03/02/10

Le nove strade di Silvio Berlusconi verso l'impunità



Il principio affermato a più riprese dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dai suoi più stretti collaboratori ed alleati, nel difendere l'attenzione maniacale dimostata dall'esecutivo e dalla maggioranza parlamentare sul tema "giustizia" sin dagli istanti immediatamente successivi alla bocciatura del Lodo Alfano è stato ribadito con disarmante sincerità fino a ieri: Silvio Berlusconi è stato investito democraticamente ad esercitare il potere esecutivo nel paese ed una sentenza di un tribunale della Repubblica non può arrogarsi il diritto di rovesciare quanto deciso dal popolo.

I "complotti giudiziari" impediscono al premier di lavorare sui temi di reale interesse per il paese. Per esercitare questo pesante onere dall'altissimo senso civico, la maggioranza di centrodestra è ben disposta, secondo una radicale logica machiavellica, ad intasare le Commissioni Giustizia e le aule di Camera e Senato con numerosi provvedimenti "giudiziari" a discapito di ogni altro tema politico.

L'attenzione della stampa, in particolar modo di quella cosiddetta di opposizione, si è concentrata, inevitabilmente, negli ultimi mesi proprio sui tentativi di riforma dei codici e della Costituzione in discussione nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama.
Vengono citati a tale proposito i progetti di legge sul "processo breve", sul "legittimo impedimento" e su un ipotetico "Lodo Alfano Costituzionale" firmato Gaetano Quagliarello. Un trittico dalla potenza giudiziaria devastante.

Ciò che si tende troppo spesso ad ignorare è la reale consistenza dei provvedimenti salva-premier presentati o discussi negli ultimi periodi nelle aule della rappresentanza parlamentare. Ben nove i disegni di legge che potrebbero privare il premier del "diritto ad una sentenza" per i processi Mills, Diritti tv e Mediatrade, oltre che del diritto di conoscere definitivamente la reale collocazione della sua figura nel processo Dell'Utri.
Nove provvedimenti che non vedono la firma esclusiva di parlamentari PDL, ma bensì anche quelle dei due principali partiti del "nuovo centrosinistra": Unione di Centro e Partito Democratico.

Il DDL sul "legittimo impedimento" appartiene a buon titolo alla categoria dei provvedimenti celebri e si avvia verso l'approvazione alla Camera nella giornata di oggi. Il provvedimento, costruito dall'unione di ben 7 proposte di legge, a partire da quella dell'esponente UDC Michele Vietti, trasforma l'attuale diritto riconosciuto ai membri del governo di chiedere uno spostamento di una seduta giudiziaria per sovrapposizione con l'agenda politica nel diritto allo spostamento obbligatorio di ogni seduta verso una data successiva, a sua volta ulteriormente procrastinabile e così via, fino al termine del mandato dell'imputato.
Una sorta di "Lodo Alfano per tappe".
Lo stesso Lodo Alfano Costituzionale viene richiamato come bussola del provvedimento dall'articolo 1, comma 1 del provvedimento: "In attesa della legge costituzionale [...] al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni [...] si applicano le disposizioni di cui ai seguenti commi".

Altro provvedimento centrale, la legge sul "processo breve", basata sull'accorciamento sistematico della prescrizione. Secondo la formula in discussione in queste ore nella Commissione Giustizia della Camera, 6 anni e mezzo è il tempo massimo previsto per la conclusione di un processo per tutti e tre i gradi di giudizio (3 anni in primo grado, 2 in secondo e 1 e mezzo in Cassazione); tempi che vanno calcolati dal rinvio a giudizio dell'imputato.
Una mannaia che colpirà centinaia di processi in corso dichiarandoli definitivamente chiusi senza sentenze e senza colpevoli. Immediatamente archiviati i due processi a carico del ministro Raffaele Fitto in Puglia, così come quelli che vedono imputato Silvio Berlusconi nei giudizi "Mills" e "Diritti tv" o quelli sull'Udeur campano (a partire dall'imputazione a carico di Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella), accompagnati da altri fortunati non-innocenti non-colpevoli come Ottaviano Del Turco e l'ex sindaco di Pescara Luciano D'Alfonso.
La strage di Viareggio del 29 giugno scorso, i pestaggi dei giorni del G8 di Genova del 2001, gli scandali Parmalat, Bancopoli e Calciopoli, le indagini sul Laziogate che continuano a vedere Francesco Storace imputato non troverebbero alcuna conclusione.
I familiari delle vittime della Casa dello Studente a L'Aquila, i familiari degli operai della Thyssenkrupp bruciati vivi nell'incendio dello stabilimento il 5 dicembre 2007 e le parti lese del processo Eternit perderebbero ogni possibilità di ottenere una seppur flebile giustizia.

