Fondati o meno, i timori dell’unità antiterrorismo di Scotland Yard stupiscono fino a un certo punto. Perchè - solo negli ultimi 30 giorni - erano suonati una raffica di altri campanelli di alllarme. Riassunto - per chi se lo fosse perse - delle puntate precedenti:
1) Alle ultime elezioni europee, il British national party - partito che sul suo sito si definisce “anti-immigrazione” e che la stampa italiana ha senza tanti giri di parole bollato come “razzista” - ha fatto il pieno di voti. Conquistando il 6% dei consensi. E spedendo - per la prima volta nella sua storia - pure un paio di deputati al Parlamento di Bruxelles.
2) E ancora e ben più grave: qualcuno - lo scorso 17 giugno, a Belfast, in Irlanda del Nord - ha deciso di passare dalle urne e dagli slogan, ai fatti. E ha convinto - a mattonate nelle finestre - un gruppo di famiglie di immigrati rumeni ad abbandonare le proprie case. E a rifugiarsi nottetempo in una chiesa. Un vero e proprio raid, che - però e per fortuna - si è concluso senza vittime. Ma con i rumeni - un centinaio di persone in tutto - che hanno chiesto di essere rimpatriati.
E così - appunto - si arriva all’oggi. Anzi, a ieri. Quando il “Guardian” ha rivelato le parole che il comandante Shaun Sawyer di Scotland Yard avrebbe pronunciato di fronte ai rappresentanti della comunità mussulmana britannica. “Temo che faranno un attentato che farà morti o feriti da qualche parte”, ha detto Sawyer. Che ha aggiunto - a scarso di equivoci - che, sì, Al Qaida rimane la priorità per l’unità di antitetorrismo di Scotland Yard. Ma che - appunto e visto l’andazzo - la cellula della polizia che si occupa del terrorismo “nero” dovrebbe decisamente essere potenziata.
Paradossi a parte, i timori di Scotland Yard dovrebbero far riflettere. Perchè dietro la minaccia di un attentato non ci sono solo fervori ideologici (secondo il “Guardian”, di ispirazione “neonazista”). Ma la peggior crisi economica dal 1929 ad oggi. E perchè la Gran Bretagna - al di là di possibili escalation violente - è tutt’altro che un caso isolato. E’ solo la punta di un iceberg. E uno dei tanti Paesi europei (e non solo) dove potrebbe presto esplodere una vera e propria “guerra (o guerriglia, vista la possibilità di bombe e attentati) tra poveri”.
E infatti. Bene ha fatto sempre il quotidiano britannico a osservare che anche al di là dell’oceano, negli Stati Uniti - già ad aprile - un rapporto del governo segnalava il rischio di un’ondata di violenze scatenate da gruppi di estrema destra e alimentati proprio dalla rabbia per l’ondata di licenziamenti che si è abbattuta sugli Usa (e, ça va sans dire, dall’elezione del primo presidente di colore della storia a stelle e strisce). Quel che il quotidiano britannico - purtroppo - si è scordato di dire è che il successo dei gruppuscoli di estrema destra in generale, e del British national party in particolare, non nasce dal nulla.
Poche settimane fa, in un vecchio post intitolato “Cronaca di una guerra tra poveri annunciata”, chi scrive - citando un paio di vecchi articoli proprio vergato dai giornalisti del “Guardian” e del “Financial Times” - si era permesso di ricordare tre cosucce. Punto primo:
Nel 2007: una commissione del Parlamento inglese si era messa di buzzo buono a studiare il fenomeno immigrazione. Dopo 6 mesi di lavoro - e dopo aver ascoltato il parere di una valanga di esperti (professori universitari, uomini d’affari, politici che lavoravano sul territorio) - la commissione presieduta dall’ex ministro dell’Energia e politico conservatore, Lord Wakeham - era arrivato ad una (poco) serena conclusione. La vulgata del governo - che voleva gli immigrati come una inesauribile fonte di ricchezza per tutti gli inglesi (ricchi e poveri; giovani e vecchi) - era semplicemente una bufala. (…)
A guadagnarci erano stati soprattutto gli imprenditori che si erano ritrovati per le mani tanta manodopera a buon mercato. E, nel loro piccolo, gli immigrati che incassavano stipendi inglesi da spendere (anche) in madrepatrie che avevano prezzi ben più bassi di Londra e dintorni. A perderci, invece, erano stati gli inglesi più poveri e con i titoli di studio più bassi che avevano trovato negli stranieri dei “concorrenti” nella caccia ai lavori più semplici e umili. (…)
Bene. Chi aveva ragione: il governo o la commissione Wakeham? Non sta a chi scrive - che di mestiere non fa nè il sociologo, nè l’economista - dirlo. Ma sta di fatto che una buona fetta dei sudditi di sua Maestà - complice una crisi che ha ridotto i polli per tutti - ha deciso, evidentemente, di dar torto a Gordon Brown e ai suoi. Ecco allora le proteste - a gennaio - contro i lavoratori italiani assunti dalla Total per costruire l’impianto di una raffineria a Grimsby, al grido di “British jobs for British people”. Le camionate di voti agli “anti-immigrati” del British national party. E le mattonate nelle finestre ai romeni. Che potrebbero essere, purtroppo, solo l’inizio.
