"La crescita è la causa della crisi che stiamo vivendo e quindi non può essere la soluzione, perché non si può pensare di risolvere un problema rafforzando le cause che lo producono. Se si produce sempre di più aumenta l’offerta di merci; se le persone che sono inserite nei processi produttivi sono sempre di meno diminuisce la domanda di merci, perché diminuisce il reddito con cui possono comprare le cose che vengono prodotte." Maurizio Pallante
La crescita è la causa della crisi, non la sua soluzione
"Un saluto a tutti gli amici di Beppe Grillo e a tutti gli attivisti del Movimento 5 Stelle, sono Maurizio Pallante, fondatore del movimento Decrescita felice.
Vorrei parlare con voi delle nostre proposte per superare la crisi che stiamo vivendo, che è una crisi contemporaneamente economica, occupazionale, energetica e ambientale.
Un coro unanime che ripete che per superare questa crisi occorre rilanciare la crescita, peraltro senza riuscirci, sembra l’aspirazione di un impotente che desidera fare qualche cosa ma non riesce a farla. Noi riteniamo che la crescita sia la causa della crisi che stiamo vivendo e quindi non può essere la soluzione, perché non si può pensare di risolvere un problema rafforzando le cause che lo producono e diciamo che la crescita è la causa della crisi in entrambi gli aspetti in cui si manifesta, la stagnazione della produzione con la conseguente disoccupazione e dall’altra parte i debiti pubblici che in Italia hanno raggiunto il 120% del Pil e i debiti privati che si aggiungono ai pubblici.
La crescita è la causa della crisi che stiamo vivendo perché la crescita dell’economia comporta una crescita di offerta di merci continue, ma per fare crescere l’offerta di merci serve introdurre nei processi produttivi tecnologie sempre più performanti che riducono l’incidenza del lavoro sul valore aggiunto, cioè nell’unità di tempo queste tecnologie consentono di produrre sempre di più con sempre meno persone.
Ma se si produce sempre di più aumenta l’offerta di merci, se le persone che sono inserite nei processi produttivi sono sempre di meno diminuisce la domanda di merci, perché diminuisce il reddito con cui possono comprare le cose che vengono prodotte.
Per questo se diminuisce la domanda e aumenta l’offerta per mantenere un equilibrio nel corso degli anni si è fatto ricorso sempre di più al debito per sostenere la domanda.
Ecco, questa è una storia vecchia, non è una cosa che scopriamo adesso, il debito nasce con l’inizio dell’economia della crescita degli anni 60, quando le persone erano indotte a comprare tutti i nuovi oggetti che erano messi sul mercato dai cicli produttivi, facendo cambiali per poterli comprare.
Ora di fronte a una crisi che ha queste caratteristiche le politiche economiche tradizionali hanno dimostrato di essere impotenti, noi possiamo prendere anche tutti i più grandi professori di economia che abbiamo in circolazione, se questi professori di economia applicano le misure di politica economica tradizionali non ci aiuteranno a uscire dalla crisi, come sta dimostrando il governo Monti nonostante tutti gli annunci trionfali con cui era stato presentato.
Perché non sono in grado di risolvere la crisi le politiche economiche tradizionali? Perché se si lavora per ridurre il debito, siccome la domanda è fatta e basata in grande parte sul debito si riduce la domanda e si aggrava la crisi, se invece si vuole rilanciare l’economia bisogna aumentare la domanda e per fare questo bisogna aumentare i debiti.
Per cui c’è stato qualche genio di questi economisti, laureati nelle migliori scuole, che ha detto che bisogna premere contemporaneamente sul pedale del freno e dell’acceleratore, il pedale del freno è una diminuzione del debito e quello dell’acceleratore sarebbe il rilancio della produzione.
Ma se voi che avete quasi tutti la patente provate a andare in macchina, accendere il motore e prendere contemporaneamente il pedale del freno e dell’acceleratore consumate benzina, rischiate di bruciare il motore e i freni, ma soprattutto restare fermi e questa è la situazione che si sta vivendo in questo momento.
