18/08/11

La consolazione dei tonti


Tempo di crisi, di soldi che non girano, e di manovre “lacrime e sangue” che avvelenano l’estate degli italiani. E così, c’è chi scrive:

(…) non possiamo soltanto e sempre parlare di soldi. Il denaro, vera ossessione contemporanea, sta diventando la misura di tutti e di ciascuno (…)

(…) Per decenni ci siamo detti, riconosciuti, identificati nel motto: consumo, dunque esisto. Tribù e salotti, giovani e vecchi: comprare per vivere, ad ogni costo, con rate e leasing, strozzini e mutui. Le piazze gratuite e le panchine dei parchi pubblici abbandonate per i centri commerciali di plasticaccia e senza ossigeno (…)

Conclusione: ma ora è tempo di cambiare. E di capire - tradotto in italiano spicciolo - che i soldi non sono tutto nella vita.

Già.

E chi è che lo dice (anzi lo scrive sul quotidiano “il Foglio”, giornale di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello di quel Silvio che, secondo la speciale classifica stilata da Forbes, è “solo” il 118esimo uomo più ricco del mondo)? Ma la giornalista Barbara Palombelli. Per la cronaca moglie dell’ex sindaco di Roma ed ex vicepremier dell’ultimo governo Prodi, Francesco Rutelli. Più che un uomo, appunto un ex. Ex radicale, ex verde, ex margheritino ed ex piddino, Rutelli ora guida un neonato partitino (l’Api). Ma sempre in grande allegria. Anche perché è - per l’ennesima volta (la sesta precisamente, visto che venne eletto per la prima volta deputato nel 1983) - anche parlamentare. Con tanto di lauto stipendio (fino a 14mila euro al mese se si calcola anche l’indennità per i portaborse). Ovviamente pagato dai soliti contribuenti italiani. Quelli che l’economia che non gira e certe manovre “lacrime e sangue” - tipo l’ultima stangata che il Parlamento in cui siede anche Rutelli, dolce metà della signora Palombelli, sia avvia ad approvare - li vivono e li vivranno sulla propria pelle.

In effetti - nonostante il potere e il ricco stipendio del marito (o forse proprio per questo) - la signora Rutelli ha ottime ragioni per vergare questo elogio delle cose semplici e della ricchezza ma solo di spirito. Sempre lei, infatti, spiega che

Se alla crisi planetaria non seguirà una rivoluzione culturale, il crollo scatenerà il moltiplicarsi di rivolte simili a quella di Tottenham.

Cioè e tradotto sempre in un italiano spicciolo: qualcuno - anche se la povertà è bella - potrebbe, tante volte, prenderla male. Magari anche arrabbiarsi un filino. E in effetti - soprattutto in Italia - molti ne avrebbero ben donde. Per esempio: potrebbero un filino alterarsi gli 8 milioni e passa di persone che nel nostro (ex) Belpaese - dati Istat alla mano - sono già povere e che, con tutta probabilità, dovranno tirare ulteriormente la cinghia. Ma potrebbe risentirsi un po’ tutta la classe media che - secondo altri dati, quelli dell’Ocse - hanno visto i loro redditi fermi al palo per 20 anni, mentre quelli dei più ricchi continuavano a crescere a spron battuto. Insomma: potrebbe arrabbiarsi una buona fetta dei cittadini italiani che - anche prima che la crisi scoppiasse, nel 2007, secondo la Banca d’Italia - già guadagnavano il 10% meno dei tedeschi, il 20% meno degli inglesi e il 25% meno dei francesi.

Ergo, sì: urge, come scrive la Palombelli, una nuova “narrazione” per un nuovo tempo, quello delle vacche magrissime. Qualcosa tipo: il vestitino griffato mi fa orrore e perché andare al mare in vacanza, quando si può tranquillamente nuotare nella piscina comunale o prendere il sole sul terrazzo. Cose già viste negli anni Settanta - altro periodo non a caso di austerity - quando giocare ai “proletari” era assai di moda. E - se le cose sotto i cieli dell’economia non miglioreranno - c’è da scommetterci che finirà così. Dopo le articolesse sui giornali e l’opinione di qualche dotto opinionista a dettare la strada maestra, arriverà il solito corollario di film e libri adatti alla bisogna. E qualcuno - anzi, tanti probabilmente - finiranno anche per crederci. Del resto bisognerà pur consolarsi. Sarà una consolazione assai magra, però. Perché se i soldi non fanno la felicità, beh, figuriamoci la miseria.

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