E - visti i timori di Scotland Yard - purtroppo le cose sono andate proprio così. La rabbia non si è placata. E - se dovessero andassero in scena dei veri e propri attentati - il voto di “protesta” al British national party sembrerà soltanto un innocente antipasto. Ma - e punto secondo - sempre in quel vecchio post, si ricordava anche che:
La Gran Bretagna, però, non è certo un caso isolato. Come ha scritto l’economista Tito Boeri su LaVoce.info: “Negli ultimi venti anni più di 26 milioni di persone sono arrivate nell’Unione Europea a 15; contro i poco più di 20 milioni di emigrati negli Stati Uniti”; gli “1,6 milioni in Australia”; “e meno di un milione in Giappone”. Un vero e proprio boom dell’emigrazione. Che - sempre secondo Boeri - spiega un altro boom. Quello dei partiti nazionalisti e anti-immigrati alle ultime elezioni europee. Partiti che non hanno sbancato solo Londra. Ma anche Amsterdam (dove l’anti-islamico “Partito per le Libertà” di Geert Wilders si è portato a casa il 17% dei voti). Vienna (dove la formazione Fpoe di estrema destra ha conquistato il 13,1% dei voti). E perfino la tollerante Helsinki (dove il “Partito dei veri finlandesi” ha incassato il 9,8% dei consensi). E anche in questi Paesi, il ritorno della destra nazionalista potrebbe essere solo il primo campanello d’allarme.
E per quanto riguarda il Belpaese e punto terzo:
E in Italia? E in Italia, una commissione ad hoc sul problema immigrazione non c’è stata. Ma rimangono alcuni dati di fatto. In questi anni di politica dell’immigrazione fatta solo di buone (centrosinistra) e cattive (centrodestra) parole, di immigrati in Italia ne sono arrivati a carrettate. Mentre i governi (di turno) se ne sono lavati le mani. Ben guardandosi anche dal solo far ripartire almeno un po’ di edilizia popolare. Edilizia popolare che è ancora ferma dagli anni Settanta. Del secolo scorso.
Nel 2000 i “regolari” erano poco più di un milione. Oggi, 8 anni dopo, sono 4 milioni. Centinaia di migliaia di lavoratori arrivati alla spicciolata. Che nel 2008 hanno prodotto quasi il 10% del Pil italiano. Ma che hanno contribuito con il loro arrivo in massa - se la legge della domanda e dell’offerta non è un’opinione - a tenere bassi gli stipendi. Con grave scorno dei lavoratori (dipendenti) italiani. Che - secondo Banca d’Italia - negli anni presi in considerazione dalla commissione Wakeham (dal 2001 al 2006) hanno visto le loro buste paga rimanere ferme e finire tra le più misere d’Europa. Ma per la gioia dei prenditori imprenditori tricolori, che tra l’altro - a differenza di quando accadde, per esempio, in Francia ai tempi dell’immigrazione di massa post seconda guerra mondiale - non hanno speso un euro neppure per dargli un alloggio. E pure del partito anti-immigrati de’ noantri, ovvero la Lega Nord che, proprio alle ultime elezioni europee, ha registrato un consenso record.
Tre considerazioni che ci avevano portato a concludere che:
Ci sono catastrofi imprevedibili. Come i maremoti. E ce ne sono altre prevedibilissime. Ma che - finché non esplodono - portano voti e quattrini. E che nessuno vuole vedere. La guerra tra poveri che potrebbe scatenarsi in questa Europa investita dalla peggior crisi degli ultimi 80 anni, sa tanto di classica tragedia annunciata. Per evitarla - indipendentemente dall’andamento della crisi - occorrerebbero scelte coraggiose. Detta brutalmente e un po’ a spanne: bisognerebbe mettere mano al portafoglio dei ricchi (via tasse), per distribuire un po’ più di polli (possibilmente non di quelli di Trilussa) ai poveri cristi. Cosa di cui non si discute minimamente. E che, francamente, appare improbabile.
Bene. Da allora - e come dicevamo - sono passate settimane. E nulla è cambiato. Se non in peggio. Unica eccezione, in Europa: proprio l’Italia che ha introdotto - con l’ennesimo decreto sicurezza - una serie di norme che di fatto penalizzano gli immigrati e che sembrano fatte apposta per esasperare anche l’altra metà del cielo dei lavoratori (poveri) europei, cioè gli immigrati. Avanti così, quindi. Con ottimismo, verso la catastrofe. Ma con un atteggiamento che - va detto - fa tanto saggezza antica.
Divide et impera.
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