29/01/10

Si scrive "Decreto Romani", si legge censura Internet

Un’interpretazione surrettizia di una direttiva europea, un regalo a Mediaset e alle multinazionali dello spettacolo, un ostacolo a Internet, una minaccia per i provider, un clamoroso restringimento della libertà di espressione. Questo, in sintesi, il succo del "Decreto Romani", la polpetta governativa avvelenata travestita da legge, in questi giorni in discussione alla Camera.


Il "Decreto Romani" o "Decreto di Natale", presentato dall’esecutivo il 17 dicembre 2009, è un classico esempio di "non notizia" poiché i mainstream non gli hanno dedicato, né gli dedicano, quel minimo di visibilità che meriterebbe. Eppure esso è importante.

Con tale misura legislativa, in questi giorni in discussione in Commissione Cultura e Trasporti e il 26 gennaio pronta per essere approvata dal Consiglio dei ministri, il regime conta di mettere a segno diversi obiettivi.

Il decreto, nei proclami governativi, dovrebbe servire a dare attuazione in Italia alla Direttiva Europea 2007/65/CE (Audiovisual Media service) dell’11 dicembre 2007, che modifica la Direttiva Europea 89/552/CEE detta anche "Tv senza frontiere". Tale direttiva (di cui si era proposta la revisione il 13 dicembre 2005) aveva, tra i suoi scopi originari, il fine di migliorare la competitività dell’industria europea nei settori dei media e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonché la salvaguardia del principio della neutralità tecnologica e della promozione di nuovi servizi ("servizi" per i cittadini, non per i tycoon mediatici...).

Certo, essa non era immune da difetti. Alcuni analisti, per esempio, notavano che nulla era stato fatto contro il "product placement" (Chiesa, Aidem n 1/2006), ma comunque restava indubbio uno sforzo normativo teso al bene comune, o almeno comunitario.

Purtroppo, in modo sapientemente dissimulato (sic), il regime berlusconiano ha pervertito le finalità della Direttiva sopracitata e, col Decreto attuativo che la recepirà vi saranno vantaggi solo per il capo del governo e le sue aziende. Per la concorrenza (leggi Sky tv) e per la libertà d’espressione (leggi Internet) saranno invece dolori e colpi bassi.

Vediamone brevemente i punti salienti. Vediamoli qui perché non li vedremo mai sul Tg1 o sulle prime pagine dei quotidiani.

- Limite per gli "affollamenti" pubblicitari per il satellite e la pay-tv dal 18% al 12% (di ogni ora trasmessa). Sulla carta tale misura interesserebbe anche le tv Mediaset, ma le reti del premier incassano il grosso degli introiti pubblicitari dalle tv in chiaro (68%) e sono lontane dal tetto del 12% sui canali digitali e a pagamento. Inutile dire che il nuovo "tetto" governativo andrà, per coincidenza, a penalizzare fortemente le tv Sky di Murdoch, il diretto concorrente tv di Mediaset.

Non c’è che dire una vera misura "ad aziendam", com’è stata già da taluni ribattezzata...e per di più il regime che prospera sul conflitto d’interessi potrà spacciare tale sgambetto al magnate australiano come una misura "nell’interesse del pubblico".

- Equiparazione del web alla tv, volendo includere anche Internet nella disciplina riguardante tutti i mezzi "che trasmettono non occasionalmente immagini". Col nuovo decreto il regime aggiunge un altro concetto alla sua neolingua, quello di "servizio di media audiovisivo". Tale categoria per il governo comprende "i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o no, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente accidentale" (art.4, comma 1, lettera a). Ergo, qualsiasi videoblog sarà a rischio censura.

Siccome le aziende del capo del governo si stanno interessando all’Iptv (Tv Internet protocol), i suoi dipendenti nelle stanze dei bottoni cominciano a far fuori la concorrenza prima ancora che possa nascere, eliminando o quantomeno riducendo i materiali video circolanti in Rete che potrebbero rappresentare quella concorrenza che l’egoarca ama solo a parole e che nomina solo mentre mente, sorridendo, di fronte alle telecamere e ai falsi applausi.


- Controllo politico del Web, tramite le norme che fanno da corollario al Decreto Romani e che già fanno parte, in varia misura, della legislazione vigente. Ci riferiamo qui in particolare alle norme a difesa del copyright (Decreto Urbani del 2004), a quelle sull’obbligo di registrazione per siti web (Nuova Legge sull’Editoria n.62/01) e a quelle, vera aberrante novità, che introdurrebbero la responsabilità dei provider circa ciò che transita sulle loro piattaforme.

Con la normativa prossima ventura l’Italia rinnegherebbe un principio universalmente accettato, almeno in Occidente, quello della "neutralità "della Rete e dei suoi fornitori di servizi.

