All'articolo 61 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente numero:
«11-quater) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all'orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».
13 mesi di discussione parlamentare, 21 riunioni tra Commissione Giustizia e Affari Costituzionali, 2 dossier di studio. Oltre un anno di lavoro per produrre un testo condiviso da maggioranza ed opposizione composto da un solo articolo mono-comma.
Una proposta di legge che, per la prima volta nel nostro ordinamento, riconosceva per i reati penali l'aggravante causata da discriminazione sessuale. E che il Parlamento italiano, pochi istanti fa, ha preferito annientare in pochi minuti di dibattito.
L'impianto originale della legge era ben diverso da quello presentato oggi all'aula di Montecitorio. La proposta iniziale era ben più "aspra" ed introduceva non un aggravante, bensì un vero e proprio reato di discriminazione sessuale.
Sono passati oltre 16 anni da quando questo paese, perennemente in ritardo con i tempi, si è dotato di un provvedimento di civiltà elementare: l'introduzione del "reato di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi".
Era il 26 aprile del 1993 quando questa legge allora rivoluzionaria prese vita dalla penna dell'allora Ministro dell'Interno Nicola Mancino.
Una penna che escluse però ogni riferimento a discriminazioni fondate sull'identità sessuale (compresa quella verso le donne). Una penna dal perfetto look democristiano, come quello del suo proprietario al Viminale.
Dopo 16 anni, due nuove proposte dedicate all'estensione "sessuale" del reato, a firma Anna Paola Concia (PD) e Antonio Di Pietro (IDV). Una proposta eccessiva per i colleghi parlamentari, che ha costretto l'onorevole Concia alla riformulazione del Disegno di Legge così come lo conosciamo oggi (scatenando le proteste "laiciste" del leader dell'Italia dei Valori).
Un lungo e certosino lavoro di mediazione e continue limature, degno dei migliori maestri campionesi. Un lavoro faticoso ma che riuscì nel suo obiettivo: l'approvazione a larga maggioranza in Commissione (contrari Lega Nord e UDC) dell'aggravante al posto del reato.
Oggi la discussione in plenaria. E la inaspettata approvazione della pregiudiziale di costituzionalità che, di fatto, annulla la proposta di legge. 285 voti a favore (tra cui l'onorevole Binetti del PD) contro 222 contrari (tra cui ben 9 "finiani" del PDL, un "aiuto" inutile).
Due i problemi chiave eccepiti oggi dalla maggioranza di governo e dall'UDC (partito autore, a firma Michele Vietti, della pregiudiziale di costituzionalità): la non definibilità del termine "orientamento sessuale" e l'assenza di altre tipologie di discriminazione nel DDL.
Hanno ritenuto "vago" e "indefinibile" il termine "orientamento sessuale" gli stessi partiti politici che 6 anni fa, durante il governo Berlusconi II, approvavano il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, sulla lotta alle discriminazioni sui posti di lavoro, che all'articolo 1 prevedeva la lotta alle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale.
Gli stessi onorevoli campioni di coerenza hanno aggiunto una critica all'istituzione del reato di discriminazione sessuale in assenza di altre fattispecie come quelle sull'età e la disabilità. Un concetto che potrà fare scuola con il passare del tempo, portandoci così ad assistere alla bocciatura di provvedimenti anti-pedofilia perché privi di norme contro la guida in stato d'ebbrezza o leggi contro le morti sul lavoro perché scritte senza considerare la problematiche dell'estinzione del fagiano reale.
Un discorso questo, rilanciato in primis dall'onorevole Ministro Mara Carfagna, che non sembra preoccuparsi al tempo stesso della presenza nel nostro ordinamento di un reato di discriminazione valido solo per alcune tipologie e che ignora tutte le altre (quella "sessuale" innanzitutto).
Lo scorso giugno il cattolicissimo governo irlandese istituiva le cosiddette "coppie di fatto", lasciando l'Italia sola, assieme alla Grecia, nella lista dei paesi dei "quindici" dell'UE senza riconoscimento delle unioni civili.
L'Italia non è in grado di riconoscere neanche il concetto di discriminazione sessuale per paura di doverlo estendere ai gay, alle lesbiche e ai trans. Un vero paese "riformista".
