"Meno Tasse per tutti" era lo slogan elettorale di Forza Italia nel 2001, e prima ancora del “contratto con gli italiani". Nel 2008 torna con la promessa di riduzione delle tasse al di sotto del 40%, poi portata al 38% durante le elezioni. Quest'anno, in vista delle amministrative, l'annuncio è stato preciso: "Entro il 2013 meno tasse per le famiglie, il lavoro e la ricerca". E invece no. Secondo la Corte dei conti, le promesse elettorali del premier Berlusconi sono "impraticabili" e "impensabili".
I numeri smentiscono così parole e promesse del governo. Nessun ministero al Nord; Standard&Poor's lo ha già definito "inutile e pericoloso", Alemanno lo ha liquidato come "una baggianata". A Napoli, mentre la monnezza resta nelle strade, si continua a promettere l'esenzione fiscale temporanea e si distribuisce il pane, continuando ad assicurare che "il Governo non ha mai messo le mani nelle tasche dei cittadini”. Ma com’è che oggi la pressione fiscale è attorno al 43% , e addirittura al 52% quella percepita?
La riforma dell'Irpef non è mai partita; l'Irap continua ad esistere, dopo le mille promesse di eliminazione di Berlusconi. Secondo uno studio della Banca Mondiale ("Paying Taxes 2011"), i tributi e i contributi sociali pesano sulle imprese italiane per il 68,6%, contro una media europea di 44,2% e mondiale di 47,8%. Su 183 Paesi esaminati dallo studio, l'Italia è al 17esimo posto nella graduatoria dei Paesi con la tassazione sulle imprese più elevata ed è la più alta in Europa.
Tremonti dice che "bisogna pensare a vivere, e poi a crescere". Ma non è che gli stia venendo molto bene la prima parte dello slogan.
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