27/07/11

No, appunto, non è il Novantadue. E’ pure peggio


Il dottor Sottile - alias Giuliano Amato - in una intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera spiega l’ovvio: no, non è come nel 1992, è il 2011, e il contesto in cui si muove oggi il sempre affannato Belpaese è ben diverso. E i problemi per l’Italia, a parer suo, son perfino più gravi.

Breve postilla per i lettori più smemorati: Amato, ex socialista, fu presidente del consiglio proprio nello sciagurato biennio ‘91-92. Da premier, quindi, si trovò a guidare il Belpaese proprio negli anni burrascosi di Tangentopoli e a dover riempire una voragine nei conti pubblici di dimensioni - fino ad allora - mai viste. Al tempo, il nostro debito pubblico veleggiava oltre il 120% del Prodotto interno lordo. E l’esecutivo guidato da Amato - per metterci una pezza - varò una manovra “lacrime e sangue” da 90(e passa)mila miliardi di vecchie lire. Ciliegina sulla torta fatta ingollare al contribuente: il governo prelevò - una tantum - il 6 per mille dai conti correnti di tutti gli italiani (la cosiddetta “patrimoniale”). Insomma e per andare al punto: Amato quegli anni difficili, li ricorda bene. E che dice? Mica nega che allora come ora la corruzione sia viva e lotti contro di noi, e che una novella Tangentopoli possa esplodere da un momento all’altro. E neppure nega che il debito - di nuovo attorno al 120% del Pil - sia tornato a livelli di guardia. Ma c’è un ma.

Domanda: “Presidente Amato, si evoca il ‘92…”

Risposta di Giuliano Amato: “Non è così. Le situazioni non si ripetono mai. Infatti, questa è diversa. Mi colpisce che forse non c’è nel Paese una sufficiente consapevolezza sulle dimensioni del rischio che corriamo”.

Domanda: “Sta dicendo che la situazione è più grave?”

“Il grande cambiamento di questi anni è che il debito sovrano, una volta sinonimo di debito garantito, non è più ritenuto affatto tale. (…) Vent’anni fa di una società posseduta dallo Stato si diceva: non può fallire. Oggi è lo Stato stesso che viene visto come un possibile candidato al fallimento. Questo cambia enormemente le cose”.

Già.

Come dicevamo noi qualche giorno fa: sbagliano le frotte di opinionisti ed editorialisti che in queste settimane continuano a evocare un nuovo ‘92. Per la semplice ragione che il mondo in cui sta andando in scena la nuova crisi all’italiana è diverso da quello dei primi anni Novanta. Del resto e come è ovvio: in vent’anni, tanta acqua è passata sotto i ponti. I Novanta sono stati gli anni della fine della guerra fredda e degli Stati Uniti unica superpotenza. Nel secondo decennio di questo Ventunesimo secolo, è un Paese ex comunista come la Cina a trainare l’economia mondiale. Che è successo? E’ successo che, in mezzo, c’è stata una crisi finanziaria internazionale - quella cosiddetta dei mutui subprime - che ha lasciato buona parte degli Stati dell’Occidente in braghe di tela. Una crisi che è stata ignorata o sottovalutata da buona parte dei giornali e tiggì del nostro ex Belpaese, tutti presi com’erano, in questi anni, a vergare paginate o a riempire minuti di video con l'ultimo scandalo o scazzo di palazzo.

Ma i fatti sono quella cosa che anche se fai finta di non vederli, continuano ad esistere. E così, adesso, a quanto pare, si avvicina il momento di pagare il conto. E, a questo giro, non lo si potrà fare svalutando la nostra lira, come tante altre volte in passato. Perché, altra differenza, ora c’è l’euro.

Come ha ricordato anche Amato nella sua intervista al Corriere: i mercati, nelle ultime settimane, pare abbiano perso un tantino fiducia nel Belpaese. E il costo del nostro gigantesco debito sta andando alle stelle. Che fare, quindi? Secondo l’ex premier non c’è dubbio: o l’economia italiana - ferma da dieci anni buoni - torna a crescere, o si dovrà ricorrere a un’altra patrimoniale. Ma, questa volta, ben più salata. Amato, infatti, propone “una imposta sulla ricchezza una tantum” per abbattere “il nostro debito di una decina di punti” percentuali. A cicche e spanne, ’sta decina di punti sarebbe pari a 190 miliardi di euro. O trecentoottantamila miliardi di vecchie lire.

Ma proprio su questo punto, quello della superpatrimoniale, chi scrive si permette di sollevare un dubbio. Benissimo, infatti, fa Amato a sottolineare che mica siamo più nel Novantadue. Ma proprio perché il contesto è diverso, perché dovremmo applicare soluzioni vecchie? E ancora in che modo questa ennesima manovra “lacrime e sangue” sarebbe diversa dalle tante altre che l’hanno preceduta e che, per carità, ci hanno messo una pezza, ma non hanno mai risolto il problema del debito? Ma questi son solo dubbi. Cui se ne aggiunge un altro. Che questo non sia un altro Novantadue. Ma qualcosa di ben peggio.

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