28/02/11

Il mercato italiano delle armi e i profitti di Finmeccanica dietro le stragi in Egitto e in Libia


La Libia portava sulle proprie spalle il peso ingombrante di 5 giorni di proteste e di circa mille morti nella sola città di Tripoli quando la "Guida della Rivoluzione Libica", Muammar Gheddafi, si mostrò alle tv di mezzo mondo per un durissimo video-messaggio alla nazione e ai ribelli.
Nel discorso, già inserito a pieno titolo tra le pagine più importanti e drammatiche della storia mondiale recente, il colonnello Gheddafi puntava il dito contro l'Italia, colpevole - a suo dire - di fornire armi ai movimenti ribelli di Bengasi. Un'accusa prontamente ricusata dalla telefonata di un Berlusconi preoccupatissimo di rassicurare il dittatore libico sulla fedeltà dell'alleato italiano.

Due giorni più tardi l'accusa inversa, mossa da alcune ONG ma sempre rivolta all'esecutivo italiano: l'Italia avrebbe fornito negli ultimi tempi quantità ingenti di armi e mezzi militari all'esercito libico, impiegati in queste ore nelle violente repressioni dei moti di protesta che, al momento, contano oltre 10 mila morti e diverse decine di migliaia di feriti.

Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, smentisce immediatamente le voci su un presunto commercio di armi da Roma a Tripoli. In un'intervista a Repubblica di venerdì 25 febbraio dichiara: "Non mi risulta che ci siano state consegne di armi al regime, tanto meno nelle ultime settimane".

Parole che non hanno rimosso i dubbi delle opposizioni, sebbene incapaci di accorgersi di una verità inconfutabile: quella del ministro La Russa è una menzogna decisamente grossolana.

A dimostrare la consapevolezza da parte del ministro della falsità delle sue dichiarazioni sopraggiunge una relazione - datata marzo 2010 e in possesso del Senato della Repubblica - sulle importazioni e le esportazioni di materiale bellico da e verso l'Italia. Si tratta di tre volumi, per un totale di quasi 3 mila pagine, al cui interno troviamo numerosi riferimenti alle esportazioni di armi automatiche, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili, dispositivi e velivoli militari a favore dei regimi libico ed egiziano per l'anno 2009.
Gli autori della relazione? Il Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, il ministro degli Esteri Franco Frattini, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e, autore di un dettagliatissimo resoconto di tutte le esportazioni effettuate, proprio il ministro della Difesa, Ignazio La Russa.

Diciannove sono stati gli ordinativi bellici richiesti dal regime di Hosni Mubarak in tutto il 2009, per un volume d'affari (per l'Italia) di ben 27 milioni di euro. Briciole, se confrontati ai profitti registrati dalle esportazioni di armi italiane al governo ancora in carica di Muammar Gheddafi: oltre 111 milioni di euro, a fronte di un numero di richieste dimezzato (9 ordini di esportazione).

A beneficiare economicamente del traffico di armi dall'Italia alla Libia e all'Egitto sono il ministero del Tesoro, per mezzo di Finmeccanica, società per azioni posseduta dal ministero diretto da Giulio Tremonti, e alcune imprese private, tra cui la "Fabbrica d'armi Pietro Beretta SpA", la "Simmel Difesa SpA" e la "Rheinmetall Italia SpA".
La prima è la fornitrice delle armi di ordinanza dei corpi militari e di polizia di mezzo pianeta, a partire da quelli di casa nostra; la seconda, con sede a Colleferro (RM), è stata per 20 anni (dal 1988 al 2007) uno dei bracci militari di Fiat Group, per poi essere ceduta alla Chemring Group SPA, azienda britannica con un fatturato pari a 458 milioni di euro nel 2009; la terza, originariamente denominata Contraves, afferisce all'omonimo gruppo tedesco.

Il grosso della torta resta però nelle mani pubbliche; i principali partner bellici del governo libico sono Alenia Aeronautica, Alenia Aermacchi, Selex Communications, Oto Melara, Agusta (del gruppo Agusta-Westlands) e MBDA Italia, tutte aziende interamente controllate da Finmeccanica (con la sola eccezione di MBDA Italia, parte di un consorzio europeo di cui Finmeccanica possiede solo il 25% del capitale).

Tutte le vendite di armamenti alla Libia di Gheddafi e all'Egitto di Mubarak sono effettuate alla luce del sole. Non solo: tutti gli ordini d'acquisto sono catalogati per mezzo di un apposito codice, fornito dal Ministero degli Affari Esteri a titolo di autorizzazione alla vendita.

Tra i più significativi spiccano un appalto di oltre 70 milioni di euro per sistemi radar e armi anti-aerei all'Egitto a beneficio di Rheinmetall, altri due ordini per 130 milioni complessivi per aerei militari prodotti da Agusta da fornire all'aviazione libica, 57 milioni di euro per ulteriori velivoli prodotti da Alenia Aeronautica e ordinativi multi-milionari di armamenti e munizioni a vantaggio di Beretta SpA (per l'Egitto) e Oto Melara SpA (per la Libia).

Queste cifre hanno reso l'Italia partner privilegiato del governo libico per il commercio di armi e la Libia tra i clienti prediletti al di fuori dell'orbita NATO per l'esecutivo italiano. Un volume d'affari ben consistente per il gruppo Finmeccanica, che nel settore bellico impiega attenzioni (e riscuote profitti) in continua crescita.
I dati riepilogativi per l'anno 2010, oramai di prossima pubblicazione, potranno confermare (o smentire) questo trend.

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