Ancora una volta l’Italia esprime il suo cordoglio, spendendo, attraverso i maggiori rappresentanti politici, lacrime per gli “eroi”, “caduti per la libertà e per la pace“. Cose del genere. Solite frasi, solite medaglie. Come solita è pure l’umana vicinanza di qualcuno visto prima solo sui giornali. Come solite sono le domande di taluni giornalisti cinici e invadenti, meritevoli di risposte retoriche. Come solito è l’abbraccio durante le esequie di un tizio che sovente appare sui volantini durante le campagne elettorali. Belle “consolazioni” momentanee. Quanto, in concreto, utili per padri, madri, fratelli, e anche zii e cugini, che non vedranno più, se non in foto, i loro cari di appena 25 e 33 anni, definitivamente chiusi in bare saldate e avvolte da un tricolore metaforicamente insanguinato?
Di nuovo ripartono interrogativi già sentiti. In risposta si sprecano, ad uso e consumo delle telecamere, parole come “libertà” o “pace”. Esempio banalissimo: dato che si vocifera che Cuba non sia propriamente un “libero Stato”, perché non si pubblicizza la presenza di militi italiani di stanza sull’isola caraibica? Molti sono convinti che i nostri concittadini restino nel cuore dell’Asia perché in “missione pacifista”. Eppure, a volte, finiscono spiaccicati e contorti dalle lamiere di veicoli saltati in aria, un po’ come quando una formica viene schiacciata crudelmente dal piede di un bambino. Immagine sadica, ma realistica. “Lottano per riportare una democrazia”, senza usare la violenza. Tuttavia sono costretti ad indossare mimetiche e portare strumenti di terrore.
Sono consci dei pericoli che dovranno affrontare in prima persona, sapendo di rischiare la pelle ogni secondo: è il loro mestiere. Solo al concretizzarsi della tragedia si ripetono le filastrocche mnemoniche su permanenze a breve termine degli uomini, sui rifinanziamenti delle campagne (non doveva essere “un nuovo Vietnam“, come predicava il precedente Presidente degli USA, ossia colui che volle Enduring Freedom), persino sugli scopi dei singoli: c’è chi dice di voler andare all’estero per “amore per la patria”, chi ammette di farlo per tornaconto personale e/o introito economico.
Nell’immediato si prova naturale commozione per i ragazzi deceduti, lontani chilometri al fine di creare una propria storia. Poi più nulla. Le comunità che ospitano le salme nei cimiteri si chiudono nel dolore anche anni; ai loro caduti dedicheranno vie e piazze. D’altro canto, la restante opinione pubblica, spesso, tende a dimenticare. Allo stesso modo il mondo politico, troppo impegnato con leggi e decreti da analizzare, sport e beghe personali dei vari membri divisi tra Camera, Senato o Governo. Distratti da impegni mondani o improrogabili. E che si fermano quando giovani connazionali cadono vittime di agguati, arsi vivi o mutilati da bombe.
Poi tornano nuovamente a dialogare, discutere, sbraitare, litigare sulle conseguenze dell’ennesimo lutto. Fino a quando non prenderanno drastiche decisioni, però, dagli aerei continueranno a scendere lugubri feretri.
di Leonardo Mangini
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