18/10/09

L'inganno della privatizzazione idrica italiana



Nel luglio del 2008 il Parlamento italiano approvava la legge 133, il collegato alla finanziaria 2009, divenuto celebre per la grande mole di tagli alla spesa pubblica. Tra i punti del provvedimento emergeva il 23-bis, l'articolo che normalizzava il settore dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, servizio idrico compreso, imponendo l'affidamento tramite gara ai privati e consentendo la prosecuzione del servizio pubblico (il cosiddetto "affidamento in house") solo in casi eccezionali e ben motivati.
Una logica, questa, condivisa anche dalle opposizioni (PD, UDC e IDV), contrarie al provvedimento solo a causa della presenza della possibilità di affidare il servizio di distribuzione dell'acqua senza gara d'appalto a ditte a capitale misto pubblico-privato (procedura vietata dall'Unione Europea).

Il 18 settembre scorso il Consiglio dei Ministri approvava il decreto-legge di applicazione degli obblighi comunitari europei, ora in discussione nell'aula di Palazzo Madama. Tra gli articoli, il numero 15, che rafforza la concezione privatizzante dei servizi pubblici locali.

Viene spesso presentato come concetto di base per la privatizzazione del servizio idrico nazionale l'obbligo di adeguamento alle direttive europee. E' ormai divenuta una consuetudine radicata giustificare la privatizzazione dell'acqua con il termine "Europa"; la presenza di una norma di privatizzazione dei servizi in un decreto di attuazione degli obblighi europei la dice lunga.

La verità, purtroppo, non ha diritto d'asilo in questa vicenda e così un dato di fatto importante viene ripetutamente ignorato: l'Unione Europea non ha mai chiesto la privatizzazione dell'acqua per nessun paese europeo. Tutto il contrario.

Le due direttive europee 92/50/CEE e 93/38/CEE sono il punto di partenza della richiesta di apertura alla concorrenza dei servizi pubblici nazionali e locali. Vengono spesso prese a riferimento dai fautori della privatizzazione, eppure entrambe escludono dagli obblighi di mercato, tra gli altri, il servizio idrico, oltre a consentire comunque, anche per le altre tipologie di servizi, gli affidamenti "in house".

Un concetto ribadito da una celebre direttiva europea, datata 12 dicembre 2006, informalmente nota con il nome di "Bolkestein" [PDF]. All'articolo 17 della direttiva si esclude esplicitamente dalla regola della "libera circolazione dei servizi" (ovvero l'apertura al mercato comunitario) proprio il servizio idrico.

La stessa direttiva all'articolo 1 lascia ai singoli stati membri la possibilità di definire quali siano i servizi ad interesse economico e quali siano intrinsecamente quelli non a scopo di lucro, consentendo per questi ultimi il divieto totale di apertura al mercato.
L'Italia, dopo 3 anni, non ha ancora stabilito una distinzione di questo tipo. E si avvia verso la privatizzazione di tutti i servizi.

Le norme approvate negli ultimi tempi in Italia sono chiare: apertura ai privati per tutte le tipologie di servizio locale e affidamento al pubblico solo in via eccezionale, un requisito che l'Europa non ha mai chiesto. Al contrario, nelle ripetute direttive emanate ha sempre indirettamente invitato a definire determinati servizi come di interesse pubblico e non commerciale, mettendoli di conseguenza al riparo dagli sguardi vogliosi del mercato.

Considerata quella che è la linea politica nazionale, sembrerebbe quantomai prossimo il giorno in cui i privati avranno definitivamente il via libera per l'accesso al servizio di distribuzione dell'acqua potabile.
Un grosso errore di valutazione: l'acqua, in Italia, in parte, è già privatizzata.

Gli esempi sono diversi. Si parte da Cuneo (1 società a capitale 90% privato, EGEA SpA, e 2 società da essa controllate) per arrivare a Palermo (Acque Potabili Siciliane SpA, totalmente privata), Enna (Acqua Enna SpA, privata), Caltanissetta (Acque di Caltanissetta SpA, privata) e Siracusa (ATI Sogeas, privata a partecipazione minoritaria comunale), passando per Frosinone (Acea ATO 5 SpA, privata con quota di maggioranza di Acea SpA, partecipata dal Comune di Roma) e Reggio Calabria (Acque Reggine SpA).

Ben più numerose, invece, le società a capitale misto operanti nei diversi ATO d'Italia (34 dal Piemonte alla Sicilia). 64 le rimanenti società a capitale interamente pubblico deputate alla gestione dei servizi idrici locali.

Emblematico il caso di Palermo: la gestione del servizio idrico dell'ATO 1 è stato assegnato alla Acque Potabili Siciliane SpA in una gara d'appalto aperta (lo impone la legge) ma che ha visto la partecipazione della sola ditta poi vincitrice dall'appalto.
Un'assegnazione decisamente poco trasparente, soprattutto se è riuscita a scatenare diverse preoccupazioni espresse anche dal Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche, organo pubblico di monitoraggio e osservazione e che fa riferimento direttamente al Parlamento.

La durata dell'appalto? Trentennale, naturalmente.

Fonte articolo

Stop al consumo di territorio
La Casta dei giornali
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