E si noti bene che nella Direttiva Europea, che il Decreto Romani vorrebbe recepire, la nozione di "responsabilità editoriale" cioè del provider non implica necessariamente una responsabilità giuridica sui contenuti. E ci mancherebbe. Come potrebbe, poniamo, Tiscali essere responsabile dell e-mail che vi transitano oppure You tube dei video che vi si caricano?

Solo una completa ignoranza del web, unita ad una volontà censoria strenuamente dissimulata possono condurre un regime a tali proposte di legge, più ridicole che liberticide. Si rinnega il principio dell’assenza di obbligo di sorveglianza degli intermediari della comunicazione, che, appunto, sono intermediari, non secondini dei netizen.

E lo si rinnega non in generale ma in particolare, coi commi.

All’art.6 del Decreto Romani, dove si parla di "diritto d’autore", il governo impone a tutti i fornitori di servizi media audiovisivi di "astenersi dal trasmettere o ritrasmettere o mettere comunque a disposizione degli utenti, su qualsiasi piattaforma, programmi oggetto di diritti di proprieta’ intellettuale di terzi o parte di tali programmi".

Nello stesso art.6 (comma 3) si nomina anche lo sceriffo della Rete: "l’Autorità (Agcom, ndr) emana le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e dei divieti di cui al presente articolo".

Da notare che l’organo che dovrebbe controllare Internet (l’Agcom) è di stretta nomina politica quando non partitica; i suoi membri vengono eletti da Camera e Senato e il suo presidente direttamente dal presidente del consiglio. Ogni commento e’ superfluo...

- Autorizzazione ministeriale preventiva, per tutti coloro che volessero "diffondere immagini via internet". Una web tv, fatta magari con il telefonino o con la web cam in casa propria, i video messi sulle piattaforme come You Tube, saranno equiparati dal potere governativo al gruppo Mediaset e per la loro "divulgazione" in Rete sarà necessaria un’autorizzazione ministeriale.

Il nuovo "guardiano", governativo.
L’Italia sarà, sotto tale aspetto, molto più vicina alla Cina che all’Europa. Come non rimanere basiti da tale deriva totalitaria?

Illuminante a tale proposito il commento su tale tema di Marco Pancini, dirigente di Google italia. Intervistato dal sito Articolo 21 ha sostenuto che "in questo decreto (Romani) c’e’ un’equiparazione dei siti web alle tv che ha una conseguenza importante: disapplica di fatto le norme sul commercio elettronico per cui l’attivita’ dell’hosting service provider, cioe’ del sito che ospita contenuti generati da terzi, va distinta da quella di un canale tv, che sceglie cosa trasmettere. Significa distruggere il sistema internet".

Ecco. "Distruggere il sistema internet"...forse in queste quattro semplici parole c’è tutta la ratio (inconfessabile) del Decreto Romani nonché l’eterno desiderio del potere e di questo regime in particolare: il controllo assoluto sulla popolazione.

Quel controllo assoluto che consente la tv, col suo 96% di penetrazione nelle famiglie italiane.

Quel controllo assoluto, consentito dalla tv, che permette un lavaggio del cervello capillare e sistematico e che rende possibile, conseguentemente, l’elezione (sine die) di un plurinquisito, pluriprocessato, corruttore, evasore fiscale, amico e socio in affari di mafiosi di spicco.

Quel controllo assoluto della popolazione che vede in Internet una minaccia assoluta. Poiché la tv, medium verticale, addormenta lo spirito critico, massifica e omologa. Internet, al contrario, medium paritetico orizzontale, stimola la discussione, permette la ricerca, sviluppa la curiosità.

Ecco perché il regime regala i "decoder" e congela gli 800 milioni che lo stesso Romani aveva precedentemente dichiarato davanti alle telecamere di voler destinare alla banda larga italiana (il tanto strombazzato "piano Romani", rinviato "alla fine della crisi")


"Distruggere il sistema internet", fare in modo che la rete diventi un grande centro commerciale, rigorosamente a pagamento, perché il web, nelle intenzioni dei nostri legislatori, deve solo servire a far fare (a loro) un sacco di soldi.

All’informazione ci pensano già le tv di Papi....

Sarà meglio alzare la voce, prima che sia troppo tardi. Perché se saremo in molti ad alzare la voce, e solo in quel caso, allora i gerarchi al potere avranno paura di perdere consenso, di rovinarsi l’immagine e desisteranno dai loro propositi liberticidi.

Il regime cinese ha dimostrato che si può eliminare sia You tube che Google. Qualcuno crede forse che il nostro regime sia da meno?

Fonte articolo

Stop al consumo di territorio
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