A chiudere il terzetto dei provvedimenti celebri, il progetto di legge firmato Giuseppe Valentino (PDL), presentato il 27 novembre 2009 e salito alla ribalta della cronaca dallo scoop in ritardo di Repubblica nell'edizione di ieri; tale proposta di legge va ad eliminare ogni valenza in fase guidiziaria (sia come prova che come indizio) delle testimonianze rese dai collaboratori di giustizia se non accompagnate da "specifici riscontri esterni". Un provvedimento che, se applicato anni fa, avrebbe reso praticamente inattuabili procedimenti come il maxi-processo a Cosa Nostra o le indagini sulle morti di Falcone e Borsellino o sulle stragi del 1993. E che oggi metterebbe a rischio anche i processi come quelli che le tante procure del sud d'Italia stanno portando avanti con molta fatica contro i clan camorristici e le 'ndrine calabresi.

In attesa del Lodo Alfano costituzionale Quagliarello-Vizzini, si è mosso in anticipo il senatore UDC Lorenzo Ria, depositando, il 14 gennaio scorso, un analogo provvedimento, che verrà pubblicato e assegnato in Commissione Giustizia nei prossimi giorni. A questo proposito è utile ricordare l'origine margheritina della legge sull'impunità per le più alte cariche dello stato e le dichiarazioni favorevoli a tale legge espresse da autorevoli esponenti del centrosinistra come Massimo D'Alema ed Oscar Luigi Scalfaro, che aprono, di fatto, a grandi possibilità di utili convergenze in aula tra maggioranza ed opposizione.

Molto meno noti e del tutto assenti nelle pagine della stampa italiana di ogni matrice, altri provvedimenti in tema di giustizia già in discussione nelle commissioni parlamentari e ben più "rivoluzionari" dei precedenti.
A partire dalla proposta di legge costituzionale dell'onorevole Raffaello Vignali (PDL) che, con la modifica del solo articolo 136 della Carta, in caso di approvazione renderebbe del tutto insignificanti le sentenze di incostituzionalità emanate dalla Corte Costituzionale sulle leggi approvate nelle aule parlamentari. Tali sentenze, con questo provvedimento, finirebbero per avere "efficacia meramente dichiarativa".
Tale proposta di legge, se approvata in tempi rapidi, consentirebbe alla maggioranza di provvedere al varo del Lodo Alfano Costituzionale con i voti di PDL, UDC e parte del PD, senza possibilità di un nuovo (seppur probabilissimo) annullamento da parte della Corte.

Il ruolo del PD non si esaurisce con le aperture espresse sul Lodo Alfano o sull'origine "progressista" di tale provvedimento, ma prosegue con la proposta di legge del 12 gennaio che vede la prima firma della senatrice Franca Chiaromonte (PD), accompagnata da quella del collega del PDL Luigi Compagna, un inedito disegno di legge bipartisan dal contenuto estremamente semplice: ripristino in ogni forma dell'immunità parlamentare, quella stessa immunità che mise a repentaglio tutti i processi su Tangentopoli e che oggi vedrebbe Saverino Citaristi, Arnaldo Forlani, Primo Greganti ed altri ancora illustri esponenti del Parlamento, oltre a Bettino Craxi potenziale Presidente del Consiglio in carica. E la partecipazione attiva alle decisioni politiche del paese di pregiudicati come Cesare Previti.

A fare compagnia, c'è l'analogo provvedimento presentato alla camera il 18 dicembre scorso dal deputato repubblicano Francesco Nucara (PDL), in attesa come il precedente di essere assegnato alla Commissione Giustizia e immediatamente discusso, in una sorta di rapidissima doppia strada bicamerale verso il ripristino delle immunità pre-1993.

L'ottavo provvedimento punta ad una riforma radicale del sistema giudiziario e vede la firma di esponenti autorevolissimi come i ministri Angelino Alfano e Giulio Tremonti. Il provvedimento, discusso assieme a molti altri provvedimenti collegati, è in discussione nella commissione Giustizia del Senato dal 1° aprile 2009.
Tra i punti-chiave: divieto per i PM di compiere indagini (come quelle compiute ad esempio per le varie sanitopoli italiane o per l'indagini sulle responsabilità dei crolli strutturali a L'Aquila, che verrebbero affidate autonomamente alla polizia giudiziaria), divieto di utilizzo di sentenze come prove di reato (norma che farebbe ripartire da zero l'intero processo Mills a carico di Berlusconi, arrivando all'istante all'archiviazione per prescrizione sopraggiunta), ricusabilità dei giudici, riduzione dei tempi di prescrizione e sospensione dei processi per pene sotto ai 4 anni.
Un mix che sintetizza in un unico disegno di legge gli obiettivi tecnici che caratterizzano separatamente Lodo Alfano, "prescrizione breve" e "legittimo impedimento".

A chiudere, il progetto di legge del trittico PDL Centaro, Caruso e Alicata, fondato sull'introduzione di un diritto del tutto inedito per gli imputati: la possibilità di ricusare il PM incaricato di guidare il procedimento d'accusa secondo gli stessi criteri con cui è possibile ricusare un magistrato giudicante.
Sarà sufficiente per un PM dichiarare pubblicamente la propria convinzione di colpevolezza dell'imputato (come potrebbe essere altrimenti?) per vedersi strappare l'incarico all'istante, in attesa di lasciar imbastire l'accusa ad un pubblico ministero che creda nell'innocenza dell'imputato.

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