Se da un lato ci si mette tutta la buona volontà per ridurre i rifiuti e la plastica, dall’altro le sconcertanti regole del consumismo fanno si che la battaglia sia, se non vana, quantomeno complessa. Abbiamo appena chiuso il capitolo buste di plastica, che giustamente se ne apre un altro: le capsule del caffè. Le avete presente quelle cialdine in plastica confezionate in altra plastica che contengono una dose di caffè? Sono una delle componenti di quegli elettrodomestici giocattolo, gadget per adulti, che non servono a una cippa se non a essere comprati e a consumare: filtri, elettricità, acqua, ecc. ecc.
Ebbene, su queste capsule è stato aperto un “caso studio” del Centro ricerca rifiuti zero del Comune di Capannori, giunto all’81% di raccolta differenziata. Si sono accorti che nell’immondizia non differenziata ci finivano proprio le capsule. E perché? Perché sono state progettate per non essere smaltite. Insomma, mai come in questo caso avrebbero ragione di essere sostenuti tutti i discorsi che abbiamo fatto sul design industriale.
Dunque la responsabile del caso studio Rossana Ercolini ha scritto una lettera aperta a Lavazza, chiedendo una collaborazione fattiva, come l’uso di cialdine biodiegradabili o ricaricabili con filtro di carta. Infatti, secondo le proiezioni, ogni anno nella spazzatura di Capannori finirebbero 750mila cialdine. E noi consumatori? Si stima che ne consumiamo per 12mila tonnellate che finiscono o in discarica o bruciate in qualche inceneritore.
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