L'idea che viviamo in un mondo proiettato inesorabilmente verso la insostenibilità ambientale è un fatto pressoché assodato e pure accettato dai media.
In linea con questa idea è stato il recente intervento al forum internazionale di Cuneo di Friedrich Hinterberger, fondatore e presidente del Seri di Vienna, il Sustainable Europe Research Institute, che ha lo scopo di analizzare il consumo delle risorse naturali:
Ogni abitante del Nord America ne consuma 90 chili al giorno,un europeo in media 45, un africano 10. E la cosa che crea più ingiustizia sociale è che laddove si estraggono le materie prime spesso non si consumano. Ma il modello occidentale non può essere trasferito ai dieci miliardi di persone che saremo tra pochi decenni: in questo quadro di squilibrio e ingiustizia sociale dobbiamo scegliere se andare verso un modello sostenibile o insostenibile.
Per mantenere un modello di sviluppo sostenibile, ogni abitante del mondo dovrebbe però consumare 15 chili al giorno di risorse. Il primo imperativo è quindi consumare di meno. Ma come? Secondo lo studioso è necessario un sistema di etichettamento “verde”: sulle etichette dei prodotti che acquistiamo dovrebbero essere aggiunte le informazioni sulla sostenibilità del prodotto, cioè sull’impronta di carbonio che ogni prodotto lascia.
Non possiamo controllare quello che non possiamo misurare. Abbiamo bisogno di target quantitativi che ci indichino con precisione come usare meno risorse.
Consumare di meno può essere una scelta oppure una necessità, per il maggiore costo delle materie prime e per il guadagno minore di ognuno. Ed ecco allora il secondo imperativo: lavorare tutti di meno.
Secondo lo studioso, bisognerebbe lavorare tutti con un orario part-time e comunque non più di trenta ore a settimana. Scelta che fa guadagnare di meno ma che fa lasciare una minore impronta di carbonio e che fa vivere meglio perché dà una maggiore qualità della vita.
Mentre sono d'accordo in linea di principio con l'idea che dovremmo tutti lavorare di meno (aggiungerei anche lavorare meglio e per cose più utili), rimango invece molto scettico sull'approccio degli indicatori verdi. Qualsiasi indice “verde” sarà inevitabilmente incompleto e soggetto a grossolani errori, così come lo sono tanti altri famosi indicatori sintetici, incluso il famigerato PIL.
Non solo dovrebbe essere chiaro e trasparente il modo in cui questi indicatori si calcolano, ma bisogna anche verificare se questo calcolo abbia un “senso”.
Cosa dovrebbe indicare in termini di sostenibilità ? Possibile che oggi un pensiero un po sempliciotto tenda a far passare per sostenibile solo ciò che produce poca CO2 ??
Ci vorrebbe come minimo il consumo di energia primaria, di acqua, di risorse minerali fossili non rinnovabili (le cose non sono fatte di solo petrolio o carbone), poi andrebbero considerate altre variabili come l’efficienza, la durabilità, la capacità di produrre rifiuti, la scarsa propensione alla riparabilità, la semplicità di utilizzo, la fruibilità, la capacità di soddisfare un bisogno.
Insomma, possiamo inventarci tutti gli indici che vogliamo per i nostri prodotti, saranno sempre incompleti e al massimo si presteranno per una indagine comparativa.
Il percorso alla sostenibilità può essere soltanto culturale, altrimenti rischiamo di infondere l’illusione che esistano prodotti sostitutivi, altrettanto validi, che abbiano come scopo quello di mantenere il nostro status di consumatori, senza mettere mai realmente in crisi il paradigma (quello si insostenibile) su cui è fondata la nostra vita di appartenenti al mondo civilizzato: Vali perché consumi!
Non solo dovrebbe essere chiaro e trasparente il modo in cui questi indicatori si calcolano, ma bisogna anche verificare se questo calcolo abbia un “senso”.
Cosa dovrebbe indicare in termini di sostenibilità ? Possibile che oggi un pensiero un po sempliciotto tenda a far passare per sostenibile solo ciò che produce poca CO2 ??
Ci vorrebbe come minimo il consumo di energia primaria, di acqua, di risorse minerali fossili non rinnovabili (le cose non sono fatte di solo petrolio o carbone), poi andrebbero considerate altre variabili come l’efficienza, la durabilità, la capacità di produrre rifiuti, la scarsa propensione alla riparabilità, la semplicità di utilizzo, la fruibilità, la capacità di soddisfare un bisogno.
Insomma, possiamo inventarci tutti gli indici che vogliamo per i nostri prodotti, saranno sempre incompleti e al massimo si presteranno per una indagine comparativa.
Il percorso alla sostenibilità può essere soltanto culturale, altrimenti rischiamo di infondere l’illusione che esistano prodotti sostitutivi, altrettanto validi, che abbiano come scopo quello di mantenere il nostro status di consumatori, senza mettere mai realmente in crisi il paradigma (quello si insostenibile) su cui è fondata la nostra vita di appartenenti al mondo civilizzato: Vali perché consumi!
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