Allora tutti i tentativi che sono stati fatti di rilanciare la crescita, al di là delle parole che vengono ripetute in continuazione, da una parte non hanno sbloccato la crisi economica, dall’altra hanno contribuito a aggravare la crisi ambientale, perché c’è questa cecità di fondo degli economisti, che ritengono che i problemi economici siano sostanzialmente risolvibili nel rapporto tra domanda e offerta e non si rendono conto che invece i cicli produttivi impattano con le risorse ambientali, con il mondo in cui viviamo, in tre momenti, nel momento in cui prelevano le risorse, nel momento in cui le trasformano in merci, utilizzando tecnologie che rilasciano negli ambienti sostanze inquinanti e nel momento in cui gli oggetti prodotti, le merci prodotte, giungono alla fine della loro vita o comunque non vengono più utilizzate e diventano rifiuti, che vengono scaricati nell’ambiente.
Allora noi riteniamo invece che non sia possibile risolvere la crisi economica e occupazionale se non contestualmente alla risoluzione o quanto meno alla riduzione della crisi energetica e ambientare.
Più occupazione, più utile
Quale è la nostra proposta, la proposta del Movimento per la Decrescita Felice? La proposta nostra di politica economica industriale è quella di trovare più denaro per fare investimenti per attività utili, e questo è un elemento molto importante, perché a noi interessa creare una occupazione purché sia, ci interessa creare una occupazione utile, cioè ci interessa introdurre elementi di valutazione qualitativa nel fare umano mentre il prodotto interno lordo dà semplicemente una soluzione di carattere quantitativo.
Ecco, serve trovare denaro per fare investimenti in attività utili senza accrescere il debito.
Come si può trovare questo denaro? In un modo soltanto: attraverso la riduzione degli sprechi.
Ma quando si parla di riduzione di sprechi non sto parlando di riduzione della spesa pubblica, perché ci sono anche degli sprechi nella spesa pubblica, ci mancherebbe, ce ne sono tanti, ma gli sprechi nella spesa pubblica, comunque contribuiscono alla crescita della domanda: se lo Stato non ha un numero di addebiti superiori alle sue esigenze questi ricevono uno stipendio col quale comprano le merci che vengono prodotte.
Non si esce in questa logica da una dimensione puramente economica, serve ridurre gli sprechi di risorse naturali, questo è il punto fondamentale, perché questa è la maniera di affrontare contemporaneamente sia la crisi economica che ambientale.
Allora come si riducono gli sprechi? Individuiamo due o tre elementi di fondo insomma, da questo punto di vista, il primo è quello energetico.
In Italia noi sprechiamo il 70% dell’energia che utilizziamo.
Se un sistema economico spreca il 70% dell’energia, se volete posso anche dirvi e scomporvi questa cifra in grandi voci, ma comunque credetemi sulla parola, se necessario lo approfondiremo.
Un sistema che spreca il 70% di energia è come un secchio bucato! Un secchio bucato in cui si mette dentro acqua, ma si mette molta di più di quella che si riesce a utilizzare.
Di fronte a questa situazione in genere gli ambientalisti hanno detto che bisogna sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, noi diciamo che la priorità non è questa, ma ridurre il buco nel secchio, cioè gli sprechi di energia! E soltanto se si saranno ridotti questi, primo passaggio, logico e metodologico, si potranno sviluppare in maniera significativa le fonti rinnovabili, perché le fonti rinnovabili sono in grado di soddisfare, non sono in grado di soddisfare gli sprechi che ci hanno consentito di soddisfare le fonti fossili, per cui se non vogliamo che restino in una a percentuale limitata e parziale del fabbisogno, prima bisogna ridurre il fabbisogno riducendo gli sprechi e poi soddisfare il fabbisogno residuo con le fonti rinnovabili.
