14/04/10

GRECIA, ORA IL PERICOLO È LA FUGA DAI DEPOSITI


Il primo ministro greco George Papandreou - © 2010, American Hellenic Council.

Le notizie che giungono dalla Grecia segnalano che la situazione potrebbe precipitare da un momento all'altro. Finora l'attenzione è stata tutta concentrata sulle necessità di finanziamento del settore pubblico. Ma la scorsa settimana ha fatto intravedere una possibile improvvisa crisi di liquidità del sistema bancario di quel paese, con elevato rischio di contagio internazionale. L'accordo dell'11 aprile tra i ministri dell'Eurogruppo è un passo avanti, ma ampiamente al di sotto di quanto sarebbe necessario e urgente.

La capacità dimostrata finora dallo Stato greco di emettere debito, seppure a un costo penalizzante, ha indotto molti a ritenere che la questione greca non sia poi così urgente, e che tutto dipenda dalla determinazione del governo di quel paese nell’attuare il piano di aggiustamento concordato con i partner della Unione Europea.

NOTIZIE ALLARMANTI

È di cruciale importanza che questa sia la posizione della cancelliera tedesca, che - mostrando quanto scarsa sia la sua indipendenza dalla Bundesbank - non perde occasione per sottolineare come il governo greco non abbia ufficialmente chiesto alcun aiuto e che la Grecia può, tutto sommato, farcela da sola. I ministri dell’economia dell’Eurogruppo hanno raggiunto un accordo tecnico domenica 11 aprile, che rappresenta indubbiamente un passo avanti rispetto alle promesse del 25 marzo, ma necessita ancora dell’imprimatur politico dei capi di governo per diventare operativo, oltre che dell’esplicita richiesta di aiuto da parte del governo greco, in seguito alla difficoltà effettivamente manifestata di reperire finanziamenti sui mercati.

Ma si trascura così la possibilità che il sistema bancario greco sia colpito da una “fuga dai depositi”, che farebbe precipitare il paese nel caos e costituirebbe una più che probabile fonte di instabilità internazionale: le crisi di liquidità si trasmettono da un paese all’altro piuttosto rapidamente, come ben sappiamo dall’esperienza recente.
Le banche greche hanno reso noto di avere subito, a partire dal dicembre scorso, un drenaggio di depositi pari al 4,5 per cento del totale, trasferiti all’estero. Allo stesso tempo, hanno chiesto al governo aiuti per 15 miliardi di euro, di fatto prosciugando il fondo speciale creato nel 2008 per assistere il sistema bancario nel corso della crisi finanziaria. Ben si comprende la ragione della fuga di capitali all’estero. Se un risparmiatore teme che il suo deposito in euro venga un giorno convertito in dracme, il cui valore verrà svalutato (diciamo del 30 per cento), ha tutta la convenienza a trasferirlo presso una banca estera: se lo scenario di svalutazione si avvererà, avrà guadagnato dall’operazione il 30 per cento; in caso contrario, non avrà perso nulla, a parte i costi di transazione, che sembrano trascurabili data l’entità della posta in gioco. C’è quasi da stupirsi che la fuga di capitali sia stata finora così limitata.

ASPETTATIVE CHE SI AUTO-REALIZZANO

Ma c’è di più. Mettiamoci nei panni di un amico greco che abbia un gruzzoletto depositato in una banca del suo paese. Anche se ritenesse irrealistico lo scenario della svalutazione, potrebbe pensare che molti altri lo ritengano possibile e che di conseguenza trasferiscano all’estero i loro depositi. Il nostro depositante potrebbe temere che la fuga di capitali continui fino al punto in cui le banche greche non abbiano più abbastanza riserve liquide per fare fronte al ritiro di depositi: una situazione che le esporrebbe a un serio rischio di insolvenza, in mancanza di una adeguata assistenza finanziaria. Ma allora, ragionerebbe l’amico greco, mi conviene affrettarmi a ritirare il deposito, prima che la mia banca dichiari bancarotta. Se molti la pensano come il nostro amico, saranno in tanti a richiedere il rimborso dei deposti, e in fretta, anche se non si aspettano una svalutazione. Si potrebbe obiettare che questo tipo di ragionamento è un po’ troppo sofisticato per un normale depositante. Tuttavia bisogna ricordare che, normalmente, le banche si finanziano anche sui mercati interbancari all’ingrosso: su questi operano soggetti certamente “sofisticati”, che potrebbero essere i primi a partire all’attacco in uno scenario di “bank run”, trascinando i depositanti al dettaglio (così è successo alla banca inglese Northern Rock). In sintesi, la minaccia di uscita dall’euro e di svalutazione potrebbe generare comportamenti collettivi - anche da parte di coloro che non credono più di tanto in tale prospettiva - tali da generare una “profezia che si auto-realizza”: una fuga dai depositi con conseguente crisi di liquidità e potenziale insolvenza delle banche greche.

POLITICA INCERTA E PENSIERO DEBOLE

Il ragionamento appena fatto illustra un punto importante: i mercati finanziari possono diventare molto instabili a causa delle oscillazioni delle aspettative degli operatori. Chi governa ha il dovere di orientare le aspettative del pubblico in direzione della stabilità, dando le opportune garanzie e indicando una linea di azione chiara e credibile. L’accordo tanto faticosamente raggiunto dai governanti europei il 25 marzo scorso, purtroppo, non risponde a questi requisiti. Prevede: (i) una dispersione di responsabilità tra Fondo monetario internazionale, Unione Europea e singoli stati membri dell’area euro (se qualcosa va storto, ognuno potrà dare la colpa a qualcun altro); (ii) interventi coordinati ma volontari (quindi la Germania potrebbe tirarsi indietro all’ultimo momento?); (iii) finanziamenti a tassi d’interesse di mercato (ma allora che aiuto è?). In queste condizioni, è naturale che i mercati finanziari siano “nervosi”: lo spread tra i tassi d’interesse sui titoli di stato decennali greci e quelli tedeschi ha nettamente superato i quattro punti percentuali; la borsa di Atene ha perso il 5 per cento la scorsa settimana. Proprio il desiderio di inviare un messaggio rassicurante ai mercati finanziari ha indotto i governi all’accordo d’emergenza siglato domenica 11 aprile. Ma, per il momento, il governo greco deve ancora provare a finanziarsi sul mercato, esponendosi al rischio che la situazione precipiti da un momento all’altro.
Più il tempo passa e più la crisi greca si aggrava e rischia di contagiare altri paesi, più l’onere del salvataggio cresce. Sui costi di tutto questo dovrebbero riflettere coloro che ritengono inevitabile, ma non grave il default greco (totale o parziale) e dicono che l’uscita della Grecia dall’euro, con conseguente svalutazione, non sia poi un gran dramma ma soltanto una fase transitoria, destinata a concludersi felicemente con un rientro successivo, se le “pulizie interne” verranno completate a puntino. E forse sarebbe ora di mettersi a pensare a come sia possibile cominciare a intervenire per limitare le divergenze strutturali (in termini di produttività e squilibri commerciali) che minacciano la coesione tra i membri dell’area euro ben più delle divergenze nei conti pubblici e, nel lungo periodo, rappresentano la più grave minaccia per la sopravvivenza stessa della moneta unica. Per parte nostra, cercheremo di farlo presto su queste colonne.

European council Greece

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