29/10/11

Digitale, ora o mai più.



Uno studio del Digital Advisory Group, con la partecipazione di McKinsey, fa con estrema chiarezza il punto dell’internet economy in Italia. L’analisi, intitolata Sviluppare l’economia digitale in Italia: un percorso per la crescita e l’occupazione, evidenzia innanzitutto quattro modi in cui il digitale crea valore:

1. Incrementando il Pil (in Italia, del 2% – in Svezia e Gran Bretagna il contributo è del 5%, in Francia di oltre il 3%).
2. Creando posti di lavoro (700 mila in 15 anni; al netto di quelli distrutti sono 320 mila – il che significa che la internet economy ne crea in media 1,8 per ogni posto di lavoro eliminato. In Svezia sono 3,9).
3. Favorendo la crescita e l’esportazione delle aziende (le PMI digitali sono cresciute «a una velocità più che doppia» rispetto a quelle ‘sconnesse’)
4. Offrendo agli utenti di internet un surplus di valore derivante dai benefici aggiuntivi che la Rete mette a disposizione gratuitamente (in Italia nel 2009 era di 7 miliardi di euro, cioè 21 euro al mese per ogni famiglia connessa).

Tuttavia, sottolinea il rapporto, la crescita del digitale incontra nel nostro Paese cinque tipi di ostacoli:

1. Insufficiente accesso alla banda larga

Il che comporta, per esempio, che «ogni giorno, in media, più di 200 uffici postali non sono in grado di operare a causa di problemi di connessione». E che «a marzo 2011, 4,3 milioni di persone (il 7,1% della popolazione italiana) risiedevano in zona non coperte dalla rete a banda larga». «Se non si attuerà una strategia di investimenti efficace di lungo termine» (pubblici, privati o misti) «il ritardo si aggraverà» a causa della diffusione sempre più capillare di dispositivi connessi a internet (gli smartphone, per esempio) e di «applicazioni sempre più ‘affamate’ di banda (come i servizi di cloud computing)».

2. La scarsa propensione all’e-commerce da parte di consumatori e aziende (in Italia l’e-commerce rappresenta lo 0,7% del Pil contro l’1% di Francia e Germania e il 3% del Regno Unito; meno del 5% delle PMI italiane vende tramite canali online, contro il 20% di Germania e Uk). Tuttavia il settore cresce in Italia più che altrove:

3. La solo parziale divulgazione dei servizi online nella Pubblica Amministrazione:


4. Limiti nel quadro normativo (per esempio su privacy e copyright – si pensi alla recente polemica sulla delibera Agcom – su cui «una revisione dell’approccio sarebbe assai proficua»).

5. Carenza di competenze digitali qualificate (e qui il problema è la formazione; un esempio: «La maggior parte delle università italiane non eroga corsi di studio dedicati alla formazione di imprenditori digitali»).

Che fare? Il rapporto del Digital Advisory Group formula 12 «iniziativa prioritarie»

Se, attraverso queste misure o un’altra seria agenda digitale, «si riuscisse a colmare anche solo la metà della distanza [...] che ci separa dal Regno Unito, dalla Germania e dalla Francia entro il 2015, il beneficio potrebbe essere [...] lo 0,25% in più crescita annua del Pil, con un contributo complessivo sul Pil di oltre il 4%, equivalente a 25 miliardi di euro di valore aggiuntivo.

In conclusione:

L’economia digitale italiana si trova [...] a un punto di svolta. Ed è questo il momento di ridurre il divario che la separa dalle altre economie europee, collocandosi finalmente tra i paesi digitalmente sviluppati. In caso contrario, il divario continuerà inevitabilmente ad allargarsi e per l’Italia diventerà sempre più difficile cogliere quei benefici economici di cui ora godono gli altri paesi.
Il rapporto completo in pdf 

Fonte articolo

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