Una volta i politici andavano in televisione a descrivere il loro mondo immaginario, fatto di retorica e luoghi comuni, senza che un contraddittorio secco e puntuale li tirasse giù dal pero. Tutt'al più avevano di fronte interlocutori che frequentavano il loro stesso salotto, poco inclini a mettere in discussione i loro personali successi per mettere in imbarazzo il loro speculare alter ego. I conduttori stavano al gioco, se non volevano finire a Tele Casalinga di Voghera.
Poi è nata la rete. Le connessioni digitali sono come le catacombe nell'antica Roma: vi circolavano fatti e idee che nelle pubbliche piazze non si potevano raccontare, che al Senato, opportunamente, si preferiva ignorare, che al Colosseo si mettevano a tacere offrendo i giochi dei gladiatori alla rabbia del popolo, che poteva così smettere di pensare e trovare una gratificazione effimera ma strategica al mantenimento del potere.
Oggi sta succedendo una cosa: i topi di fogna digitali stanno cominciando ad uscire dai tombini e ad infiltrare gli studi televisivi. Occupano tutti gli spazi che riescono a trovare. Appaiono per trenta secondi, dal nulla. Rosicchiano il microfono e spariscono. Ma intanto disturbano il segnale. Sono come la merda che improvvisamente inizia a risalire gli sciacquoni dei tubi di scarico, saltando fuori come salmoni andati a male, e a riemergere dai gabinetti. Non hanno niente da perdere. E sono stufi di vivere al buio, nascondendosi da tutto e da tutti.
Oggi raccontare balle è molto più difficile di ieri. E andrà sempre peggio.
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