04/11/11

Servizio Pubblico: cosa non va


 I miei 10 euro li ho versati da tempo. Per me si è trattato di una questione di coerenza. Bisogna superare il modello televisivo e portare il dibattito pubblico in rete, dove tutto è più distribuito, paritetico e potenzialmente più democratico. E così, secondo lo statuto sono diventato un socio sostenitore di "Servizio Pubblico", la nuova "rivoluzione", come la definisce Santoro. Ieri sera la prima puntata, andata in onda su un mix di media televisivi, satellitari e web.


 Quando si dice però che la rete non è la televisione, non si dice solo una cosa ovvia. Tra i due mondi le differenze sono molte di più rispetto a quelle che si riescono a immaginare. La televisione è il trionfo dello sfarzo, dello spreco, spesso del superfluo e ancor più dell'inessenziale, se non proprio dell'inutile. E' in televisione che si spendono budget da mille e una notte per realizzare trasmissioni il più delle vote mediocri, che gettano fumo negli occhi senza informare, talvolta veri e propri flop (come l'ultimo format di Sgarbi abbandonato dopo una sola puntata ma costato 8 milioni di euro agli abbonati). La rete, non avendo a disposizione introiti ingenti e tantomeno facili, nasce povera ed essenziale. Vive di contenuti, tra i quali solo i migliori, quelli di un certo spessore effettivo, riescono a "bucare" e a raggiungere una buona diffusione. Il popolo del web, avendo a disposizione un'autentica miniera fatta di oro, diamanti ma soprattutto di spazzatura, è abituato a navigare veloce, a capire al volo se quello che sta leggendo o guardando vale la pena di impegnare i suoi prossimi 5 minuti. Per questo, avendo poco tempo (poco più di un'ora al giorno, secondo gli ultimi dati Audiweb) e molto da conoscere, internet ha imparato ad apprezzare la sintesi, l'originalità, perfino la rudimentalità che, in qualche modo, privilegia la sostanza rispetto alla forma. Valori che vanno di pari passo alla sobrietà della presentazione e alla parsimoniosità della realizzazione, soprattutto in considerazione del target di riferimento, composto da utenti informati, consapevoli, sensibili alle tematiche della decrescita, del rispetto per le diseguaglianze, del risparmio delle risorse ambientali e degli sprechi. Per questo portare il dibatto in rete significa dargli una dimensione del tutto nuova, mettere al centro idee e contenuti originali e ad alto contenuto informativo, esaltare il modello di interazione, coinvolgere i il navigatore (la vecchia definizione di pubblico non si adatta più al nuovo mondo social) profondamente e soprattutto offire soluzioni, perché se c'è una caratteristica fondamentale della rete, questa è la possibilità di offrire un modello partecipativo perfetto per condividere le risorse, sommare le energie, unire le forze e lavorare a un possibile cambiamento.

 Oggi ho fatto un sondaggio: ho chiesto se "Servizio Pubblico" fosse piaciuto. Per la maggior parte di voi è stato soddisfacente, ma non mi ha sorpreso notare come sommando le risposte diverse (anche in questo la rete dimostra la sua reale specificità, consentendo a chiunque di aggiungere una nuova risposta a quelle preconfezionate) venisse fuori che per un numero di internauti pari circa ai due terzi di chi ha risposto positivamente il nuovo "format" di Santoro non fosse entusiasmante. Non mi ha sorpreso perchè "portare il dibatto in rete" non significa prendere una trasmissione televisiva e replicarla pari-pari, fin nei minimi dettagli organizzativi ed economici, usando doppini in rame e fibra ottica al posto dell'etere. Se ci si limita a questo, il risultato non può che essere deludente, o quantomeno non può essere considerato un'operazione di valore per l'evoluzione di un modello culturale che metta il web al centro, con la sua filosofia e la sua attitudine.

