05/01/11

Ahi ahi, paradigma che dolor.

Su un interessante gruppo Facebook sulla crisi, va avanti il consueto dibattito. Rosanna dice:

Gli 'scricchiolii' dell' Impero si avvertono ancor prima culturalmente che economicamente e se non si comprende questo non si può risalire la china. Occorre una presa di coscienza intellettuale assolutamente in contrapposizione con i 'modelli ' di vita, nell'accezione totale del suo concetto, vissuti fin ora.

E Maurizio, manco a dirlo, replica:

Ben detto, ma praticamente come farlo comprendere al fruttivendolo all'angolo?

Ai fruttivendoli fischieranno le orecchie, sono diventati le casalinghe di Voghera del nuovo millennio. Rosanna è convinta, poi, che con l'esempio si possa procedere a quei piccoli passi che faranno prendere coscienza al colto e all'inclita; Maurizio replica

Quel che mi chiedo è: avremo il tempo per produrre il cambiamento con un'azione capillare?

Rosanna ribatte che lo Stato siamo noi, che i grandi cambiamenti sono lenti, eccetera. La discussione va avanti proprio in questo momento, io mi fermo qui. Mi sembra però che i grandi cambiamenti saranno anche lenti, ma noi siamo fermi sempre sullo stesso punto, ormai da anni direi. La formichina del "buon esempio" che bacchetta il catastrofista dell' "è troppo tardi", il blabla quotidiano sulla presa di coscienza di queste fantomatiche masse che non hanno alcuna voglia di venir catechizzate sui cambiamenti di paradigma prossimi venturi.

Mi occupo di queste faccende da almeno un decennio, e la mia visione sta scivolando sempre più verso l'accettazione dello status quo. Ovvero, sarà il filino di amarezza da inizio anno, mi sto convincendo che è impossibile per l'essere umano accettare la decrescita, forzata o volontaria (se non su base strettamente individuale).

La decrescita semplicemente succede, cade sulla testa, e basta: non si può programmare o gestire. Sarà colpa del paradigma culturale prevalente, quello che ci ha inculcato fin dalla culla che "il progresso" è cosa buona, giusta è inevitabile; che non si "torna indietro" dall'auto alla bici, così come non si torna indietro dal computer ai geroglifici o dai jeans alla toga. Basta leggere, d'altronde, alcuni commenti all'ultimo post di Petrolio: pretendere che si passi dai 150 kmh dell'auto termica ai 90 dell'elettrica è un sopruso, un'ingiustizia, ci ribelleremo a tale orrore, dalle nostre fredde mani morte!

Ogni singola comodità, anche quelle palesemente cretine come gli imballaggi inutili, è considerata una faticosa conquista dell'essere umano diventata poi un diritto inalienabile, da difendere con le unghie e con i denti perché altrimenti si "torna indietro". "Non tornare indietro" è un valore assoluto, un dogma, che si rivendica senza neppure averlo esaminato. Vale, e basta.

Con questi presupposti, fare il detersivo in casa è sicuramente divertente e salutare ma come esempio ha valore nullo, e come presupposto per il cambiamento della società ha valore men che zero. Continuare ad informare gli altri resta un dovere, perché più gente è consapevole meglio ci troveremo dopo.

DOPO, però. Sul prima, non ho soverchie speranze.

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