Ecco, questa politica è una politica in decrescita, perché se noi riduciamo gli sprechi di energia stiamo riducendo il consumo di quello che noi chiamiamo una merce, cioè un qualche cosa che si compra e si paga, che fa crescere il prodotto interno lordo, ma non è un bene, perché non riesce a risolvere nessun problema degli esseri umani, l’energia che si mette in una casa e che si disperde dalle finestre, dal soffitto o le pareti, non ha nessun tipo di utilità.
Ecco, ma se si fa una politica incentrata sulla riduzione degli sprechi, cioè su una decrescita selettiva del prodotto interno lordo, sulla diminuzione del consumo di una risorsa, che è una merce ma non è un bene, questi interventi innanzitutto si pagano da se, perché se si riduce lo spreco di una casa in un certo numero di anni la riduzione dei consumi comporta una riduzione dei costi che vanno a ammortizzare gli investimenti che sono stati necessari per ridurre i consumi.
Secondo, oltre a pagarsi da se questa tecnologia crea una occupazione utile, come dicevo prima, ma soprattutto crea tanta occupazione. C’è stato uno studio del Sole 24 Ore, fatto il 13 febbraio 2012, pubblicato in quella data, in cui dice queste cose, le leggo così come sono state scritte: per ogni 10 miliardi di Euro investiti nella riduzione degli sprechi, non nelle fonti rinnovabili, si possono ricavare 130 mila nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere si darebbe lavoro al massimo a 7 mila e 300 persone, cioè la logica della crescita comporterebbe un incremento occupazionale molto inferiore, il rapporto di 7 mila e 300 a 130 mila rispetto a una logica di decrescita selettiva.
Ma come si fa a fare una cosa di questo genere? Per ridurre gli sprechi di un paese come il nostro serve sapere penetrare in tutte le pieghe del sistema, in tutti gli edifici che hanno sprechi, in tutte le abitazioni, in tutti i luoghi di lavoro e così via, cioè quello che serve è avere, valorizzare le professionalità della piccola e media industria dell’artigianato, perché soltanto dei professionisti, delle aziende radicate sul territorio, sono in grado di fare una operazione di questo genere.
Pensate che la rivista ufficiale della confederazione per la piccola e media industria, cioè una organizzazione patronale, ha in un numero della sua rivista ufficiale ha messo come titolo crescita infinita o decrescita felice? Così si iniziano a porre questo tipo di problema, mentre tutte le politiche finalizzate alle grandi opere è di ieri la notizia che il sottosegretario, il viceministro allo sviluppo economico Ciancia, al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini ha detto che bisogna non fare pagare l’Iva su tutte le grandi opere trovando il consenso, naturalmente, di Confindustria! Cioè l’obiettivo è quello, diciamo irraggiungibile, oltre che non desiderabile di rilanciare l’economia attraverso le grandi opere che non servono, nell’illusione di creare posti di lavoro che come abbiamo detto sono molto inferiore dei posti di lavoro che si possono creare in attività che riducono l’impatto ambientale, lo spreco di risorse e che si pagano da se con i risparmi che consentono di ottenere.
Questo è un elemento che va al di là dell’aspetto puramente di analisi economica, ma si inizia a entrare nell’ambito politico, cioè noi oggi siamo governati da una alleanza tra i partiti ottocenteschi e novecenteschi, le grandi aziende multinazionali nell’ottica della globalizzazione, nella realizzazione di grandi opere, perché queste le possono realizzare le grandi aziende e queste vengono commissionate dai politici attuali alle grandi aziende in questa ottica e occorre iniziare a costruire una alleanza sociale diversa rispetto a questa, in cui ci siano delle forze politiche come io individuo il Movimento a 5 Stelle come massimo rappresentante di questo cambiamento in corso, c’è una forza politica che non nasce nell’ottica di una crescita, che non risente dei residui ideologici ottocenteschi e novecenteschi e che deve trovare una alleanza strategica con le piccole e medie industrie contro la alleanza strategica tra grandi imprese multinazionali e partiti ottocenteschi e novecenteschi.