 Mi chiedo, per esempio, se 25 milioni di euro per realizzare solo 8 puntate (poi ora forse estese a 25) non sia un budget da carrozzone televisivo, piuttosto che rappresentare il matrimonio tra l'informazione e la rete, che viceversa ha dimostrato di saper produrre contenuti interessanti a costo zero. Non pretendo che due ore di approfondimento settimanale, con inviati e servizi di qualità, non abbiano un costo, ma sono sicuro che su internet si potrebbe fare lo stesso con un budget infinitamente inferiore. Non è uno spreco anche questo?

 Mi chiedo ancora se continuare ad invitare sempre gli stessi ospiti, già superinflazionati in televisione, non sia una mera continuazione di quella semplficazione e di quella uniformazione delle idee che il piccolo schermo ci ha condannati a subire e che invece il web ci ha abituati a superare, con la ricchezza e la diversità delle opinioni che ospita e delle proposte che diffonde tra le quali è possibile trovare chiavi di lettura sempre nuove e interessanti, ignorate dalla televisione che tende al controllo più che al libero confronto. Non è anche questo uno spreco di tempo e di risorse? Non è un inaridimento delle potenzialità della rete?

 Mi chiedo poi se tutto il modello di interazione che internet mette a disposizione, secondo infinite possibilità di ricombinazione, si debba risolvere in una pagina facebook dove raccogliere qualche commento e nella quale lanciare qualche sondaggino un po' retorico. Se è per questo, avevamo già il televoto e la telefonata in studio. Non è anche questo uno spreco alla ennesima potenza di risorse e potenzialità?

 E mi chiedo anche se vale la pena usare tutta questa potenza di fuoco economica, conferita da centomila donatori, per parlare di Lavitola e per intervistare ragazzine che eufemistamente si possono definire "immature" - tutte cose note e arcinote - invece di dare spazio a nuovi interlocutori e discutere insieme di idee, di soluzioni, di futuro. Non è uno spreco di tempo (oltretutto, giornalisticamente, in forte ritardo sulla notizia)?

 E infine mi chiedo, soprattutto, se "portare il dibattito pubblico in rete" significhi vendere il proprio player multimediale in via esclusiva a Repubblica, al Corriere e al Fatto Quotidiano, per una cifra che solo per Repubblica ammonta a ben 70 mila euro, impedendo al resto del web (tra cui i famosi centomila sottoscrittori che la trasmissione se la sono pagata) di trasmettere la diretta sui loro siti, sui loro blog e sui loro canali social.

 Se questa è la ricetta di Santoro per trasformare il modello televisivo, sono costernato ma ritengo si tratti di una grande occasione sprecata. E forse lo ritiene anche il pubblico in rete, visto che i dati sul traffico internet registrati in tempo reale da Akamai, il network cdm che ha trasmesso in esclusiva sul web l'evento (per una cifra stimata tra i 200 e i 500 mila euro), sembrano non aver conosciuto il picco significativo diffuso nei comunicati ufficiali di Servizio Pubblico, subendo invece un calo del 5% rispetto al traffico medio giornaliero, nel pieno svolgimento della puntata (e in ogni caso, numericamente, parliamo della metà dell'audience che aveva sviluppato il primo esperimento dal Paladozza). Ecco la screen-shot:

Santoro Travaglio Servizio Pubblico Akamai traffico utenti byoblu Claudio Messora byoblu.com

 Siccome il mondo dell'informazione e quello della rete italiana hanno un disperato bisogno di tutti coloro che possono contribuirvi in maniera sostanziale ed efficace e Santoro, con le sue disponibilità e con la sua esperienza, è sicuramente un giocatore di primaria importanza nella partita, mi auguro che si possa trattare di errori di gioventù e che il futuro riservi delle sorprese, portando il transatlantico di Servizio Pubblico a ridimensionare il consumo di risorse, a dare spazio a chi ha idee nuove e fresche da comunicare, a potenziare le dinamiche di interazione e a liberalizzare il flusso delle informazioni, senza replicare modelli di proprietà claustrofobici e piramidali che la rete è nata casomai per superare, non per derivare da quelli televisivi.

 Per come è adesso, Servizio Pubblico è ancora troppo televisione e troppo poco internet.

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1 commento:

  1. Esatto. Così come Santoro è ancora troppo professionista dell'informazione e troppo poco giornalista.

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