Articolo scritto per la rubrica "Pagina Zero", su Abruzzo 24 Ore.
Era stato il successo mediatico e politico del governo Berlusconi. O, per meglio dire, di Silvio Berlusconi in persona.
Le visite trionfali nelle zone terremotate, l'annuncio del "miracolo aquilano", le "nuove case" costruite in tempi record, le bottiglie di spumante e le torte, dentiere e battute umoristiche scambiate con anziane senza tetto e operai al lavoro nei nuovi cantieri, gli abbracci collettivi. Tutto garantiva all'esecutivo un'immagine di operosità e magnanimità senza precedenti.
In seguito, lo scorrere del tempo ha determinato un totale ed inaspettato ribaltamento della realtà: le voci fuori dal coro di chi osservava da subito le grosse pecche della mancata ricostruzione diventano sempre più numerose, si allargano, formano un contro-canto. E coprono il coro del miracolo che non c'è e non c'è mai stato. Mentre la stampa nazionale toglie le tende giusto in tempo per evitare di raccontare il ribaltamento delle due realtà.
L'inesistente miracolo comincia a fare i conti con decine di migliaia di terremotati ancora sfollati, un centro storico ancora inibito al pubblico, macerie in ogni angolo, palazzine ad un passo dal crollo, aziende in crisi, attività economiche fallite, disoccupazione dilagante, affitti a peso d'oro. E qualche fortunato alloggiato in ghetti e casermoni lontani dal mondo, a chilometri di distanza da ciò che prima veniva chiamata civiltà.
Una città sull'orlo del baratro, ad un passo dalla fine. Una popolazione priva di casa, lavoro e speranza. E alla quale, dal primo luglio 2010, il governo italiano ha chiesto di tornare a pagare le tasse.
La ricostruzione non c'è, il governo fatica a destinare fondi alla popolazione terremotata. Ma non esita a chiederle denaro.
Per questo oggi migliaia di cittadini aquilani hanno deciso di tornare a Roma e di manifestare in piazza il proprio disagio, la volontà di riscatto che non cesserà mai, la propria indignazione e - sì, diciamolo senza pudori - la propria rabbia.
Un popolo esausto si è avventurato per le strade del centro della capitale per chiedere a gran voce alle autorità politiche una vera soluzione ai problemi dell'Aquila: una tassa di scopo, un trattamento fiscale identico a quello riservato alle popolazioni terremotate di Umbria e Marche, incentivi per lo sviluppo e per il lavoro, una vera casa come promesso dal premier oltre un anno fa.
Richieste evidentemente insopportabili per questo esecutivo, se l'accoglienza riservata a cittadini pacifici armati di bandiere, gonfaloni e mani alzate è quella vista oggi a Piazza Venezia prima e a Via del Corso poi: cariche, manganellate, spintoni e calci.
Tre feriti, il sindaco Massimo Cialente e il deputato PD Giovanni Lolli spintonati e malmenati e diversi manifestanti gratuitamente maltrattati dalle forze dell'ordine.
Dall'altra parte, la solidarietà e la partecipazione alle proteste da parte di esponenti politici come Nichi Vendola, Dario Franceschini, Paolo Ferrero, Angelo Bonelli, Antonio Di Pietro, Marco Pannella e Pierluigi Bersani (quest'ultimo accolto tra fischi ed applausi durante l'assedio a Piazza Colonna). E la partecipazione più importante di tutte: quelle dei cittadini romani che sono andati ad ingrossare le file dei contestatori.
In queste ore la manifestazione è ancora in corso; gli aquilani, dopo una difficile conquista del proprio spazio di fronte a Palazzo Chigi e Montecitorio nella tarda mattinata, stanno tentando di recarsi di fronte al Senato, dove nel pomeriggio proseguiranno i lavori sulla manovra, duramente attaccata dai manifestanti.
Il passaggio del corteo lungo Via del Plebiscito, dove trova posto Palazzo Grazioli, ha portato al terzo blocco del corteo da parte delle forze dell'ordine. Lo sfondamento, non senza ulteriori tafferugli tra polizia e manifestanti, del cordone di sicurezza ha portato per la prima volta nella storia un nutrito gruppo di manifestanti a protestare a due passi dal portone della residenza romana del permier, dove è in corso l'incontro tra Silvio Berlusconi e i vertici del PDL.
Fuori dalle finestre risuonano, imponenti, i fischi, le grida e i cori dei manifestanti: "L'Aquila, L'Aquila", "Rispettiamo solo i pompieri", "Vergogna, vergogna".
Oggi l'Italia, le sue istituzioni in primis, hanno offerto un'immagine di sé per nulla encomiabile. C'è solo da sperare, ed aspettare, che le massime autorità politiche si prendano la briga di chiedere scusa ai manifestanti per quanto accaduto. E, un istante dopo, ascoltare e cercare di accogliere ciò che essi chiedono. Nessun privilegio, ma solo diritti.
