sorpassato da altri paesi che una volta si guardava dall’alto verso il basso. L’importante però è che la crisi sia finita e che si ricominci a costruire dopo l’uragano.
Questo perlomeno è il discorso che si può fare per altre economie europee. La crisi ha ridimensionato diverse economie, alcune ancor di più dell’Italia, ma passata la tempesta ritorna il sole. Per l’Italia purtroppo c’è qualcosa che il vento della crisi non ha portato via. Ha spazzato via occupazione e le fabbrichette finanziariamente più fragili, ma non ha spostato di un millimetro la zavorra che opprime i conti pubblici.
Per questo l’impatto della crisi globale può anche essere passato, ma le difficoltà per il contenitore Italia sono solo cominciate. Non sono tanto i problemi economici (di produzione, di export, di occupazione, di competitività) quanto i grattacapi di finanza pubblica. Avere un’economia rimpicciolita di dieci anni, con in groppa uno costo statale che al contrario è cresciuto, questo ha il suo peso.
È questione di numeratore e denominatore, ma è facilmente comprensibile anche solo guardando il seguente grafico. Il Fondo Monetario Internazionale, nel suo World Economic Outlook di Ottobre, stima le prospettive economiche per i prossimi cinque anni. Per l’Europa vengono fatte previsioni sul deficit solo per pochi paesi, e sul grafico paragono i casi estremi di Italia e Germania.
NOTA: Link ai dati del Fondo Monetario Internazionale
La Germania affronta la crisi partendo con un deficit basso. Negli anni di recessione (2009 e 2010) si indebita con gli stimulus plan (se efficaci o no, questo è un altro discorso) per far fronte al potenziale collasso. Passato il pericolo, la Germania torna gradualmente all’equilibrio fiscale precedente, e cioè ad un bilancio tra spesa pubblica e entrate fiscali.
Anche l’Italia si presenta di fronte al precipizio con un deficit relativamente basso. È un po’ più elevato di quello tedesco, ma poverina aveva anche quasi il doppio di debito pubblico. Difatti, come già ribadito, l’Italia ha un bilancio primario in buone condizioni (tassa tanto!) e sono gli interessi sul debito che la fregano.
Poi vediamo che senza alcun stimulus plan, anche il deficit italiano esplode. Non perché il governo si sia dato alla spesa pazza temendo arrivasse il giorno del giudizio, ma semplicemente perché le entrate fiscali si sono contratte tanto quanto il declino economico, mentre la spesa pubblica è comprensibilmente rimasta più rigida.
Interessante notare che mentre il deficit tedesco ritorna all’equilibrio precedente, il deficit italiano rimane al livello di crisi del –5.5% per l’avvenire. E questo per quanto il Fondo stimi una crescita italiana che tende verso il 2%. Così la crisi passa, e le economie europee (chi più, chi meno) seguiranno il trend tedesco, tornando alla normalità di bilanci pubblici. L’Italia invece rimane fuori orbita, con un debito crescente e più del doppio, ed un deficit costante e quasi il doppio di quanto richiesto con Maastricht.
È sostenibile tale trend? Forse si, e non credo questo possa dare particolare fastidio ad altri paesi della zona euro. Questo articolo non ha altre pretese, ma vuol solo sottolineare l’impatto permanente che ha avuto questo forte shock temporaneo. Quindi, la crisi è finita per modo di dire.
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