13/08/10

Se il sindaco “anti-cinesi” di Prato ha problemi con la sua fabbrica in Cina

Un proverbio cinese dice che è«su una piccola pietra che inciampò l’imperatore». In questo caso la pietra è un fabbrica tessile a Shanghai e l’imperatore è il suo maggior azionista, il sindaco di Prato Roberto Cenni. Una settantina di operai della Txy, società controllata dall’italiana Sasch hanno infatti scioperato perché «da mesi senza stipendio», inviando in oltre una lettera alle autorità di Roma «perché li aiutino a recuperare gli stipendi che la ditta non ha pagato».

Una situazione che per alcuni, come il pidiellino Mazzoni è persino di matrice politica: «Non esistendo in Cina il diritto di sciopero, è più che legittimo il dubbio che la manifestazione dei lavoratori a Shanghai contro la Sasch si sia svolta con la tacita approvazione del regime». Nel febbraio di quest’anno addirittura l’ambasciatore cinese Sun Yuxi mosse dure critiche sia al sindaco pratese che alla Lega Nord :

«Sono stato informato dell’intervento delle forze dell’ordine con elicotteri, cani e decine di poliziotti e carabinieri e ne sono dispiaciuto. Il centro tessile cinese di Prato è uno dei più grandi in Europa ed è un dato di fatto che quando i cinesi arrivarono negli anni ’80 le imprese pratesi erano sull’orlo del fallimento, quindi possiamo dire che i cinesi hanno contribuito e contribuiscono allo sviluppo dell’economia locale e nazionale. Sono al corrente del grande problema della contraffazione che viene largamente e severamente combattuta anche dal governo cinese. Quello che chiediamo è che le autorità italiane agiscano sulla base dell’uguaglianza e che su questo non contrastino anche le altre comunità. Contro gli atti illegali si deve agire, ma le imprese che lavorano nel rispetto delle leggi devono essere difese e garantite».

Il problema della crisi del tessile nella città e provincia di Prato aveva già fatto scalpore più di un anno fa, tanto da spingere Michele Santoro nel confezionare una puntata di Annozero su misura. Una serata “speciale” che ricevette addirittura i complimenti in diretta («vero servizio pubblico») dell’ospite in studio, il viceministro Roberto Castelli. Nei mesi successivi (giugno 2009) ci furono le elezioni comunali e per la prima volta dopo 63 anni Prato si ritrovò con un sindaco di centrodestra, l’industriale tessile Roberto Cenni, vittorioso con la lista “Berlusconi per Prato”. La campagna elettorale fu molto sentita, anche a livello nazionale con l’arrivo del concittadino ministro Andrea Ronchi che parlò di una «Chinatown pratese inaccettabile». Il premier Berlusconi descrisse il suo candidato come «un uomo del mondo del lavoro, un imprenditore molto capace» e per le vie della città furono affissi manifesti elettorali con la foto di Cenni accanto al candidato sindaco del Pd con scritto «Martini+Carlesi=cinesi» (rispettivamente ex sindaco Pd e candidato sindaco del Pd n.d.r.). Nel settembre 2009 sempre la Sasch decise di spostare tutta la sua produzione in Cina, scatenando la protesta dell’opposizione locale e nello specifico dell’Idv:

«La notizia che la Sasch, l’azienda del sindaco Roberto Cenni, abbia chiesto la cassa integrazione per altri nove dipendenti oltre ai nove della settimana scorsa ci lascia molto perplessi e ci preoccupa non poco . L’Italia dei Valori intanto esprime solidarietà agli operai posti dalla Sasch nell’anticamera del licenziamento e per tutti quegli altri delle aziende dell’indotto che si troveranno a perdere il lavoro per la decisione dell’azienda del sindaco di trasferire in Cina la realizzazione di centomila capi di abbigliamento. L’Italia dei Valori ritiene inoltre che la decisione della Sasch sia fortemente negativa proprio perché è di proprietà del sindaco della città. Il segnale che viene lanciato verso quegli industriali che invece stanno lottando con tutti i mezzi per salvare la propria azienda e non licenziare i propri dipendenti, è un segnale di pessimismo e di debolezza. Se è lo stesso sindaco a non credere nella ripresa e a non investire in città, chi dovrebbe farlo?».

In tutto questo c’è da chiedersi perché nuovamente l’uso politico di una paura, in questo caso “l’invasione cinesi”, abbia reso possibile l’incredibile: far diventare simbolo della “lotta ai cinesi” un industriale che è stato uno dei pionieri dello «sbarco italiano in Cina: fin dagli anni ’90 Sasch produce proprio nel Far East, tramite Txy e altre aziende collegate, una quota importante del proprio assortimento, poi commercializzato attraverso i negozi italiani».

La classica contraddizione che purtroppo è solo un granello di sabbia nella vita quotidiane del Belpaese, dove ci ritroviamo tutti i giorni un premier plurindagato che ci spiega cos’è la giustizia, un ministro che parla di istruzione ma che ha dovuto “emigrare” in Calabria per laureasi facilmente e svariati politici che parlano di sacrifici (della popolazione) mentre trascorrono vacanze dorate. Siamo o non siamo il paese della coerenza?

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