Hanno suscitato molto stupore ed una lunga serie di reazioni le parole pronunciate ieri dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti durante la chiusura dei lavori di un convegno organizzato dalla Bpm.
Tremonti ha infatti dichiarato “Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia”. Aggiungendo “La variabilità del posto di lavoro, l'incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no”. E poi ancora “C'è stata una mutazione quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da quello fisso a quello mobile. Per me l'obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale”.
In buona sostanza il ministro ha bocciato senza appello la politica del lavoro flessibile, messa in atto negli ultimi 15 anni attraverso la legge 30 e non solo, dai governi di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati al potere, con la piena condiscendenza delle organizzazioni sindacali e del mondo dell’informazione. Identificando nella precarietà quel cancro che mina alla base l’equilibrio delle famiglie, le prospettive di futuro dell’individuo e più in generale la stabilità sociale.
Si tratta fondamentalmente di concetti che molti di noi hanno ripetuto fino alla noia nel corso degli ultimi anni, denunciando la precarizzazione di un mondo del lavoro ormai in disfacimento, prodromica di un altrettanto grave disfacimento degli equilibri familiari, della mancanza di prospettive per le nuove generazioni e più in generale di una profonda crisi dei rapporti sociali.
Belle parole, in virtù delle quali non possiamo che rallegrarci per la, sia pur tardiva, presa di coscienza della realtà da parte del ministro. Una colpa, quella di avere tardato troppo nel mettere a fuoco i termini della questione, tutto sommato lieve, se confrontata con quella del mondo sindacale che (nonostante per forza di cose avrebbe dovuto essere la parte più sensibile al problema) troppo distratto dalle prebende che il lavoro flessibile gli ha in questi anni garantito, non è fino ad oggi mai giunto a conclusioni di questo genere, preferendo al contrario continuare ad avallare tanto la precarietà quanto le sue conseguenze.
In buona sostanza il ministro ha bocciato senza appello la politica del lavoro flessibile, messa in atto negli ultimi 15 anni attraverso la legge 30 e non solo, dai governi di centrodestra e centrosinistra che si sono alternati al potere, con la piena condiscendenza delle organizzazioni sindacali e del mondo dell’informazione. Identificando nella precarietà quel cancro che mina alla base l’equilibrio delle famiglie, le prospettive di futuro dell’individuo e più in generale la stabilità sociale.
Si tratta fondamentalmente di concetti che molti di noi hanno ripetuto fino alla noia nel corso degli ultimi anni, denunciando la precarizzazione di un mondo del lavoro ormai in disfacimento, prodromica di un altrettanto grave disfacimento degli equilibri familiari, della mancanza di prospettive per le nuove generazioni e più in generale di una profonda crisi dei rapporti sociali.
Belle parole, in virtù delle quali non possiamo che rallegrarci per la, sia pur tardiva, presa di coscienza della realtà da parte del ministro. Una colpa, quella di avere tardato troppo nel mettere a fuoco i termini della questione, tutto sommato lieve, se confrontata con quella del mondo sindacale che (nonostante per forza di cose avrebbe dovuto essere la parte più sensibile al problema) troppo distratto dalle prebende che il lavoro flessibile gli ha in questi anni garantito, non è fino ad oggi mai giunto a conclusioni di questo genere, preferendo al contrario continuare ad avallare tanto la precarietà quanto le sue conseguenze.
Belle parole che però potranno avere una valenza solamente ancorché seguite da fatti concreti che si pongano come obiettivo la risoluzione di un problema di fronte al quale la politica ha mostrato finora la più completa inanità. Proprio all’esame dei fatti concreti sarà chiamato nei prossimi mesi il ministro Tremonti, cui oggi va comunque un plauso per il coraggio, dal momento che una volta evidenziati i termini della questione sarebbe lecito attendersi che vengano individuate le basi per porre rimedio alla disastrosa situazione.
Senza i fatti concreti anche le belle parole rischiano di sfiorire nel facile populismo che non è in grado d’incidere e può essere utile solamente per raccattare qualche consenso elettorale in più.
di Marco Cedolin
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