«11-quater) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all'orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».
13 mesi di discussione parlamentare, 21 riunioni tra Commissione Giustizia e Affari Costituzionali, 2 dossier di studio. Oltre un anno di lavoro per produrre un testo condiviso da maggioranza ed opposizione composto da un solo articolo mono-comma.
Una proposta di legge che, per la prima volta nel nostro ordinamento, riconosceva per i reati penali l'aggravante causata da discriminazione sessuale. E che il Parlamento italiano, pochi istanti fa, ha preferito annientare in pochi minuti di dibattito.
L'impianto originale della legge era ben diverso da quello presentato oggi all'aula di Montecitorio. La proposta iniziale era ben più "aspra" ed introduceva non un aggravante, bensì un vero e proprio reato di discriminazione sessuale.
Sono passati oltre 16 anni da quando questo paese, perennemente in ritardo con i tempi, si è dotato di un provvedimento di civiltà elementare: l'introduzione del "reato di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi".
Era il 26 aprile del 1993 quando questa legge allora rivoluzionaria prese vita dalla penna dell'allora Ministro dell'Interno Nicola Mancino.
Una penna che escluse però ogni riferimento a discriminazioni fondate sull'identità sessuale (compresa quella verso le donne). Una penna dal perfetto look democristiano, come quello del suo proprietario al Viminale.
Dopo 16 anni, due nuove proposte dedicate all'estensione "sessuale" del reato, a firma Anna Paola Concia (PD) e Antonio Di Pietro (IDV). Una proposta eccessiva per i colleghi parlamentari, che ha costretto l'onorevole Concia alla riformulazione del Disegno di Legge così come lo conosciamo oggi (scatenando le proteste "laiciste" del leader dell'Italia dei Valori).
Un lungo e certosino lavoro di mediazione e continue limature, degno dei migliori maestri campionesi. Un lavoro faticoso ma che riuscì nel suo obiettivo: l'approvazione a larga maggioranza in Commissione (contrari Lega Nord e UDC) dell'aggravante al posto del reato.
Oggi la discussione in plenaria. E la inaspettata approvazione della pregiudiziale di costituzionalità che, di fatto, annulla la proposta di legge. 285 voti a favore (tra cui l'onorevole Binetti del PD) contro 222 contrari (tra cui ben 9 "finiani" del PDL, un "aiuto" inutile).
Due i problemi chiave eccepiti oggi dalla maggioranza di governo e dall'UDC (partito autore, a firma Michele Vietti, della pregiudiziale di costituzionalità): la non definibilità del termine "orientamento sessuale" e l'assenza di altre tipologie di discriminazione nel DDL.
Hanno ritenuto "vago" e "indefinibile" il termine "orientamento sessuale" gli stessi partiti politici che 6 anni fa, durante il governo Berlusconi II, approvavano il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, sulla lotta alle discriminazioni sui posti di lavoro, che all'articolo 1 prevedeva la lotta alle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale.
Gli stessi onorevoli campioni di coerenza hanno aggiunto una critica all'istituzione del reato di discriminazione sessuale in assenza di altre fattispecie come quelle sull'età e la disabilità. Un concetto che potrà fare scuola con il passare del tempo, portandoci così ad assistere alla bocciatura di provvedimenti anti-pedofilia perché privi di norme contro la guida in stato d'ebbrezza o leggi contro le morti sul lavoro perché scritte senza considerare la problematiche dell'estinzione del fagiano reale.
Un discorso questo, rilanciato in primis dall'onorevole Ministro Mara Carfagna, che non sembra preoccuparsi al tempo stesso della presenza nel nostro ordinamento di un reato di discriminazione valido solo per alcune tipologie e che ignora tutte le altre (quella "sessuale" innanzitutto).
Lo scorso giugno il cattolicissimo governo irlandese istituiva le cosiddette "coppie di fatto", lasciando l'Italia sola, assieme alla Grecia, nella lista dei paesi dei "quindici" dell'UE senza riconoscimento delle unioni civili.
L'Italia non è in grado di riconoscere neanche il concetto di discriminazione sessuale per paura di doverlo estendere ai gay, alle lesbiche e ai trans. Un vero paese "riformista".
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