Roberto Saviano l’altra sera ha detto, a mio parere, due cose. La prima incontestabile: al Nord c’è, ed è radicata, la ‘ndrangheta. Del resto, è presente dagli anni 60 e negli ultimi 15 è diventata, secondo la relazione 2009 della Direzione Nazionale Antimafia, «mafia imprenditrice» la cui attività mira «all’esercizio di un capillare controllo del territorio». E che già oggi ha infiltrazioni nell’alimentare, nell’edilizia, nella sanità, nel turismo, nella gestione dei rifiuti e nella politica. Lo ha confermato, proprio ieri, la Dia, che ha parlato di una evoluzione «costante e progressiva» del fenomeno.
Una seconda, a mio avviso, contestabile (per queste ragioni): al Nord la ‘ndrangheta «interloquisce con la Lega». Una frase a cui hanno fatto seguito aspre polemiche tra lo scrittore e il partito di Bossi, in particolare col ministro Maroni.
Ora però c’è chi sta buttando tutto in caciara. Perché l’indignazione sta tracimando nell’insulto, e c’è chi sta mettendo in bocca a Saviano parole e concetti che non ha espresso. Complice, come spesso accade, il Giornale. Come nell’editoriale del direttore Alessandro Sallusti di ieri, per esempio:
In sostanza, Saviano si comporta come un mafioso. Mancano solo gli omicidi, verrebbe da dire.
Ma al Giornale non bastava, naturalmente, dissentire con la consueta mancanza di stile. Doveva per forza fare finta che Nord e ‘ndrangheta fossero due semisconosciuti, o che la gravità del sodalizio fosse un’invenzione di Saviano. E allora ecco oggi comparire una raccolta firme contro lo scrittore, reo di «dare del mafioso al Nord»:
Peccato che Saviano dia del mafioso ai mafiosi del Nord, e non a chiunque viva al Nord. Agli imprenditori compiacenti, alle istituzioni colluse e alle cosche stesse, che sono potenti al punto di ipotizzare, lo dicono le indagini, un vero e proprio «federalismo mafioso» (la definizione è di Paolo Biondani), staccandosi dalla “madre” calabrese. Un tentativo finito con l’omicidio di chi aveva osato provarci.
Nelle altre pagine, una finzione letteraria di Saviano sulla Lega scambiata per realtà (con toni del tipo: «mica Saviano si alza come gli operai di Melfi o Pomigliano»), inviti al «signor Gomorra» a «grattarsi le sue rogne», senza pensare a quelle del Nord e un pezzo di Vittorio Sgarbi («La malavita si combatte sul campo») in cui in sostanza si incolpa lo scrittore di non aver parlato, l’altra sera, della mafia al Sud («A Saviano non interessa»).
Insomma, siamo di nuovo passati in un batter d’occhio dalla critica nel merito alla delegittimazione personale. Dimostrando che su una cosa Saviano aveva perfettamente ragione: la «macchina del fango» è sempre all’opera. Ma in due sensi: sia quando lo incensa a priori, sia quando lo demolisce a priori. Trattare Saviano per un uomo normale, coi suoi pregi e i suoi difetti, le sue intuizioni e i suoi errori, penso sia il modo giusto per combattere una propaganda che potrebbe finire per ucciderlo davvero, facendo così la gioia di certi lettori proprio del Giornale, e molto prima che ci pensi chi lo costringe alla scorta.
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