E su questo settore si può trovare anche una alleanza con il sindacato, per lo meno con alcuni settori di questo, perché è l’unica maniera che noi oggi abbiamo di cambiare grandi numeri di occupazione, ma soprattutto di iniziare a installare anche nella testa del sindacato l’idea che non serve creare occupazione, ma che serve creare una occupazione utile, cioè far fare un salto di qualità anche a questo tipo di cultura che è ancora piuttosto arretrato.
Un'agricoltura più sana, più vicina, meno chimica
Il secondo elemento su cui noi dobbiamo puntare nella nostra concezione oltre alla autosufficienza energetica, come ho detto, è quello della sovranità alimentare.
Questa è un’altra cosa molto importante, perché non abbiamo, non si è riflettuto ancora abbastanza sul fatto che la agricoltura chimica, quella che noi ci alimenta oggi, non è soltanto dannosa, non è soltanto inquinante e non impoverisce soltanto il contenuto di humus dei suoli, ma costa un sacco di soldi perché tutta la chimica dell’agricoltura richiede grandi consumi di energia e l’aumento del prezzo delle fonti fossili comporterà un aumento progressivo dei generi alimentari, non soltanto per il trasporto a distanza, come qualche giornale dice, ma proprio per le tecnologie di produzione, per cui la agricoltura biologica inizierà a diventare sempre più interessante.
Già oggi c’è una controtendenza in corso, sono già stati fatti studi, molti giovani iniziano a tornare a lavorare in campagna e sono anche giovani laureati, sono giovani non con una cultura medio alta e per tornare a lavorare in campagna però è necessario che escano dalla logica della grande distribuzione organizzata, perché questa può lavorare soltanto in rapporto con le grandi aziende multinazionali e nel settore dell'alimentazione e quindi anche in questo caso c’è una piccola e media azienda artigianale che hanno delle forme di commercializzazione di loro prodotti alternative rispetto alla grande distribuzione organizzata e quindi la necessità di collegarsi con i gruppi d'acquisto solidale per vendere direttamente i loro prodotti, i prodotti stagionali, i prodotti della filiera corta, i prodotti biologici ai consumatori organizzati attraverso questi gruppi di acquisto.
Ecco, noi questo lo vediamo come possibilità di soluzione della crisi economica, della crisi occupazionale, della crisi del debito e della crisi ambientale.
Ma se la nostra proposta in ipotesi venisse realizzata io ho la sensazione che se la presenza del Movimento 5 Stelle nelle istituzioni locali si rafforza, gli amministratori locali del Movimento a 5 Stelle possono fare una politica forte sia dal punto di vista della riduzione degli sprechi di edifici pubblici sia della riduzione di sprechi di edifici privati sia nella valorizzazione di agricoltura di prossimità e biologica, ecco, se, e gli edifici non sono di meno, se la agricoltura passa in questa dimensione locale e biologica e riduce la chimica e riduce l’intermediazione commerciale e così via, tutto ciò comporta una diminuzione del prodotto interno lordo, ma non una diminuzione pure che sia, cioè noi non vogliamo che il Pil diminuisca semplicemente perché si mette il segno meno al posto del segno più davanti allo stesso, ma perché invece si introducono elementi di valutazione qualitativa nel fare umano e si riduce che cosa, quelle merci che non hanno nessuna utilità, che costituiscono sprechi, che comportano un consumo di risorse che portano a un danno ambientale.
Ecco, noi auspichiamo una svolta culturale, perché c’è bisogno di una nuovo paradigma culturale che superi la cultura ottocentesca e novecentesca, che sappia individuare elementi di produzione qualitativa nel fare umano e che capisca che molte volte il meglio coincide con il meno. La riduzione dell’effetto serra, che si può ottenere riducendo gli sprechi delle case, quindi il miglioramento del mondo che si può ottenere mediante delle case che consumano di meno, questo meglio coincide con il meno.Passate parola. "
Maurizio Pallante
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