Le visite trionfali nelle zone terremotate, l'annuncio del "miracolo aquilano", le "nuove case" costruite in tempi record, le bottiglie di spumante e le torte, dentiere e battute umoristiche scambiate con anziane senza tetto e operai al lavoro nei nuovi cantieri, gli abbracci collettivi. Tutto garantiva all'esecutivo un'immagine di operosità e magnanimità senza precedenti.
In seguito, lo scorrere del tempo ha determinato un totale ed inaspettato ribaltamento della realtà: le voci fuori dal coro di chi osservava da subito le grosse pecche della mancata ricostruzione diventano sempre più numerose, si allargano, formano un contro-canto. E coprono il coro del miracolo che non c'è e non c'è mai stato. Mentre la stampa nazionale toglie le tende giusto in tempo per evitare di raccontare il ribaltamento delle due realtà.
L'inesistente miracolo comincia a fare i conti con decine di migliaia di terremotati ancora sfollati, un centro storico ancora inibito al pubblico, macerie in ogni angolo, palazzine ad un passo dal crollo, aziende in crisi, attività economiche fallite, disoccupazione dilagante, affitti a peso d'oro. E qualche fortunato alloggiato in ghetti e casermoni lontani dal mondo, a chilometri di distanza da ciò che prima veniva chiamata civiltà.
Una città sull'orlo del baratro, ad un passo dalla fine. Una popolazione priva di casa, lavoro e speranza. E alla quale, dal primo luglio 2010, il governo italiano ha chiesto di tornare a pagare le tasse.
La ricostruzione non c'è, il governo fatica a destinare fondi alla popolazione terremotata. Ma non esita a chiederle denaro.
Per questo oggi migliaia di cittadini aquilani hanno deciso di tornare a Roma e di manifestare in piazza il proprio disagio, la volontà di riscatto che non cesserà mai, la propria indignazione e - sì, diciamolo senza pudori - la propria rabbia.
Un popolo esausto si è avventurato per le strade del centro della capitale per chiedere a gran voce alle autorità politiche una vera soluzione ai problemi dell'Aquila: una tassa di scopo, un trattamento fiscale identico a quello riservato alle popolazioni terremotate di Umbria e Marche, incentivi per lo sviluppo e per il lavoro, una vera casa come promesso dal premier oltre un anno fa.
Richieste evidentemente insopportabili per questo esecutivo, se l'accoglienza riservata a cittadini pacifici armati di bandiere, gonfaloni e mani alzate è quella vista oggi a Piazza Venezia prima e a Via del Corso poi: cariche, manganellate, spintoni e calci.
Tre feriti, il sindaco Massimo Cialente e il deputato PD Giovanni Lolli spintonati e malmenati e diversi manifestanti gratuitamente maltrattati dalle forze dell'ordine.
Dall'altra parte, la solidarietà e la partecipazione alle proteste da parte di esponenti politici come Nichi Vendola, Dario Franceschini, Paolo Ferrero, Angelo Bonelli, Antonio Di Pietro, Marco Pannella e Pierluigi Bersani (quest'ultimo accolto tra fischi ed applausi durante l'assedio a Piazza Colonna). E la partecipazione più importante di tutte: quelle dei cittadini romani che sono andati ad ingrossare le file dei contestatori.
In queste ore la manifestazione è ancora in corso; gli aquilani, dopo una difficile conquista del proprio spazio di fronte a Palazzo Chigi e Montecitorio nella tarda mattinata, stanno tentando di recarsi di fronte al Senato, dove nel pomeriggio proseguiranno i lavori sulla manovra, duramente attaccata dai manifestanti.
Il passaggio del corteo lungo Via del Plebiscito, dove trova posto Palazzo Grazioli, ha portato al terzo blocco del corteo da parte delle forze dell'ordine. Lo sfondamento, non senza ulteriori tafferugli tra polizia e manifestanti, del cordone di sicurezza ha portato per la prima volta nella storia un nutrito gruppo di manifestanti a protestare a due passi dal portone della residenza romana del permier, dove è in corso l'incontro tra Silvio Berlusconi e i vertici del PDL.
Fuori dalle finestre risuonano, imponenti, i fischi, le grida e i cori dei manifestanti: "L'Aquila, L'Aquila", "Rispettiamo solo i pompieri", "Vergogna, vergogna".
Oggi l'Italia, le sue istituzioni in primis, hanno offerto un'immagine di sé per nulla encomiabile. C'è solo da sperare, ed aspettare, che le massime autorità politiche si prendano la briga di chiedere scusa ai manifestanti per quanto accaduto. E, un istante dopo, ascoltare e cercare di accogliere ciò che essi chiedono. Nessun privilegio, ma solo diritti.
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