Per più di un decennio la “Global Climate Coalition”, gruppo rappresentante industrie con profitti legati all’estrazione e produzione di combustibili fossili quali petrolio, gas e carbone, ha condotto un’aggressiva campagna contro l’idea che le emissioni di gas-serra potessero portare a dei cambiamenti climatici. Il tutto dopo avere ovviamente ignorato gli avvertimenti di quegli scienziati che, già nei primi anni novanta, mettevano in guardia sui rischi di una tale eventualità.
Ad affermarlo non è un qualche ambientalista sul suo blog, ma il New York Times, che in un articolo dello scorso 23 aprile ne svela i retroscena.
La Coalizione in questione avrebbe volutamente e pubblicamente diffuso le notizie riguardanti il disaccordo della comunità scientifica sull’argomento, mentre il suo stesso comitato scientifico aveva concluso in un rapporto redatto nel 1995 che l’evidenza per il “potenziale impatto delle emissioni di gas-serra di origine antropica come la CO2 sul clima è ben fondato e non può essere negato”.
Ciò non sorprende se si pensa che la “Global Climate Coalition” era finanziata da grandi gruppi industriali e commerciali operanti nel settore petrolifero, automobilistico e del carbone. Gruppi risaputamene molto potenti, se si pensa che la sola Exxon Mobil fattura ogni anno più di tutte le industrie automobilistiche del mondo messe assieme (The 11th hour di Leonardo diCaprio), e che nel suo “piccolo” la stessa Coalition aveva un budget, nel 1997 (anno del protocollo di Kyoto), di 1.68 milioni di dollari.
Ciò che si è fatto, ancora una volta in nome del profitto, è stato diffondere il dubbio nell’opinione pubblica, spacciando per veri dei disaccordi fra scienziati che sono stati invece creati a tavolino.
Come? Promuovendo una multimilionaria campagna che sfidò il consenso internazionale della comunità scientifica che già negli anni novanta non aveva dubbi sul fatto che eccessivi livelli di emissioni avrebbero causato il progressivo aumento del riscaldamento globale, con una tattica che ricorda ciò che è già successo in passato con le compagnie del tabacco, quando si crearono di proposito dubbi sul fatto che le sigarette potessero causare il cancro (ma lo vediamo anche oggi in Italia quando si parla di inceneritori).
Anche lo scrittore, giornalista ed attivista ambientalista britannico Gorge Monbiot ha affermato che promuovendo il dubbio, l’industria si è avvantaggiata ed ha letteralmente preso tempo, anche grazie alle norme che richiedono ai media la neutralità nel dare notizie.
La “Global Climate Coalition” si è sciolta nel 2002, ma alcuni suoi membri, come la “National Association of Manufacturers” e l’”American Petroleum Institute”, continuano con la loro attività di lobby contro ogni legge o trattato che vogliano o possano ridurre le emissioni di CO2. Per fortuna altri, come la succitata Exxon Mobil, hanno riconosciuto che il riscaldamento globale è anche dovuto all’attività umana, riducendo notevolmente il suo supporto finanziario a gruppi che si oppongono all’evidenza scientifica di queste affermazioni.
Ciò a cui siamo di fronte è ancora una volta una “guerra di informazione“, che non è però il solo problema. Ancor prima che dell’informazione, necessaria se obiettiva e veritiera (se io so che sigarette o inceneritori aumentano le probabilità di avere un cancro, posso agire di conseguenza), sono altre due le cose di cui si ha urgentemente bisogno: l’educazione ed il buonsenso.
L’educazione perché nel momento in cui si è capaci di pensare con la propria testa, si è in grado di valutare con maggior padronanza l’enorme e forse eccessiva mole di informazioni ricevute dai media quotidianamente.
Il buonsenso perché anche nel caso in cui i cambiamenti climatici o lo scioglimento delle calotte polari dovessero essere solo una storia inventata da qualche scienziato o da qualche scrittore per vendere libri (molta gente la pensa ancora così), il fatto di ridurre le quantità di anidride carbonica (o altri gas) nell’atmosfera migliora semplicemente la qualità della nostra vita, e può ridurre la nostra possibilità di contrarre il cancro di cui sopra.
Se sono imbottigliato nel traffico e non “credo” ai cambiamenti climatici, dovrei almeno pensare che sto respirando non pochi veleni.
di Andrea Bertaglio
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