Nè Confindustria né l’Ocse condividono l’ottimismo dei Tg sul dato Istat. Il Centro Studi dell’associazione di Emma Marcegaglia prevede per settembre un calo dello 0,7% della produzione, che dimezzerebbe quanto di buono ha portato l’estate – tipicamente periodo d’oro per l’industria, tra grossi ordinativi e pochi scioperi. L’autunno dovrebbe comunque portare un aumento dell’1,9% dell’attività rispetto al secondo trimestre, anche se rimarremo 17 punti percentuali al di sotto dei livelli pre-crisi 2008. Al ritmo attuale, dovremmo tornare “a galla” nel 2013, ma a viale dell’Astronomia ci credono in pochi: la velocità di recupero sta diminuendo (dal 7,7% al 5% annuo), e la completa guarigione della nostra economia potrebbe richiedere più tempo.
Simile la previsione degli esperti dell’istituto parigino. In Italia il “superindice” (indicatore che unisce produzione industriale, pil, occupazione e prezzi) perde lo 0,2% tra luglio e agosto, proprio come aveva fatto nei 3 mesi precedenti. Non va meglio nel resto dei paesi Ocse: tutti in negativo, ad esclusione di Germania, Russia e Giappone, che tirano avanti tra lo 0,3% e lo 0,5%.
Alla fine dei giochi, i dati son quel che sono, semplici indizi. Le realtà che ci stanno dietro sono invece molto concrete. La crisi non ha nessuna intenzione di mollare la presa sui paesi sviluppati, legati ad una ripresa dell’export decisamente deludente e a politiche di risanamento economico troppo caute e per niente strutturali. La disoccupazione del nostro Paese continua a crescere (siamo all’8,5%), abbiamo perso 200mila posti di lavoro tra aprile e giugno (somma algebrica tra 171mila stranieri in più e 366mila italiani in meno nel mercato del lavoro, mentre esplode precariato e orario ridotto). Oltre 2,1 milioni di persone (specie tra i giovani) cercano un impiego, senza trovarlo; e se le vendite al dettaglio sono aumentate, è solo grazie all’aumento dei prezzi al consumo, cioè delle spese per le famiglie. Qualcuno, ottimista nel midollo, sorriderebbe allora dell’incremento del 2,2% delle retribuzioni (che comunque ricalca in parte l’aumento dell’’1,6% del costo della vita): ma di fronte al numero di disoccupati che citavamo poc’anzi, sembra davvero una magra consolazione.
di Sirio ValentFonte articolo
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