26/04/10

Stiglitz, Greenwald e il futuro della crisi

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Mauro Gallegati in trasferta alla Columbia University, ha intervistato per il blog, il professore Bruce Greenwald, considerato "il guru dei guru di Wall Street", e Joe Stiglitz, premio Nobel per l'economia, sulla crisi attuale.

Mauro Gallegati: La crisi attuale pone molti problemi: quale teoria economica abbiamo a disposizione, è possibile un paragone col 1929, quanto durerà?
Greenwald/Stiglitz: La crisi che inizia nel 2007 ha contribuito a mettere in luce molti dei problemi dell’ideologia liberista, in particolare l’idea che il libero mercato possa risolvere tutti i problemi economici mediante una efficiente allocazione delle risorse per mezzo della "mano invisibile". Così il fondamentalismo del mercato, grazie all’idea che una liberalizzazione dei mercati finanziari avrebbe portato ad una divisione del rischio (con i derivati), ha condotto il sistema economico ad assumere più debiti di quanti sarebbe poi riuscito ad onorare. La teoria economica dominante, dopo un iniziale disorientamento, sta riguadagnando le vecchie posizioni. Non è difficile prevedere che, passata la crisi, tornerà a dominare il pensiero economico, incurante dello scacco intellettuale subito.
La crisi è però dovuta, contrariamente a quanto si ritiene, non tanto alla crisi dei sub prime quanto all’eccessivo indebitamento delle famiglie americane, del debito pubblico e del deficit del commercio internazionale statunitense. E’ come se i cinesi stessero finanziando la crescita americana. Qualcuno può credere davvero che questo processo possa andare avanti per sempre?
Un aspetto solitamente trascurato riguarda la disoccupazione, cioè su chi paga davvero la crisi. Negli USA, il numero di lavoratori senza lavoro è molto più alto di quanto riportano le statistiche ufficiali che non considerano gli scoraggiati: se includessimo questi, stimiamo un tasso di disoccupazione attorno al 15%.
Salvare il sistema finanziario è certo importante, ma le vere cause della crisi rimarranno irrisolte: Wall Street andrà meglio, le banche torneranno a far profitti, ma il lavoro no e l’economia della tipica famiglia americana si riassesterà con grande lentezza. Il sistema finanziario riuscirà dunque a sopravvivere (fino alla prossima crisi finanziaria) mentre i costi ricadranno sui lavoratori e sui contribuenti. Per le famiglie dell’Europa mediterranea? Sperate che l’euro tenga! Per ora, obtorto collo (facendo pagare alla Grecia interessi sugli aiuti finanziari molto elevati), la Germania lo farà. Si ripeterà però quando anziché alla Grecia, toccherà ad un altro (grande) Paese?
Mauro Gallegati: La globalizzazione spaventa molti e incoraggia altri. Quali sono le vostre idee per il futuro della globalizzazione?
Greenwald/Stiglitz: La paura che un cinese ti ruberà il lavoro è diffusa quanto irrazionale. Questo perché le economie sono diverse nelle loro strutture. L’agricoltura assorbiva la maggior parte dell’occupazione americana nel 1850; ora ne occupa meno del 2%. La manifattura è stata importante per oltre un secolo, ma ora negli USA ci sono più occupati legati allo sport che operai. Lavorano le macchine.
La globalizzazione finirà perché si va verso una società post-industriale in cui dominano i servizi, spesso non esportabili (se vi si rompe l’auto in Italia, non andrete a farla riparare in Bulgaria perché lì costa meno). E non è arduo ipotizzare che educazione e sanità saranno i settori guida del futuro: qui si può guardare con ottimismo agli USA, e meno a Cina, Giappone e Germania, le cui economie sono ancora pesantemente legate all’industria. E’ ormai ora che un Paese come l’Italia si attrezzi per sfruttare in pieno il patrimonio di arte, tradizione e cultura, capace di muovere milioni di turisti. Attenzione però; i tre Paesi sopra citati stanno investendo molto in ricerca e si preparano al salto. Salto non indolore, ma necessario perché senza ricerca non ci sarà futuro.

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