The Atlantic, in un lungo e ben argomentato editoriale di Michael Hirschorn, pone alcune domande fondamentali per il presente e il futuro dell’informazione in rete:
Daniel Patrick Moynihan famously said (or is famously reputed to have said) that we may each be entitled to our own set of opinions, but we are not entitled to our own set of facts. In a time when mainstream news organizations have already ceded a substantial chunk of their opinion-shaping influence to Web-based partisans on the left and right, does each side now feel entitled to its own facts as well? And thanks to the emergence of social media as the increasingly dominant mode of information dissemination, are we nearing a time when truth itself will become just another commodity to be bought and sold on the social-media markets? [...] More far-reachingly, how does society function (as it has since the Enlightenment gave primacy to the link between reason and provable fact) when there is no commonly accepted set of facts and assumptions to drive discourse?
Non ho certo l’immodestia di fornire risposte a domande di una simile portata. Così come sarebbe inclemente ridurre a queste poche righe l’articolata riflessione di Hirschorn, che vi invito a leggere per intero. Mi limito semplicemente a segnalare due cose accadute in questi giorni, in qualità di provocazione. La prima è il lavoro svolto da Blogosfere e Agoravox sul non diritto alla pensione dei precari, nato in rete, ampiamente dibattuto in rete e assente nell’informazione “tradizionale”; la seconda è il reportage dalla “inferno di Terzigno” fatto da comuni cittadini raccolti in rete grazie ai soldi di altri comuni cittadini raccolti in rete. Una notizia, quest’ultima, che assume un particolare rilievo perché localizzata in Italia, e non nella terra di ProPublica o Spot.us. Non sarà la «democratizzazione della verità» ipotizzata dai tecno-entusiasti ma, forse, anche casi come questi ci dicono che siamo ancora in tempo per evitare che, anche in rete e a causa della rete, i fatti siano interamente sostituiti da opinioni. E che, anzi, sia proprio la rete a permettere ai lettori di venire a conoscenza di fatti su cui altrimenti sarebbero costretti a fare affidamento su opinioni preconcette o peggio informate. Che sia dunque presto per celebrare la morte dei fatti?
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