25/05/11

Riflessione solitaria


Sospeso su un flebile ramo, in equilibrio tra le brezze, trovo il tempo di riflettere con calma.

Default, ristrutturazione, reprofiling, allungamento su base volontaria delle scadenze… ci sono delle differenze fra tutte queste parole o sono modi diversi di dire la stessa cosa?
La differenza più importante sta nelle implicazioni che seguono ciascuna di queste formule.
Vediamo se riesco a rendere accessibili argomenti così “tecnici”:


Alcuni pezzi del puzzle li abbiamo sul tavolo, troverete ottimi elementi base sui due recenti post dedicati alla situazione Greca (A scuola di Greco e Atene sui carboni ardenti): gli organi governativi europei hanno compreso che il finanziamento-ponte concesso alla Grecia ha fallito lo scopo: lo Stato ellenico non riuscirà a rivolgersi di nuovo al mercato quando i soldi dell’EFSF saranno esauriti, il mercato è sfiduciato, il deficit non rientra, il rating continua a peggiorare, i rendimenti continuano a salire, insomma: il denaro consumato per comprare tempo è denaro sprecato. Ma se è sprecato tanto vale chiudere subito il rubinetto, attenzione perché questo non lo dico io, né una schiera di blogger disfattisti, ma é il senso neanche troppo nascosto di quanto dicono Schaeuble, Junker, e tutto il Gotha delle pubbliche finanze europee (smentendo i faciloni che pensano che l’unico sforzo sia quello di salvare i banchieri).
Il problema sono le conseguenze.
Già perché togliere il tappo nella vasca della Grecia apre un gorgo che con ogni evidenza travolgerà, anche per coerenza, gli altri due Paesi che hanno fatto ricorso agli aiuti della UE e del FMI: Portogallo ed Irlanda. E rischia poi di andare oltre.
Nell’ipotesi di un default “classico” ci ritroveremmo con danni ingenti nei bilanci delle banche, piene dei titoli emessi dai tre paesi PIG, questo causerebbe un effetto deleveraging molto violento, a causa dell’effetto leva esistente. Per questa ragione, fin dal dicembre dello scorso anno (per chi ricorda il mio intervento su mamma Rai), ho ipotizzato che la ristrutturazione dei debiti PIG potesse avvenire in modo “alieno” ovvero con un riscadenziamento in avanti dei termini di rimborso, senza riduzione dei valori nominali.
Questo procedimento aggira la prima insidia, quella del deleveraging violento (in puro stile post-Lehman Brothers), ma un’altra poderosa insidia giace sulla questione: i CDS.
Il loro ammontare, ben oltre lo scopo di semplice copertura per il quale sono stati pensati, causerebbe a cascata insolvenze clamorose all’interno del mondo finanziario, costringendo i Governi a spendere molti più soldi di quanti ne risparmino interrompendo gli aiuti. Già, perché come abbiamo visto nei precedenti post, lo scorrere del tempo aiuta il sistema finanziario a scaricarsi dei titoli greci (e irlandesi e portoghesi…) che mano a mano che scadono vengono rifinanziati con i soldi del EFSF.
Dunque mentre i ministri delle finanze passano il tempo ad interrogarsi su quale strada generi meno danni, il sistema bancario fa di tutto per confondere le carte, complicare i conti e le ipotesi e guadagnare tempo.
In quest’ottica vanno letti i commenti delle agenzie di rating che avvisano: “anche un allungamento del termini del debito greco verrebbe da noi considerato default”.
Pensateci bene: cosa significa che per loro venga considerato default?
Semplice: che farebbero “scattare” l’evento default per i CDS, con le ricadute di cui sopra.
Il sistema finanziario non vuole la ristrutturazione, vuole rimandarla il più possibile e sventola la minaccia di una bomba atomica come i CDS per spaventare i regolatori ed estorcere loro altri aiuti per la Grecia (e l’Irlanda e il Portogallo…).
E allora ecco la contromossa normativa della riprofilatura su base volontaria. Una piccola presa in giro per girare intorno all’ostacolo: il debitore in difficoltà non dichiara default, ma propone nuovi titoli più lunghi e a cedola ridotta ai propri creditori, i quali possono decidere liberamente se accettare l’offerta. In questo modo non c’è motivo formale di far scattare il trigger dei CDS. Si tratta, dicevamo, di una presa in giro: se un creditore sceglie di avere il rimborso più in là nel tempo con meno interessi annui è solo perché non giudica solvibile il suo debitore nei tempi pattuiti e preferisce concedergli più tempo piuttosto che rischiare di non avere il rimborso. Il vizio di questa operazione sta però nel fatto che è un’arma a doppio taglio: la tentazione di uno spregiudicato trader sarà quella di vedere una adesione massiccia per tenersi il “vecchio” debito, su cui il default non scatta grazie all’adesione degli altri sottoscrittori, portandosi a casa il beneficio di rendimenti da urlo.
E siccome di furbetti il mercato è pieno, questo astuto piano della “riprofilatura su base volontaria” rischia di avere il fiato corto.
Ad ogni buon conto, gli illustri portavoce della BCE fanno sapere che, anche se su base volontaria, un allungamento delle scadenze potrebbe diventare argomento di dibattimento legale per stabilire comunque lo status di default, con lo stesso stile con cui Al Pacino -nei panni di uno dei suoi personaggi- direbbe al suo interlocutore qualcosa di educato, mostrando la pistola che spunta sotto la giacca.

Christian Noyer, governatore della Banca di Francia, ad esempio sostiene che (traggo da Bloomberg:“The lengthening of maturities brings very difficult legal questions. There’s a strong chance it will be the equivalent of a default.”
Visto che Noyer è francese, Traggo da Le Figaro: “Le gouverneur de la Banque de France Christian Noyer, membre du conseil des gouverneurs de la Banque centrale européenne, a déclaré mardi qu’une restructuration de la dette publique de la Grèce serait le “scénario de l’horreur” et qu’il était très probable qu’un allongement des maturités de ses emprunts soit jugé équivalent à un défaut.
Chiaro? Sarebbe ‘molto probabile’ che un allungamento venga giudicato default

Stare sul ramo ad osservare sembra ancora la scelta migliore, ma una controllatina alle ali é meglio darla: potrebbe essere necessario volare via alla svelta.

Fonte articolo

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